Spazio satira
L'intervista
19.08.2025 - 14:30
Gianni Blasi
Tanti anni divisi, anzi, moltiplicati quanto a emozioni, tra il Canada e l’Italia, tra l’Ontario e la Ciociaria, tra l’istruzione e la storia. Passioni, in fondo, che il cepranese Gianni Blasi collega non solo con la propria esperienza ma, anche, con insegnamenti che valgono per ogni quando e per ogni dove.
Come nasce l’amore per la nostra terra?
«Per la verità ho due terre d’origine perché sono italo-canadese, comunque nasce quando ho incominciato a chiedermi seriamente che cosa significasse sentirsi bi-culturale, essendo intimamente legato a due mondi così diversi. Quindi sono partito da Ceprano dove sono nato, approfondendone la conoscenza della storia dalle origini, e mi sono soffermato al periodo della Seconda guerra mondiale, con particolare interesse per il fronte di Cassino».
In che modo si è avvicinato a questo pezzo di storia?
«Ho preferito l’aspetto sociologico, mettendomi nei panni dei protagonisti e cercando di capire come si viveva da aggressori e da aggrediti, da vittoriosi e da sconfitti, senza per questo giudicare a priori chi fossero i “buoni” e chi i “cattivi”. Per il resto sono stato fortunato perché ho potuto attingere parecchie notizie da fonti dirette, avendo avuto mio padre a combattere nell’esercito italiano sul Fronte Nord Orientale, uno zio nella Divisione “Torino” in Russia e cinque zii americani che hanno partecipato allo sbarco in Normandia, all’invasione del Giappone, alla battaglia di Iwo Jima, alla Campagna d’Italia, ai combattimenti in Nord Africa e all’invasione della Germania. E poi, Ceprano stessa è stata liberata dal Reggimento “Perth” dell’Ontario, provincia nella quale sono cresciuto e che considero il mio “luogo del cuore”».
C’è qualche aspetto che tiene a evidenziare, del periodo bellico?
«Mi piace ricordare il comportamento dell’esercito canadese, composto da 93.000 uomini e donne, che non solo ha combattuto valorosamente ma che si è distinto anche per l’etica con la quale ha soccorso e protetto i civili, fornendo viveri, aiutando bambini e anziani, prevenendo stupri e razzie, soccorrendo feriti e partorienti, cercando di limitare i cosiddetti danni collaterali della guerra. E quando sento qualche sprovveduto definirli “occupanti”, rispondo che l’unica cosa che hanno occupato è la terra in cui sono sepolti circa 7.000 caduti, donata loro sì dallo Stato italiano, ma la cui cura è ancora a spese del contribuente canadese. Provo gratitudine e rispetto per i reduci, che non solo ci hanno donato la libertà ma che per farlo hanno rinunciato anche alla loro gioventù».
Lei partecipa e presenzia a molte rievocazioni storiche: pensa che siano utili?
«Le rievocazioni servono a farci riflettere su quanto accadde allora per evitare che le stesse cose si ripetano oggi. Non c’è una sola guerra che abbia risolto il problema per cui è nata».
Veniamo ora alla sua altra grande passione, oltre che lavoro. Con un occhio al solito parallelismo che caratterizza la sua vita, quali sono le differenze tra l’insegnamento in Italia e quello in Canada?
«È sufficiente notare la differenza tra i rispettivi edifici scolastici: le strutture scolastiche canadesi irradiano una sensazione di positività, quelle italiane invece lasciano trasparire tutta la loro precarietà e abbandono. Il 30% delle tasse sugli immobili raccolte dallo Stato canadese va alla pubblica istruzione ed è facile comprendere come le scuole siano molto efficienti, in ogni loro aspetto, rendendo impietoso il paragone con le omologhe italiane. Inoltre, i docenti, oltre ad acquisire una laurea ad hoc, frequentano università per insegnanti con corsi abilitativi e specifici sulle tecniche formative, oggetto di serie verifiche ogni cinque anni. Questo perché sono consapevoli, in Canada, che l’insegnamento è il mestiere più delicato che esista. Nonostante tutto questo, nel sistema italiano una minoranza di professionisti dell’insegnamento, che non esito a definire “missionari”, visto anche gli stipendi offensivi che percepiscono, continuano a tenere in piedi il baldacchino della scuola pubblica e riescono a sfornare eccellenze; evidentemente la massa talentuosa è così consistente che nemmeno un sistema scolastico malato come quello italiano riesce ad annullarla».
Per questo motivo…
«Sì, dopo diversi anni di docenza nel pubblico ho aperto un mio studio privato per insegnare con la massima flessibilità, talvolta lavorando gratis per giovani meno abbienti ma di talento! Più che un lavoro una passione che ancora dura…». Veramente Gianni Blasi ha tante altre passioni, in primis la musica, ma fanno parte di storie di cui parleremo un’altra volta...
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