Ritrovarsi, nel segno di un’amicizia nata sui campi di calcio e ingigantita dalla vita, che è sempre la partita più imprevedibile e fascinosa.
Di tanto in tanto, senza regole, quando il cuore ti riporta verso sapori antichi e ricordi. E i ricordi sono gocce di pioggia, coriandoli di nostalgia.
Nei primi anni 70 gli eroi della cittadina erano loro, quelli della squadra di calcio, una squadra che nel 1965 guadagnò gli onori della serie D e che conservò diritto di albergo in quella categoria per un decennio. Tutti al “Chiappitto”, a tifare per i colori verderosa. C’erano giocatori alatrensi, altri che sarebbero diventati tali per “adozione”, altri ancora che, pur tornati alle città di provenienza, avrebbero lasciato nella cittadina ernica uno spicchio di cuore.
E allora oggi ritrovarsi, ogni tanto, è una buona regola. Nel bel mezzo delle festività natalizie due messaggi WhatsApp, altrettante chiamate ed ecco che per le vie di Alatri si ritrova un gruppetto di quegli eroi in maglietta e pantaloncini.
Gli anni li hanno soltanto sfiorati, perché il tasto dei ricordi scatta in automatico e allora si torna in campo, a sfidare il Calangianus, la Tharros, il Latina, il Civitavecchia e la Tevere Roma.
Si raccontano storie di calcio, di quel calcio praticato nei campi di pozzolana, in quei rettangoli solo di rado verdi. Ma era un calcio per palati fini, perché la tecnica era grande protagonista. Forse non c’era la preparazione atletica dei calciatori di oggi, si giocava più affidandosi all’istinto e al talento. E talvolta a fine gara si arrivava con le energie in riserva.
L’idea iniziale era un aperitivo, poi però si decide di pranzare insieme, benché si sia reduci da maratone alimentari legate alle festività natalizie. E allora, tra una portata e l’altra, si rievocano partite storiche, ci si rinfaccia bonariamente la responsabilità di qualche gol preso, si torna a far squadra. E torna a battere il vecchio cuore verderosa.
C’è Carlo De Cesaris, portiere, e ci sono Gianni Di Rocco e Achille Castellano, i due “centrali” di difesa che la sua porta presidiavano in modo incisivo. C’è Giovanni Cella, il capitano, un giocatore che avrebbe potuto ambire, per tecnica e talento puro, ad altre platee, ma che con le ginocchia martoriate fu una colonna dell’Alatri e che ora ad Alatri vive, felice papà e nonno. Ci sono poi alcuni giovani di quell’epoca: il difensore Luigi Pica, il trequartista Alberico Pietrobono, il centrocampista di fascia Riccardo Cerica e l’uomo ovunque Amedeo Ludovici. C’è anche Antonio Piccirilli, centrocampista dai piedi buoni.
Qualcuno, avvertito in extremis, ha dovuto rinviare al prossimo appuntamento la seduta conviviale. Però Giuliano Farinelli, Aldelmo Rossi, Piras ed altri giocatori di quell’epoca portano i loro saluti almeno in voce. Qualcuno in realtà ora gioca dove il cuore non batte più il tempo, in quel Cielo che troppo presto ha raggiunto, lasciando però un ricordo indelebile nei suoi compagni di allora, compagni per sempre. Perché una squadra è sempre una squadra, e non sarà mai una malattia o una delle insidie di questo palcoscenico un po’ strambo che è la vita a romperne l’armonia.
Un brindisi, poi un altro, e basta così, perché ci sono le nuove norme stringenti a consigliare un consumo moderato. Meno moderate sono la condivisione, la gioia, la voglia di ricordare. Dopo il ristorante, la classica passeggiata fino alla piazza, con foto davanti alla Fontana Pia. Manca solo un pallone e poi la conta per “fare le squadre”. Magari la prossima volta. Oggi bastano i ricordi, quelli che sembrano avere un loro alveo inviolabile, al riparo dal tempo. Sono le foto mai sbiadite di quando un’intera cittadina sognava per quella squadra che era il suo orgoglio. “Olio, petrolio, benzina minerale, per vincere l’Alatri ci vuol la Nazionale”.