Pagine di storia
23.02.2024 - 21:00
A seguito dello sbarco delle truppe angloamericane in Sicilia nel luglio del 1943, e di quello poi effettuato a Salerno a settembre dello stesso anno, il principale fronte europeo del secondo conflitto mondiale divenne l'Italia. Nel corso dell'inverno del 1944 le forze Alleate iniziarono a risalire la penisola ma, ad un certo punto, si trovarono di fronte al poderoso sbarramento difensivo tedesco denominato "Linea Gustav" (che attraversava il nostro territorio dalla foce del Garigliano ad Ortona) che, grazie alle robuste opere di fortificazione ordinate da Hitler proprio in vista di una possibile offensiva angloamericana, sfruttava abilmente le peculiarità dell'aspra conformazione orografica appenninica.
La zona più adatta per tentarne lo sfondamento era quella che passava per il Basso Lazio, ed in particolare per la città di Cassino. Pertanto, per comprensibili ragioni strategiche, bisognava espugnarla a qualsiasi costo, e poter così riuscire ad arrivare (quanto meno) sino a Roma. Il maresciallo britannico Alexander, in una lettera inviata a Winston Churchill, aveva illustrato le ragioni di quella scelta. Conquistare Cassino avrebbe infatti consentito alle forze alleate di sfruttare la strada che, passando per Frosinone, conduceva direttamente alla Città Eterna: la consolare Casilina.
Tale soluzione veniva considerata come la preferibile, perché quell'ampia via di comunicazione avrebbe consentito un massiccio utilizzo delle forze corazzate (settore bellico nel quale gli angloamericani vantavano una schiacciante superiorità). Per riuscire in quel difficile intento le milizie alleate ritennero opportuno operare un'avvolgente azione "a tenaglia", effettuando dapprima un imponente sbarco di truppe ad Anzio, e poi scatenando una violentissima offensiva su Cassino. Cosa che costrinse i contendenti a combattere una delle battaglie più dure e sanguinose della Seconda Guerra Mondiale.
Essa si sviluppò tra gennaio e maggio del 1944, e gli storici tendono a suddividerla in quattro parti. La prima si svolse tra il 12 gennaio ed il 12 febbraio nel vasto settore della "Linea Gustav" compreso tra i Monti delle Mainarde ed il Mar Tirreno nella zona di Minturno. Essa contribuì ad avvicinare le truppe alleate a Cassino, ma non consentì lo sfondamento dello sbarramento difensivo tedesco. Bisognava trovare il modo di riuscirci. La cosa tuttavia non appariva facile perché la principale preoccupazione dei comandi angloamericani era costituita dall'altura dove era situata la splendida abbazia benedettina di Montecassino, che sovrastava la cittadina, e dalla quale era possibile controllare agevolmente la sottostante vallata.
Con l'erronea convinzione che all'interno del complesso monastico si nascondessero nutrite milizie tedesche, gli Alleati decisero di bombardare pesantemente l'edificio sacro e la zona circostante. Prima di farlo si premurarono però di avvertire preventivamente i monaci che lo abitavano ed i profughi che vi si erano rifugiati, lanciando un volantino sul quale era scritto: «Amici italiani, attenzione!!! Noi abbiamo sinora cercato in tutti i modi di evitare il bombardamento del monastero di Montecassino. I tedeschi hanno saputo trarre vantaggio da ciò. Ma ora il combattimento è ancora più stretto attorno al Sacro Recinto. È venuto il tempo in cui, a malincuore, siamo costretti a puntare le armi contro il monastero stesso; noi vi avvertiamo, perché voi abbiate la possibilità di porvi in salvo. Il nostro avvertimento è urgente: lasciate il monastero. Andate via subito. Rispettate questo avviso. Esso è stato fatto a vostro vantaggio».
Il 15 febbraio ben 142 Fortezze Volanti sganciarono 287 tonnellate di bombe dirompenti, e 66 tonnellate di bombe incendiarie; successivamente, altri 87 aerei da bombardamento lanciarono altre 100 tonnellate di ordigni di alto potenziale. La totale distruzione dell'abbazia che fu determinata dall'attacco, colpì profondamente l'opinione pubblica di tutto il mondo. Tanto è vero che il capo della chiesa protestante d'Inghilterra, l'arcivescovo di Canterbury, deplorò pubblicamente la decisione di colpirla, in quanto il monastero «non apparteneva soltanto all'Italia, ma all'intera umanità»; mentre il generale Clark (il comandante della V Armata statunitense), nel suo diario di guerra fu costretto ad ammettere che «il bombardamento era stato un errore».
Una volta finita la guerra, l'alto ufficiale americano, probabilmente preso dal rimorso per la scellerata decisione che aveva preso, offrì all'abate dell'abbazia, quale suo contributo personale per la ricostruzione dell'edificio, ben 200.000 lire (una cifra enorme, per l'epoca). Ma l'alto prelato rifiutò l'offerta, rispondendo: «L'hanno distrutta, e allora che rimanga distrutta a loro vergogna». Fortunatamente, prima del bombardamento, una parte dei tesori artistici e storici dell'abbazia era stata già trasferita a Roma (e precisamente a Castel Sant'Angelo) ad opera del comando tedesco. Un chiaro segno di rispetto verso le autorità vaticane.
La terza battaglia di Cassino, dopo quasi un mese di relativa calma, iniziò invece la mattina del 15 marzo. Intorno alle 8.30 venne infatti scatenato un violentissimo bombardamento aereo il quale (come risulta da una lettera inviata dal maresciallo Alexander a Churchill il 20 marzo del 1944), fu portato a termine utilizzando dapprima «tutti gli aerei presenti nel Mediterraneo» (che scaricarono 1.320 tonnellate di bombe), e poi ben 800 pezzi di artiglieria pesante, che spararono oltre 200.000 colpi, e lanciarono sulla città altre 1.200 tonnellate di esplosivo.
Quel terrificante martellamento da terra e dall'aria, che durò oltre otto ore, incontrò un'incredibile resistenza delle truppe tedesche, tanto è vero che il già citato maresciallo Alexander, ricordando gli eventi di quel drammatico giorno, e rendendo in qualche modo omaggio alle milizie tedesche, ritenne opportuno scrivere: «Stento a credere che vi siano altre truppe al mondo che avrebbero potuto resistere a tale tempesta di fuoco, e poi passare all'attacco con la ferocia da essi dimostrata». Dal 15 al 20 marzo i due schieramenti nemici diedero corpo a furiosi combattimenti per le vie della città, oramai ridotte a cumuli di macerie. Il 22 marzo venne tentato un ultimo assalto da parte delle truppe alleate; ma i progressi territoriali furono sostanzialmente insignificanti.
La quarta ed ultima battaglia di Cassino fu invece combattuta tra l'11 ed il 18 maggio del 1944. Stavolta, però, le cose andarono diversamente, in quanto gli angloamericani (che stavolta avevano avuto cura di radunare attorno al teatro dello scontro forze tre volte superiori), riuscirono finalmente a sfondare la leggendaria "Linea Gustav". Nonostante ciò, quella di Cassino, è unanimemente considerata dagli storici, come una "vittoria difensiva tedesca", in quanto le truppe naziste riuscirono a bloccare gli alleati per oltre quattro mesi, causando perdite umane e materiali ingentissime. Basti infatti pensare che i primi persero 55.000 uomini, mentre "solo" 20.000 furono i soldati teutonici feriti o uccisi.
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