Spazio satira
Colpi di Testa
25.10.2019 - 13:00
Ricordo perfettamente quel sabato pomeriggio autunnale di quarant'anni fa. Una pioggerellina sottile cadeva quasi senza fare rumore, e lasciava presagire l'arrivo del prossimo Natale. Non ero riuscito a convincere nessuno dei compagni di scuola ad accompagnarmi al cinema per andare a vedere un film di fantascienza appena uscito, il cui minaccioso slogan («Nello spazio nessuno può sentirti urlare») era tutto un programma; ed il cui angosciante trailer, nei giorni precedenti, mi aveva molto colpito. Acquistai il biglietto e mi accomodai in platea. Già dalle prime immagini (un buio spazio interstellare nel quale viaggiava l'immensa astronave cargo "Nostromo") una strisciante inquietudine iniziò a pervadermi. Un'essenziale colonna sonora di sottofondo mi accompagnò all'interno della navicella.
Quelle immagini – quasi iconiche – le rammento ancora: lo schermo di un computer che si accende da solo; le luci che illuminano i corridoi della nave spaziale; i sette membri dell'equipaggio che, uno a uno, poco alla volta, si risvegliano dal loro ipersonno. Ignari dell'orribile destino che li attende. Il 25 ottobre del 1979, e quindi esattamente quarant'anni fa, uscì, in Italia, "Alien", una delle opere cinematografiche più riuscite del regista britannico Ridley Scott, e che è giustamente considerato dalla critica «uno dei più influenti film d'azione moderni» (Ebert) ed «uno dei capolavori della fantascienza, teso, angosciato e vagamente metafisico» (Mereghetti).
Morandini, a sua volta, lo ha definito «un thriller Tra horror e fantascienza Così Ridley S cott ha cambiato le regole di un genere occasione di un'intervista confessò: «Non rubai Alien a nessuno in particolare. Lo rubai un po'da tutti!». Comunque andarono le cose, va detto che il "soggetto" del capolavoro di Scott ricorda effettivamente quello de "Il mostro dell'astronave", diretto nel 1958 da Edward L.Cahn, ma che, soprattutto, vi sono alcune evidenti analogie con il film "Terrore nello spazio" di Mario Bava, del 1965. "Alien", ad ogni buon conto, fece meritatamente vincere nel 1980 a Carlo Rambaldi, il primo dei suoi due Oscar per i migliori effetti speciali (il secondo lo ottenne tre anni dopo per "E.T. l'extraterrestre" di Steven Spielberg).
Dal soggetto e dalla sceneggiatura originale di O'Bannon, il famoso scrittore statunitense di fantascienza Alan Dean Forster ha tratto un romanzo. Leggere la trasposizione letteraria di un celebre film è stato per me piacevole ed intrigante. Anche perché alcune frasi e descrizioni mi hanno aiutato a ripercorrere mentalmente le scene più suggestive di quella straordinaria pellicola: «…la Nostromo non era un essere umano. Non faceva scherzi al suo equipaggio, e non li avrebbe svegliati senza un'ottima ragione…»; «…in quella terra velata, non c'era un solo colore rassicurante. Non un azzurro, non un verde; solo un gocciolio continuo di gialli, tristi arancioni, stanchi marroni e grigi… l'atmosfera aveva il colore di un esperimento chimico andato a male, la terra quello degli escrementi compatti di una nave»; «…la cosa aveva essenzialmente la forma di una mano con molte dita, lunghe e ossute, ripiegate nel palmo…sul dorso si riusciva fantascientifico con componenti di horror e suspense che conta poco per quel che dice, ma che lo dice benissimo, grazie a un apparato scenografico di grande suggestione e a un ritmo narrativo infallibile», e la rivista cinematografica "Empire"lo ha collocato al 33° posto nella lista dei 500 migliori film di sempre.
Ed in effetti, "Alien", è una pellicola che senza utilizzare scene particolarmente crude e raccapriccianti (tipiche, invece, di pellicole di genere molto meno convincenti), riesce ad inchiodare lo spettatore alla poltrona, attraverso una crescente tensione emotiva che inquieta, ma non disturba mai. La storia narrata nel film è nota. Siamo nel 2122, ed il "Nostromo" sta viaggiando nello spazio con il suo carico di minerali. I membri dell'equipaggio giacciono addormentati nell'ipersonno in attesa dell'arrivo sulla Terra, previsto molti mesi dopo.
D'improvviso, il computer di bordo chiamato "Mother", dopo aver ricevuto un misterioso segnale "di soccorso"proveniente da un pianeta sconosciuto, risveglia gli occupanti, costringendoli –pena la perdita del compenso garantito loro dalla compagnia mineraria per la quale lavorano –ad andare a verificare l'origine del richiamo. Quel segnale, purtroppo, non si rivelerà un SOS, bensì un minaccioso avvertimento. L'esplorazione del cupo corpo celeste consentirà ad un mostro alieno di entrare sul "Nostromo", e determinerà la terribile sorte di gran parte dell'equipaggio. L'idea del film, a lungo elaborata dallo sceneggiatore Dan O'Bannon, fu, per sua stessa ammissione, ispirata da diverse precedenti pellicole. appena a vedere una forma vaga e convessa, che sembrava un occhio vetrificato…»; «…non possiamo lasciargli quella maledetta cosa addosso. Può star facendogli un sacco di cose, forse buone, forse cattive…»; «…è il più resistente pezzo di materiale organico che abbia mai visto…è più efficiente di qualunque cosa abbia mai sentito parlare…è un esemplare unico. Dobbiamo fare un tentativo per catturarlo vivo, e intatto…»; «i corridoi del livello A non erano mai stati così lunghi e scuri…doveva cercare negli angoli e nelle cavità della nave, non in quelli della sua immaginazione…».
Particolarmente evocativa è certamente la scena finale del libro. Nella quale, in perfetta aderenza con quanto mostrato nel film, Ripley (la splendida Sigourney Weaver, all'epoca giovanissima), dopo aver sconfitto l'alieno, si appresta ad abbandonarsi nuovamente nell'ipersonno, per compiere l'ultimo tratto di viaggio che la riporterà sulla Terra: «…Dovrei arrivare alla frontiera tra circa quattro mesi…Con un po'di fortuna, la rete di ricevitori, dovrebbe captare il mio SOS e spargere la voce…Park Ripley, numero di identificazione W564502246OH, commissaria di bordo, unica sopravvissuta dell'astronave mercantile "Nostromo", che chiude questa comunicazione. Premette il pulsante di arresto. Nella cabina tutto era silenzio; finalmente un po'di quiete dopo molti giorni. Le sembrava quasi impossibile potersi riposare. Sperava solo di non sognare. Carezzò il pelo arancione e sorrise. "Forza, gatto, andiamo a dormire"…».
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