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L’uomo che ha creato un’icona

La Vespa e il genio italiano

Nel dopoguerra ridiede speranza e movimento a un Paese in ricostruzione. Fu tutto merito di Enrico Piaggio. Che affidò l’incarico di progettarla a Corradino D’Ascanio

vespa pixabay

Nel 2013, per celebrare la “Giornata internazionale dell’Industrial Design”, l’emittente televisiva americana Cnn effettuò un sondaggio tra i dodici maggiori esperti mondiali del settore, chiedendo di individuare altrettanti prodotti che – secondo la loro opinione – fossero in grado di rappresentare al meglio la creatività industriale degli ultimi cento anni. In quella prestigiosa classifica entrò (a mio modesto avviso con pieno merito) anche la “Vespa”, e cioè uno degli oggetti che hanno maggiormente identificato lo stile, il gusto, e l’impareggiabile inventiva italiana. Il prestigioso riconoscimento venne attribuito, dai giudici, con la seguente motivazione: «Il suo design unisex è geniale, può essere guidata indifferentemente, e con eleganza, sia un uomo raffinatamente vestito, che da una donna che indossi una gonna. Immortalata da Fellini, ne “La dolce vita”, e amata dai Beatles, la Vespa ha avuto un impatto profondo sulla cultura e sulla società».

L’idea di un veicolo che fosse in grado di aiutare il nostro Paese a guardare con maggiore fiducia agli anni del Secondo Dopoguerra, venne ad un intraprendente giovanotto ligure di nome Enrico Piaggio. Di cui – giusto ieri – ricorreva il sessantesimo anniversario della morte. Secondogenito di Rinaldo Piaggio, il quale, assieme al padre, alla fine dell’Ottocento, aveva fondato la “Società Rinaldo Piaggio” (poi trasformata nella “Piaggio & co.”). L’azienda aveva iniziato ad operare nel difficile ed esclusivo settore degli arredamenti degli interni delle imbarcazioni e dei piroscafi, per poi dedicarsi alle costruzioni ferroviarie, e, successivamente, alle produzioni aeronautiche. Nato a Pegli il 22 febbraio del 1905, Enrico si laureò in Economia e Commercio nel 1927. Prese tuttavia le redini della società soltanto alla morte del padre, avvenuta nel 1938, in un periodo storico particolarmente difficile e delicato. Ma i momenti davvero difficili dovevano ancora arrivare. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, infatti, l’industria italiana si ritrovò in una grave situazione di crisi. Strutturale, operativa e finanziaria. Servivano capitali che fossero in grado di far ripartire il Paese, e buone idee che la rilanciassero. Ad aiutare concretamente il difficile processo di riorganizzazione e ricostruzione del sistema industriale italiano fu il “Piano Marshall”, che garantì infatti alle imprese un notevole afflusso di denaro fresco.

Nonostante ciò, la “Piaggio”, non riuscì a reinserirsi efficacemente nel difficile e competitivo mercato internazionale delle produzioni aeronautiche, e rischiava di fallire. Fu allora che Enrico Piaggio decise con grande coraggio di cambiare settore produttivo, imbarcandosi nella difficile impresa di assecondare le sempre crescenti esigenze di mobilità della popolazione italiana. Lo fece ideando e producendo un veicolo a due ruote che potesse essere alternativo all’automobile (oggetto che, all’epoca, era considerato di lusso), e che fosse comodo ed a basso costo. Per la sua realizzazione, Piaggio, si rivolse in un primo momento a Renzo Spolti, uno dei tecnici più bravi ed esperti dell’azienda. Quest’ultimo, ispirandosi ai modelli degli scooter che erano stati utilizzati dalle varie forze armate in ambito bellico, propose l’idea della “Moto Piaggio 5”, poi affettuosamente soprannominata “Paperino”. Enrico tuttavia non rimase molto contento del progetto, che trovava poco innovativo, esteticamente discutibile e di scomodo utilizzo. Ed allora affidò l’incarico al geniale ingegnere abruzzese Corradino D’Ascanio, il quale, come ricorda Basilio Perri in un’interessante monografia sul grande imprenditore ligure, creò “una moto a scocca portante, completata da due cofani laterali a forma vagamente aerodinamica, che non aveva bisogno di un tunnel centrale entro cui alloggiare il motore.

Adottò una sospensione anteriore ispirata a quella dei carrelli per aerei, e creò un motore di 98 cc, concettualmente derivato dai motori d’accensione aeronautici, di progettazione e produzione Piaggio. Spostò il cambio sul manubrio, ritenendolo molto più pratico da usare, coprì il motore con il telaio per rimediare alle frequenti perdite d’olio che macchiavano i pantaloni (soluzione, questa, già adottata sull’MP5), e aggiunse la ruota di scorta. Modellò inoltre la posizione di guida attorno al disegno di un uomo comodamente seduto su una poltrona, affinché risultasse meno faticosa possibile. Quell’innovativo e geniale progetto industriale, ufficialmente denominato “MP6”, venne poi battezzato “Vespa”. L’origine del nome non è stata mai del tutto chiarita. Per qualcuno è dovuto ad una spontanea affermazione dello stesso Enrico Piaggio, il quale era stato colpito dalla parte centrale del veicolo, che richiamava la strettissima “vita” dell’insetto. Per altri, non sarebbe altro che l’acronimo di “Veicoli Economici Società Per Azioni”.

Per altri ancora sarebbe soltanto il frutto della “cessione” di una denominazione che era stata precedentemente registrata dalla concorrente casa motociclistica Agusta. Il primo lotto di produzione del nuovo scooter venne avviato nel febbraio del 1946. Il 23 aprile venne depositato, presso l’Ufficio Brevetti di Firenze, il “Modello di utilità n.25546 per una motocicletta a complesso razionale di organi ed elementi con telaio combinato e cofano ricoprenti tutta la parte meccanica”. Per la produzione in serie delle scocche stampate, la Piaggio si rivolse all’Alfa Romeo. La “Vespa” venne inizialmente commercializzata in due versioni: la “Lusso” (del costo di 61.000 Lire, equivalenti più o meno allo stipendio di un anno di un operaio), e la “Normale” (più, spartana, che costava 55.000 Lire). Il suo successo commerciale fu travolgente, come spesso avviene per le idee più geniali. Tuttavia, la complessiva povertà di base della popolazione italiana dell’epoca, non consentì una diffusione immediata del pur innovativo motociclo.

In ogni caso, già nei primi anni Cinquanta, la rete commerciale della Piaggio era estesa a livello mondiale, contando oltre diecimila punti vendita in più di cento paesi. A metà degli anni Sessanta, complici anche alcune tensioni sociali tra l’azienda ed i lavoratori, ci fu un momento di calo delle vendite, che sino ad allora erano andate sempre in crescendo. Agli inizi di ottobre del 1965, durante un duro sciopero che era stato indetto dagli operai dello stabilimento di Pontedera, Enrico Piaggio ebbe un grave malore, dal quale non si riprese mai. Morì, infatti, il 16 ottobre, nella sua villa di Varramista, nei pressi di Montopoli. Al suo coraggio, alla sua visionaria intraprendenza, ed alla sua geniale inventiva, tutto il mondo deve profonda riconoscenza. Per aver dato forma ad uno degli oggetti più belli e conosciuti della storia dell’industria meccanica mondiale.

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