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L'anniversario

Lenin, l'uomo che fece la rivoluzione

Cento anni fa moriva il politico che portò il popolo al potere. L'analisi storica nell'ultimo libro dello scrittore Guido Carpi

Il 21 gennaio del 1924, e quindi esattamente cento anni fa, esalò l'ultimo respiro Vladimir Il'ic Ul'janov, universalmente conosciuto in tutto il mondo come Nikolaj Lenin (pseudonimo da lui assunto nel 1901 e derivato da quello del grande fiume siberiano Lena). Il famoso rivoluzionario russo è senza alcun dubbio da annoverare tra i personaggi più importanti ed influenti del XX secolo, e questo perché attraverso la sua appassionata visione politica, economica e filosofica, non solo contribuì fattivamente a dare vita e impulso alle rivoluzioni che si verificarono nel suo paese nel 1905 e nel 1917, ma soprattutto perché ebbe la capacità di riuscire a segnare in maniera profonda la storia dell'intera ideologia comunista.

La gioventù di Lenin fu fortemente condizionata dalla morte del fratello Alexandr, il quale venne giustiziato nel 1887 per tentato regicidio. Tale tragico avvenimento alimentò il suo impegno politico, e soprattutto la sua naturale vocazione rivoluzionaria. Nello stesso anno si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza, laureandosi poi brillantemente. Nel 1893 giunse a Pietroburgo, dove cominciò a frequentare assiduamente gli ambienti della sinistra più radicale, ed a farsi notare per la sua appassionata visione ideologica, che era particolarmente critica nei confronti dei populisti e dei "marxisti legali", a suo avviso troppo adusi ad un comodo disimpegno politico.

Nel 1895 fondò (con grande successo e seguito popolare) l'Unione di lotta per l'emancipazione della classe operaia, ma proprio a causa delle sue idee troppo "estremiste", l'anno seguente venne arrestato e poi deportato – assieme ai suoi compagni – in Siberia. È in questo periodo che prendono forma nella sua mente i principali cardini dell'ideologia politica che è universalmente conosciuta come "leninista", e che segnarono poi, in maniera profonda, la storia dell'intero Novecento. Dopo essere stato rilasciato Lenin fornì il suo decisivo apporto alla nascita de "L'Iskra" (la scintilla), l'organo che contribuirà alla caratterizzazione politica del movimento socialdemocratico russo.

Lenin sosteneva che per poter riuscire ad adeguare efficacemente il marxismo alla realtà del suo tempo sarebbe stato necessario mettere in piedi un'organizzazione politica che fosse costituita da rivoluzionari di professione; organizzazione che, attraverso una "dittatura democratica rivoluzionaria del proletariato e dei contadini", avrebbe poi dovuto diventare una sorta di elemento distintivo della "coscienza di classe". Con tale preciso ed ambizioso obiettivo egli esortò la folta massa degli operai e dei contadini russi ad assumere un ruolo più attivo nella vita politica. Lo fece utilizzando sapientemente forme comunicative assai dirette, e slogan inequivocabili (come "insurrezione armata").

Tale "aggressiva" visione politica finì per alimentare lo scontro tra i bolscevichi (e cioè i "maggioritari" del Partito Operaio Socialdemocratico Russo) e gli altri teorici della sinistra dell'epoca, i cosiddetti menscevichi (che erano, per l'appunto, i "minoritari"), i quali ritenevano invece che la conquista del potere non dovesse passare necessariamente attraverso un meccanismo rivoluzionario, ma potesse invece compiersi mediante la naturale scomparsa della borghesia.

Sulla figura del grande pensatore russo è stato da poco pubblicato, per Carocci Editore, un interessante volume, a firma di Guido Carpi, intitolato "Lenin, il rivoluzionario assoluto (1870 - 1924)". Dall'impegnativa lettura emerge chiaramente lo spessore e la profondità di un personaggio che, con l'obiettivo di provare a liberare l'uomo da ogni forma di alienazione, di combattere il concetto di imperialismo, e di eliminare le classi sociali ed attraverso un instancabile lavoro di modifica ed adattamento dell'originaria ideologia marxista, creò poi i presupposti per la nascita dell'Unione Sovietica.

Egli infatti – osserva l'autore del saggio, richiamando spesso ampi stralci dei copiosi scritti lasciati da Lenin – vedeva nei soviet «un governo rivoluzionario provvisorio in embrione, capace di fornire ai proletari e ai contadini quell'unità di azione da tempo auspicata e di costruire un centro politico alternativo al regime zarista».

Dato per assunto che, per gli operai, «la radice del male è il capitalismo, non la mancanza dei diritti, bisogna saper combinare la lotta per la democrazia con la lotta per la rivoluzione socialista, subordinando la prima alla seconda… la democrazia è dunque quel nesso temporaneo che unifica l'infinita pluralità delle lotte antimperialiste in corso o potenziali e al contempo è il gradino finito da cui inizia il movimento di tale infinita pluralità verso il socialismo… il capitalismo si sviluppa in modo ineguale, e la realtà oggettiva ci mostra, accanto alle nazioni capitalistiche molto evolute, tutta una serie di nazioni economicamente molto deboli e non sviluppate… tutte le nazioni giungeranno al socialismo, è inevitabile, ma non vi giungeranno tutte allo stesso modo, ognuna darà la sua impronta originale a questa o quella forma di democrazia, a questa o a quella variante di dittatura del proletariato, a questo o a quel ritmo di trasformazione socialista dei vari aspetti della vita sociale. È un'intuizione profetica – evidenzia argutamente Carpi – che condizionerà in modo irreversibile le più feconde lotte di liberazione del XX secolo».

Tale utopistica visione, certamente "nobile" da un punto di vista teorico, ma assolutamente irrealizzabile nella pratica, si scontrerà non solo con la complessa realtà del suo tempo (e delle epoche successive), ma – anche e soprattutto – con la natura umana, tendenzialmente "egoista" ed accumulatrice e di regola assai refrattaria ad un appiattimento forzato dei valori dei singoli individui. L'impossibilità di raggiungere gli obiettivi più visionari dell'ideologia leninista traspare chiaramente, ad esempio, da un passo emblematico che lo stesso Lenin scrisse: «Lo Stato potrà estinguersi completamente quando la società avrà realizzato il principio: ognuno secondo le sue capacità; a ognuno i suoi bisogni, cioè quando gli uomini saranno talmente abituati ad osservare le regole fondamentali della convivenza sociale, e il lavoro sarà diventato talmente produttivo che essi lavoreranno volontariamente secondo le loro capacità… La distribuzione dei prodotti non renderà più necessario che la società razioni i prodotti a ciascuno: ciascuno sarà libero di attingere secondo i suoi bisogni».

Appare evidente, dalle parole appena trascritte, l'irrealizzabilità del suo sogno e, all'orizzonte, l'inevitabile fallimento della sua "romantica" ideologia. Ed infatti, durante il corso della sua esistenza, egli fu "costretto" ad operare una serie di continue "correzioni" al nucleo della sua visione di fondo. Osserva Carpi che Lenin, in uno dei suoi scritti dedicati agli aspetti economici dello stato che sognava ed immaginava, precisò che «in un Paese dominato dalla piccola e piccolissima proprietà agraria, e prevalentemente organizzato in forme economiche precapitalistiche, non bisogna tentare di proibire o di sbloccare lo sviluppo del capitalismo, ma sforzarsi di incanalarlo nell'alveo del "capitalismo di stato", ammettendo – per ora con cautela, e pro tempore – forme di cooperazione capaci di incanalare lo spirito del capitalismo in forme che, almeno inizialmente, non entrino in contrasto con la prospettiva socialista che lo stato proletario si da».

Questo progressivo adattamento dell'ideologia marxista-leninista alla nuda realtà si nota soprattutto nella parte finale della vita del grande pensatore russo, ad esempio quando – sottolinea Carpi – con evidente senso pratico, egli affermò che i comunisti devono «calcolare e calcolare, e ognuno di voi deve diventare un uomo d'affari, imparare a contrattare con i lupi capitalisti che li accerchiano, e strappar loro una posizione dopo l'altra».
Questa continua correzione dell'originario impianto teorico, non solo disorientò diversi adepti, ma indusse addirittura il suo vecchio compagno Trockij, a rilevare acutamente che «in Lenin si potrebbero trovare senza difficoltà decine e centinaia di citazioni che, da un punto di vista formale, paiono contraddirsi le une con le altre».

A dire il vero, la visione politico-ideologica leniniana, astrattamente integerrima, venne sporcata da comportamenti a dir poco discutibili, seppur operati (ufficialmente) a fini "rivoluzionari". Evidenzia infatti a tal proposito Carpi che «i bolscevichi si danno agli espropri (i famigerati "esky"), gestiti da un gruppo finanziario particolare, controllato da Bogdanov e Lenin, che agisce in stretto contatto con bande che sono alla periferia del partito. Inizia così un crescendo di rapine sempre più spettacolari e cruente, fino all'apice dell'attività espropriative bolscevica… le risorse espropriate servono a procurarsi altre armi, anche di grosso calibro, e il gruppo finanziario particolare organizza un'efficace rete di contrabbando internazionale, mostrando un'inventiva mirabile».

Per non parlare del fatto che Lenin si distinse non solo per aver creato «un apparato repressivo e censorio a guardia del nuovo potere», ma anche per aver ordinato severi giri di vite verso la libertà di espressione, che egli riteneva «più pericolosa delle bombe terroristiche».

Inoltre, ricorda l'autore del saggio, «Lenin decreta la spoliazione sistematica di monasteri e chiese, con decisione spietata, senza fermarsi letteralmente di fronte a nulla, e nei tempi più stretti, per convertire i preziosi in cibo per le masse colpite dalla carestia, precisando: quanto più alto sarà il numero di sacerdoti e di borghesi reazionari che in questo frangente riusciremo a fucilare, tanto meglio. È proprio adesso che dobbiamo dare una lezione a questi signori, perché per qualche decina di anni non osino neppure pensare a resisterci».

Comunque la si pensi sulla portata, il valore e la correttezza delle teorie leniniste e sulla figura del grande pensatore russo, appare tuttavia incontestabile che il fermento ideologico da lui alimentato costituì il fertile terreno della rivoluzione del 1905 che rappresentò, secondo lo stesso Lenin, la "prova generale" di quella del 1917 (evento che di fatto, parafrasando il titolo della celebre opera di John Reed, cambiò per sempre il mondo). Tanto è vero che egli così ebbe a commentare: «Senza i tre anni di grandissime lotte di classe e della energia rivoluzionaria del proletariato russo degli anni 1905-1907, sarebbe stata impossibile una seconda rivoluzione così rapida, nel senso che la sua tappa iniziale si compì nel giro di pochi giorni. La prima rivoluzione (quella del 1905) arò profondamente il terreno, sradicò secolari pregiudizi, destò alla vita politica ed alla lotta politica milioni di operai e decine di milioni di contadini; mostrò, l'una all'altra ed a tutte le altre, le classi della società russa (e con loro tutti i principali partiti politici) nella loro reale natura, nelle loro effettive connessioni di interessi, nelle loro forze, nei loro metodi di lotta, nei loro scopi immediati e remoti».

Tuttavia, osservò acutamente a tal riguardo lo storico Valdo Zilli, «la rivoluzione del 1905 fu in realtà assai più della prova generale del 1917, fu il prologo di quelle rivoluzioni proletarie del XX secolo, che nel corso di un cinquantennio avrebbero segnato la fine del tradizionale imperialismo ottocentesco, e la suddivisione del mondo secondo diversi equilibri di forze politiche, e nuove ideologie».

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