Come raccontare la storia
16.08.2025 - 15:00
Scrittore, traduttore e direttore artistico, Giorgio van Straten è nato a Firenze settant’anni fa
Lo scrittore fiorentino Giorgio van Straten si è domandato quale sia la relazione tra la letteratura e la storia, e ciò tenuto conto che entrambe, a ben vedere, cercano di “ricreare” mondi perduti. E cioè, in sintesi, se un romanzo “storico” possa essere o meno un utile strumento per indagare la realtà. Per provare a rispondere a questo interessante ed intrigante quesito, ha pubblicato, per Laterza, il saggio “Invasione di campo – Quando la letteratura racconta la storia” (167 pagine). Secondo l’autore, nonostante «lo scrittore non sia tenuto a dimostrare niente, mentre lo storico è obbligato a mettere le note», la letteratura «contribuisce ad una interpretazione della realtà… in quanto è una forma della conoscenza, e questa conoscenza è, in certi casi, conoscenza storica».
Entrambe, ad ogni buon conto, seppur in modi completamente diversi, danno sempre corpo – quando correttamente utilizzate – ad un sapido ed utile confronto tra la realtà e la memoria. Al fine di evidenziare il contributo che la letteratura è in grado di fornire alla comprensione degli eventi del passato, van Straten invita ad analizzare, ad esempio, sia l’opera di Primo Levi (ed in particolare del suo libro più celebre, e celebrato, “Se questo è un uomo”, che ripercorre l’esperienza dentro un campo di concentramento nazista), che quella di Beppe Fenoglio (il quale, nei suoi romanzi, descrive invece l’esperienza di partigiano, vissuta sulle colline delle Langhe). Entrambi, infatti, hanno regalato ai lettori fulgidi esempi di stretta e feconda connessione tra storia e letteratura. Il primo attraverso “una dimensione politico-morale e di testimonianza”, ed il secondo, invece, mediante una ricostruzione totalmente romanzesca, ma che ha forti ed evidenti agganci con la realtà storica. L’autore del saggio, ad ogni buon conto, evidenzia che né lo scrittore, né tanto meno lo storico, sono dei giudici.
Entrambi, seppur mediante piani descrittivi completamente diversi, offrono la loro visione del passato; la quale, sebbene condizionata dalla rispettiva “immaginazione”, dovrà comunque essere sempre attentamente valutata per coerenza, affidabilità ed imparzialità. Quando ciò avviene, la ricostruzione dei fatti raccontata dallo storico si avvicina molto alla verità, mentre quella del romanziere può essere assai utile a far capire, o conoscere meglio, il contesto nel quale, quei fatti, si svolsero realmente. Ed infatti van Straten opportunamente a tal proposito rileva che «a partire da un testo si possono ricostruire le abitudini e i modi di vita di un periodo, di un’area geografica, di una popolazione… per usare un esempio notissimo, “Guerra e Pace” non racconta solo delle vicende individuali inserite nel contesto della campagna di Russia di Napoleone, ma ci parla anche di come Tolstoj e i suoi contemporanei considerassero quel periodo storico e come quei fatti avessero profondamente influenzato il loro modo di vedere il mondo».
Il romanzo, in altre parole, ha il potere di rappresentare la realtà che descrive, ma anche quella che l’autore ha deciso di descrivere, e questo perché la letteratura, essendo come una spugna, è capace di assorbire le passioni, le mode, le infatuazioni, le paure, i pregiudizi e le superstizioni della società che racconta. Tale creativa soggettività non è tuttavia del tutto aliena allo storico, in quanto egli, come venne acutamente osservato da Giovanni De Luna, «grazie alle sue intuizioni, può essere chiamato anche ad inventare, mettendo in mostra le capacità di colmare i vuoti che le fonti lasciano aperti con la creazione di soggetti, entità, strutture che stanno prima di tutto nella sua mente»; e, come evidenziò Krzysztof Pomian, l’immaginazione aiuta lo storico «a colmare l’inevitabile silenzio delle fonti, permettendogli di entrare nei panni dei personaggi».
È proprio questa metodologia ermeneutica che, talvolta, riesce ad avvicinare la figura dello storico a quella del (fedele) romanziere. Le ricostruzioni narrative, se effettuate con serietà e rigore, non solo possono infatti arrivare a stimolare lo studio degli eventi del passato, ma possono costituire una utile e significativa integrazione del lavoro degli stessi storici. Senza voler entrare nel merito della ricostruzione dei fatti e dei personaggi che ne sono protagonisti, efficace esempio di connubio storico-narrativo, osserva van Straten, è quello recentemente portato alle stampe da Antonio Scurati nel suo celebre “M. Il figlio del secolo”, opera storica in veste letteraria che, attraverso uno stile ibrido estremamente originale, offre una rilettura romanzata, seppur storiograficamente rigorosa, delle vicende del ventennio fascista. È evidente che esiste una profonda differenza tra le ricostruzioni di Scurati e quelle di Levi e Fenoglio (che erano infatti basate su esperienze personali dirette), ma è anche vero che non necessariamente, per fare letteratura storica, bisogna per forza aver vissuto gli eventi che vengono descritti in un romanzo.
La cosiddetta “memorialistica di finzione” è, infatti, solo uno degli strumenti attraverso i quali è possibile raccontare il passato. Del resto, come evidenziò De Luna, «la letteratura – per la sua capacità di comunicare e trasmettere conoscenza – sa cogliere e risolvere più intuitivamente quello che altre elaborazioni di pensiero sono più lente a metabolizzare e a formulare compiutamente».
Verrebbe pertanto da suggerire al lettore di un “romanzo storico” che sia a lui risultato particolarmente gradito, di provare ad approfondire il periodo di riferimento attraverso la lettura di un saggio rigoroso ed imparziale sull’argomento. Unirebbe così, con sicura soddisfazione, l’utile al dilettevole.
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