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L'intervista

Una, nessuna e... centomila. A tu per tu con Valentina Lilla

Storica e critica d’arte, direttrice museale, progettista, attrice, autrice teatrale, docente, curatrice di mostre: «Investire in cultura è una delle poche strade capaci di generare bellezza»

Una, nessuna e... centomila

Poliedrica, ciclonica, rossa: i caratteri distintivi della sorana Valentina Lilla non sono solo questi ma sicuramente i tre aggettivi sono sufficienti a introdurre per i lettori di Ciociaria Oggi una persona che colora la propria vita con l’arte a tutto tondo.

Storica e critica d’arte, direttrice museale, progettista, attrice, autrice teatrale, curatrice di mostre, docente e artista: che cosa farà da “grande”?

«L’arte per me non è solo ciò che si espone o si studia, ma è vita, è un modo di guardare il mondo, di sentirlo, di restituirlo. La mia idea di arte cambia nel tempo insieme a me, attraverso le diverse esperienze e, fondamentalmente, insieme al mondo, suo contenitore atavico ed eterno. In quest’ultimo confluiscono i ruoli, i linguaggi, le funzioni, gli ideali, la società del momento e plasmano in modo assoluto quella visione dell’arte che Hegel definiva “Spirito del tempo”. In termini più semplici… non ho ancora smesso di crescere e non ho alcuna voglia di smettere di farlo!».

Quindi, in definitiva, l’arte che cosa è per lei?
«L’arte, in fin dei conti, non credo si possa realmente spiegare: si vive, si respira, si lascia accadere... E il motore, nel mio caso e per tutte le sfaccettature, è la mia curiosità che, a differenza dell’età, non invecchia mai…».

Il motore che muove Valentina va veloce, come quello di una Ferrari… Si nasce artisti o ci si diventa?
«Il mio percorso di studi è stato tutt’altro che lineare e forse proprio questo determina il suo valore. Dopo il liceo classico, in piena fase di ribellione al sistema, sono approdata all’Università Cattolica per studiare Economia, per poi avvertire la mia vera inclinazione per le materie umanistiche. Così dopo l’Accademia di Belle Arti di Roma, laureandomi in Comunicazione e valorizzazione dei beni culturali, ho continuato con la magistrale in Storia e Critica dell’Arte alla “Sapienza” e con diversi master teatrali come attrice».

Ricorda qualche figura veramente importante, decisiva in questo percorso?
«Direi Suor Silvana, la mia maestra delle elementari, la prima a farmi innamorare dello studio. Lei – e mio padre, il mio eroe silenzioso – hanno acceso in me quella curiosità che ancora oggi non si è mai spenta».

Vede una prospettiva rosea per i tanti artisti del nostro territorio?
«Credo che tutto dipenda da cosa intendiamo per “prospettiva”. Se parliamo della possibilità di continuare a creare, di esprimersi e di crescere artisticamente, allora sì. Se però per “prospettiva” intendiamo la possibilità di vivere esclusivamente della propria arte restando qui, il discorso si fa più complesso. Le difficoltà, soprattutto quando si lavora in dialogo con le istituzioni pubbliche, sono evidenti e spesso strutturali».

…e per gli eventi artistici nel nostro territorio?
«La situazione è complessa, ma non priva di segnali incoraggianti. Organizzare eventi artistici oggi significa muoversi in un contesto in cui entusiasmo e ostacoli convivono. Da una parte c’è ancora difficoltà nel creare vere collaborazioni tra istituzioni, enti privati e operatori culturali; dall’altra, cresce la consapevolezza del valore che la cultura può avere per un territorio e, di pari passo, l’entusiasmo, la passione e la motivazione personali».

Non parliamo, però, solo di aspettative personali…
«Investire in cultura è una delle poche strade ancora capaci di generare bellezza e crescita reale per tutti».

Come nasce l’impegno come direttrice del Museo “Acadèmie Vitti” di Atina?
«Nasce da un rimprovero del mio relatore dell’Accademia di Belle Arti di Roma, il professor Marco Nocca, che mi retarguì perché non conoscevo il museo in questione, vicinissimo al mio luogo di residenza. Mi raccontò così la storia di Maria Caira, una donna straordinaria che, partita dalla Valle di Comino, riuscì a fondare a Parigi la prima accademia di disegno aperta anche alle donne».

E quindi conobbe…
«…conobbi Cesare Erario, discendente diretto della famiglia e oggi erede di questa incredibile vicenda. Visitai il museo e colpo di fulmine fu!».

Che cosa rappresenta oggi il Museo?
«Un piccolo scrigno di memoria e di futuro insieme. Stiamo lavorando a nuove collaborazioni, a progetti di valorizzazione e formazione e soprattutto alla prima edizione del Premio d’Arte Académie Vitti 2026, che rappresenta per me un sogno. È un modo per rendere omaggio a Maria Caira, a quella sua visione rivoluzionaria di un’arte “al femminile”».

Un filo rosso, neppure tanto sottile, divide l’interesse dal disinteresse dei giovani verso il palcoscenico…
«Occorre dire che quelli che si avvicinano alla recitazione lo fanno con stimoli diversi rispetto al passato. L’avvento dei social ha esaltato le immagini, l’istantaneità, la velocità visiva e soprattutto la narrazione di sé. L’importante è aiutarli a comprendere che recitare non significa “mostrarsi”, ma “rivelarsi”, che dietro ogni gesto, ogni parola, ogni emozione, c’è un lavoro di ricerca, di ascolto e di disciplina».

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