Spazio satira
L'intervista
13.05.2025 - 17:14
L'avvocato Attilio Facchini
Narra le emozioni, cogliendole con la passione che sfugge alla sua razionale professione forense. Attilio Facchini, sorano, ci parla delle sue fatiche letterarie.
“Come un dente di leone” (Rizzoli, 2024): perché questo titolo per la sua ultima fatica?
«La protagonista del libro ha una mania: non può fare a meno di vedere la sua vita come un giardino o un orto botanico. Così, tutti quelli che incontra, prima o poi, diventano fiori o piante: la prof di italiano è una violetta, quella di matematica un cactus e la terribile Micaela una pianta carnivora. Il dente di leone è un fiore fragilissimo, ma anche coraggioso e fiero, come Alessandro, il nuovo compagno di classe di Grazia. Per onestà intellettuale devo confessarle che il bellissimo titolo non è una mia trovata, ma di Stefania Di Mella, editor di Rizzoli».
Qual è la trama?
«È la storia di Grazia Pia Letizia che, con questo fantastico nome che si ritrova, non è molto popolare a scuola. È una ragazzina introversa, che ama leggere e suonare la musica classica, con una madre apprensiva che la spinge a essere più socievole e a buttarsi nelle situazioni. Grazia Pia è presa di mira dalle bulle della classe, contro cui sfodera il suo innato senso dell’ironia. Un giorno come tanti, a scuola arriva Alessandro, un nuovo compagno, definito “speciale” dalla professoressa, antipatico e simpatico, fragile come un dente di leone, eppure fortissimo e coraggioso. Grazia Pia sarà da lui trascinata in un mondo fantastico, in cui è possibile sopportare il più grande dei dolori e vivere la più indimenticabile delle amicizie».
Perché un libro per ragazzi in questo momento della vita?
«Fino a qualche anno fa scrivevo per lo più racconti destinati a un pubblico adulto. Poi mi è accaduto qualcosa: sono diventato padre. Da quel momento, ho iniziato a vedere il mondo con occhi diversi, attraverso il filtro dello sguardo dei miei figli».
Quando ha cominciato a scrivere racconti e perché?
«Purtroppo non ho iniziato presto, anche se ho sempre avuto la passione per le storie. Quando ero uno sconclusionato adolescente, scrivevo sceneggiature di cortometraggi che poi realizzavo assieme a un gruppo di amici pazzi e stralunati come me. Poi, intorno ai trent’anni, ho cominciato a frequentare un gruppo di narrativa. Man mano che scrivevo, mi accorgevo di appassionarmi sempre più all’idea di raccontare storie che potessero in qualche modo emozionare, far riflettere, discutere, divertire».
A quale genere appartiene “La terra dei Ciclopi” (Alcheringa Editore, 2016)?
«È una raccolta di otto novelle di genere fantastico, ispirate a figure leggendarie di queste terre: vi si trova quindi il famigerato Babbacello, oppure la storia di Francesco, il bambino imbalsamato nel Castello di Fumone. E poi, la Seconda Guerra Mondiale che tanti soldati di queste zone ha visto cadere assiderati in quel di Stalingrado, o ancora le Streghe che hanno popolato le fantasie degli avi».
Qual è la soluzione stilistica della raccolta?
«Ogni novella ha determinati protagonisti ed è ambientata in un dato tempo. I suoi personaggi, però, si possono ritrovare, come comprimari, anche nelle altre novelle. Il filo conduttore è la “Terra dei Ciclopi”, cioè i paesi e le città della Ciociaria in cui sono ambientate le vicende: Sora, Broccostella, Isola del Liri, Posta Fibreno, Alvito, Fumone, Alatri, Strangolagalli».
Ciclopi e Ciociaria: in che rapporto stanno?
«La Terra dei Ciclopi è quell’ampia zona dell’Italia centrale che ha come epicentro il fiume Liri, anche detta Ciociaria, famosa per le mura ciclopiche che circondano diversi centri storici, i cui nomi iniziano tutti con la A: Atina, Alatri, Anagni, Arpino e Antino, la vecchia Ferentino. La leggenda narra che queste mura furono erette proprio dai mitici Ciclopi, sbarcati sulle rive del Tirreno e rifugiatisi tra i monti degli Ernici».
Chi potrebbero essere oggi i Ciclopi?
«Riallacciandomi anche al mio più recente romanzo, forse oggi i Ciclopi potrebbero essere i “Denti di Leone”, persone cioè fragilissime, ma con una grande forza vitale e coraggio da vendere, capaci con la propria sensibilità e gentilezza di sollevare macigni e innalzare mura mastodontiche».
Che cosa è per lei la Ciociaria?
«La Ciociaria è stata anzitutto la mia placenta, il luogo cioè dove sono nato e cresciuto, e Sora è al centro di tutto questo, e non solo metaforicamente. Come diceva Vittorio De Sica nel “Generale della Rovere” di Rossellini, per sfuggire all’inquisizione di due soldati tedeschi che ce l’avevano con Napoletani e Romani: “Veramente… Io sono nato a Sora, una cittadina tra Napoli e Roma”».
Ha un suo desiderio legato alla narrativa?
«Beh, mi piacerebbe che un giorno potessi alzarmi la mattina e avere davanti a me un’intera giornata da dedicare alla scrittura. Farne cioè il mio lavoro principale. Questo vorrebbe dire che nel frattempo avrò continuato a scrivere e che le mie storie saranno state apprezzate da un numero sempre maggiore di persone».
Edizione digitale
I più recenti
Ultime dalla sezione