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L’economia in picchiata nell’inverno demografico

In provincia di Frosinone (dati Inps e Istat elaborati dalla Cgia di Mestre) ci sono 171.000 pensionati e 172.000 lavoratori. Una situazione che sta precipitando

inps

La sede dell'Inps di Frosinone

Segnali chiari. E tutti negativi per le prospettive economiche, sociali e occupazionali della provincia di Frosinone. Segnali che però cadono nel vuoto, senza essere raccolti. Come se negare l’evidenza servisse ad esorcizzare un’emergenza notevole. In provincia di Frosinone (dati Inps e Istat elaborati dalla Cgia di Mestre) ci sono 171.000 pensionati e 172.000 lavoratori. Una situazione che sta precipitando. Non solo in Ciociaria, ma in questo caso non può valere l’adagio del “mal comune, mezzo gaudio”. Nel giro di pochi anni, se tutto resta così, ci sarà il sorpasso: si pagheranno più pensioni che stipendi, con effetti facilmente intuibili. Perché se gli assegni erogati dall’Inps supereranno le buste paga degli impiegati e degli operai, allora verrà messa pesantemente in discussione la sostenibilità economica dell’intero sistema previdenziale. Ma pure sanitario.

Inoltre, è evidente che un Paese e un territorio che fanno registrare una popolazione sempre più anziana avranno problemi enormi sia a far quadrare i conti pubblici che a mantenere i livelli finanziari raggiunti. Non solo: inevitabilmente aumenterebbe, come segnala la Cgia di Mestre, la spesa sanitaria, pensionistica, farmaceutica e più in generale assistenziale. Penalizzando pesantemente le prospettive di interi settori che invece fanno affidamento su una popolazione più giovane. Pensiamo al turismo (le strutture ricettive), ai trasporti, al mercato immobiliare. Ma anche ai consumi e agli investimenti. I dati dello studio della Cgia fanno riferimento al 2022, ma sinceramente si fa fatica a pensare che in questo ultimo anno e mezzo il numero degli occupati sia cresciuto maggiormente rispetto alle pensioni corrisposte. Il corto circuito sta tutto qui.

Il lavoro precario restringe gli orizzonti
Altro segnale inequivocabile. Nei primi tre mesi del 2024 (dati Inps elaborati dalla Cgil) in provincia di Frosinone si sono registrate 11.342 assunzioni: -0,93% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Ma il punto non è soltanto questo: il 51,24% dei contratti (5.812) è a termine, il 19,48% (2.210) a tempo indeterminato. Poi ce ne sono 2.191 in somministrazione (19,31%), 664 in apprendistato (5,85%), 273 con contratto intermittente (2,40%), 192 stagionali (1,69%). In dodici mesi sono diminuiti del 12,54% i contratti a tempo indeterminato e aumentati del 2,16% quelli a termine. Trend molto chiaro. Il tutto nell’ambito di un inverno demografico significativo. Frosinone è la provincia del Lazio che ha perso più abitanti, come conferma l’ultimo censimento Istat sulla popolazione al 31 dicembre 2022. I residenti sono 467.866: -2.823 rispetto all’anno precedente. E nel 2031, secondo le previsioni Istat, ce ne saranno 450.895. Meno residenti vuol dire meno consumi, meno risparmi, perfino meno tasse pagate per garantire i servizi. Questo è lo stato delle cose. Bisogna altresì aggiungere quella che viene definita la “fuga dei cervelli”. Che poi significa la “fuga dei giovani”. Il fenomeno è assai diffuso: i “nostri” ragazzi vanno a studiare e a lavorare altrove. Questo in prospettiva significherà un isolamento sempre più marcato, l’irrilevanza di un territorio che è stato centrale nel periodo del boom economico, tra il 1958 e gli anni Settanta e Ottanta. Ma per far rimanere (o far tornare) i giovani in provincia di Frosinone non c’è che una strada: il rilancio economico che determina occupazione stabile. Inutile raccontare storie però: le condizioni non si vedono.

Le infrastrutture e il macigno della burocrazia
Le priorità sono conosciute da tutti, a cominciare da una politica perennemente concentrata sulle prossime elezioni e mai su una visione di territorio. Le strategie di rilancio dovrebbero passare dalle infrastrutture e dalle risposte alle imprese. Ma ormai sono diventate pagine ma scritte del libro dei sogni. La Stazione Tav doveva essere l’architrave: area individuata tra Ferentino, Sgurgola, Morolo e Supino. Nel cuore della zona industriale di Frosinone, a due passi dal casello autostradale di Ferentino e dalla superstrada Ferentino-Frosinone-Sora. Bisognava far inserire l’opera nel Piano industriale decennale di Ferrovie dello Stato, quello 2022-2031. Nel quale sono stati previsti investimenti da 190 miliardi di euro. Non ci si è riusciti. Punto. La Ciociaria avrebbe bisogno di un Piano di manutenzione del comparto manifatturiero e industriale, più volte sollecitato. Zero carbonella. L’attuale vicepresidente di Confindustria Angelo Camilli, nella sua ultima relazione da numero di Unindustria, ha detto: «Il Lazio non deve essere più luogo in cui un’impresa aspetta in media 300 giorni per un’autorizzazione ambientale. In 300 giorni è stato ricostruito il ponte di Genova. Ridurre a 90 giorni questa performance sarebbe già il segno del salto in avanti che vogliamo». Già. Per non parlare della bonifica della Valle del Sacco e della riperimetrazione del Sin. A nulla è servita la vicenda della Catalent, che negli anni scorsi ha spostato in Inghilterra un investimento di 100 milioni di dollari inizialmente previsto per la zona di Anagni. L’istituzione del Sin (Sito di interesse nazionale) del Bacino del fiume Sacco è stata effettuata sul principio della potenzialità, non della verifica dell’effettivo grado di contaminazione. E quando qualcuno si è azzardato a chiedere una sospensione del Sin per procedere all’acquisizione delle informazioni necessarie a rivalutare la perimetrazione (sulla base dei dati reali e non a tavolino), apriti cielo. Il risultato? In un contesto del genere per le realtà produttive è difficilissimo, se non impossibile, investire. Creando valore, sviluppo, occupazione. Eppure, nessun sussulto.

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