Spazio satira
L'intervista
01.07.2025 - 14:00
Giuseppe Nalli, scrittore e poeta di Ceprano
Per un caso del destino, Giuseppe Nalli, poeta cepranese, si imbatte in un libricino impolverato e, un po’ da storico e un po’ da investigatore, scopre l’identità dell’autore, un misterioso artista del novecento che ha trascorso diversi anni della sua breve vita in Ciociaria.
Quando ha cominciato a scrivere poesie?
«Ricordo di aver avuto i miei primi approcci con la poesia da giovanissimo. In molte occasioni ho cercato di condividere e di trasferire questo interesse anche ai miei amici, ma ciò ha provocato in me la prima frattura, scavando un solco che negli anni è andato via via approfondendosi. Alle splendide giornate adolescenziali trascorse con gli amici d’infanzia e generate dall’assoluta leggerezza, mi ritagliavo in parallelo uno spazio introspettivo nel quale sperimentavo i primi versi. Scoprivo e mi formavo sulla scuola francese dei cosiddetti poeti maledetti, per seguire poi Prévert, García Lorca e Neruda e arrivare ai Crepuscolari e gli Ermetici. Naturalmente tutto ha preso il volo con l’esigenza intima di comunicare e condividere il bello che mi circondava».
Quali sono i temi che ama trattare?
«Con un personale registro, tarato soprattutto su ciò che mi circonda, affronto i grandi temi esistenziali mettendomi spesso a nudo ma anche facendo ricerca e sperimentando nuove forme espressive che, spesso, tentano di restituire al lettore una cartina al tornasole per entrare nella parte più intima della poesia e forgiarla a proprio piacimento, quasi sostituendosi alla prima forza generatrice in mano al poeta. So che non è facile entrare in queste dinamiche, ragion per cui cerco sempre di evitare l’esegesi. Negli anni ho sentito sempre più il bisogno di avvicinarmi a un rapporto più diretto con i lettori, approdando al racconto breve, sempre attento ai registri poetici e alle problematiche sociali legate al disagio e l’emarginazione, oltre all’inadeguatezza disarmante della vita che nega spesso la restituzione di una dignità ai meno fortunati».
Che cosa è la poesia?
«La poesia è la panacea, la risposta attraverso cui tutto può compiersi. In poesia accade ciò che nella vita reale è inarrivabile. Ma è anche una condanna, uno stigma. Qualcosa di cui vergognarsi nella società attuale. Ricordo alcuni episodi, soprattutto nei luoghi di lavoro, nei quali manifestavo il mio punto di vista, spesso diverso o distante dagli altri, e venivo tacciato con la frase: “Vabbè, ma tu sei poeta!”. In questa frase c’è tutto e basta a spiegare molto con poco. Posso affermare, però, che la poesia mi ha salvato da una vita piatta, ordinaria, comune».
Perché l’interesse per Jean Bartò?
«Era il 1983, a casa di un amico, quando mi soffermai con lo sguardo su un volumetto nella libreria, il più piccolo e anonimo tra tutti. Si trattava di una plaquette (opuscolo, dal francese, ndr) di poche pagine, con immagini e poesie. Il titolo era “Metamistica”, l’autore Jean Bartò e il 1968 l’anno di pubblicazione, edizione P. Petrus. Bastarono pochi accenni sull’artista a solleticare la mia curiosità e chiesi il libriccino in prestito. Nei giorni a seguire lo sfogliai più volte, non riuscendo a staccarmi da quelle pagine. Quando restituii l’opera all’amico, venni a conoscenza di ulteriori particolari e capii di essermi imbattuto in un personaggio davvero eccezionale».
Ed ecco allora il suo “Jean Bartò. La lezione metamistica negli anni cepranesi” (Youcanprint Editore, 2025).
«Con una ricerca approfondita, dopo molti anni, indago sulla breve vita tormentata di un artista controverso e schivo, ispirato e irrequieto. Il libro contiene la ristampa anastatica dell’ormai introvabile “Metamistica”, alcune testimonianze rilasciate da chi lo conobbe bene e lo frequentò, la riproduzione di oltre novanta opere trovate sul territorio, la probabile causa della prematura morte e la scoperta della sepoltura con il suo vero nome. Ho impiegato tanto tempo nella ricerca del personaggio, indagando nei brefotrofi di Milano e negli uffici dei cimiteri limitrofi per districare la matassa aggrovigliata della breve vita dell’artista. Quando ero sul punto di arrendermi, ho ritrovato la tomba originale. Oggi sappiamo come si chiama Jean Bartò, quando è nato e quando è morto. Ha vissuto soltanto trentanove anni ma sappiamo finalmente dove portare un fiore. Della sua breve vita ha vissuto circa dieci anni a Ceprano. Qui ha avuto intere famiglie e molti amici che lo hanno ospitato e gli hanno voluto bene. Qui ci sono molte opere pittoriche in case e luoghi pubblici. Poi, su suggerimento di mia moglie Angela, ho chiesto al sindaco Marco Colucci di riportare la salma a Ceprano, anche e soprattutto per la concessione ormai scaduta nel cimitero di Milano. La famiglia Cervoni, che lo ha lungamente ospitato in vita, si è dichiarata poi disponibile ad accoglierne i resti nella propria cappella di famiglia. Non potevo auspicare di meglio!».
Ha un desiderio circa il suo futuro professionale?
«Mi piacerebbe essere circondato da più bellezza».
Non a caso, nel congedarsi da Ciociaria Oggi, Giuseppe Nalli ci saluta citando il famoso aforisma attribuito a Fëdor Dostoevski: “La bellezza salverà il mondo”.
Edizione digitale
I più recenti
Ultime dalla sezione