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Colpi di Testa

Colpi di Testa, L'impero romano e la sua perfetta macchina da guerra

Un apparato militare organizzato e disciplinato. L'archeologo scozzese Breeze ci svela tutti i segreti nel suo interessante saggio, intitolato “L'esercito romano”

L'impero romano, diversamente da quello che comunemente si pensa, non fu il più vasto della storia. Tale prestigioso primato spetta infatti –per estensione –alla dominazione "coloniale" britannica; mentre, per "continuità territoriale", a quella del famoso condottiero mongolo Gengis Khan. Tuttavia l'impero di Roma, soprattutto per la sua lunghissima durata, e per le implicazioni economiche e socio-politiche che ne furono di contorno, è giustamente considerato da tutti come il dominio che ha lasciato i segni più rilevanti nella storia dell'umanità. Tra gli elementi che agevolarono tale straordinario risultato vi fu, senza alcun dubbio, l'esercito. Attraverso di esso, infatti, Roma riuscì dapprima a sconfiggere i suoi numerosi nemici; e poi, in un secondo tempo, ad acquisire un efficace controllo dei territori mano a mano conquistati nel corso dei secoli. Lo storico inglese John Man una volta affermò che, quella di Roma, «è essenzialmente la storia di una nazione che cerca di essere all'altezza delle situazioni prodotte dagli incredibili successi del suo esercito».

Della stessa opinione è anche l'archeologo scozzese David J. Breeze, il quale ha da poco pubblicato, per la casa editrice "Il Mulino", un interessante saggio, intitolato "L'esercito romano" (161 pagine); volume che, come è evidenziato nella quarta di copertina, «illustra la parabola della macchina da guerra più longeva ed efficace di ogni tempo». Nonostante ciò non si deve tuttavia credere che l'esercito romano fosse perfetto ed invincibile; perché Roma, nel corso della sua quasi millenaria storia –come giustamente rileva lo stesso Breeze –uscì sconfitta in molte battaglie, anche se «raramente perse una guerra». L'esercito romano fu «una forza combattente rinomata per il suo valore militare e la sua eccellenza tattica», la quale aveva, nell'organizzazione, il suo principale punto di forza. L'intero apparato militare romano (che subì comunque profonde trasformazioni nel corso del tempo, dall'epoca repubblicana a quella tardo imperiale) era strutturato in maniera molto capillare.

Gli antichi romani ponevano molta attenzione all'arruolamento dei soldati e degli ufficiali, curavano nel dettaglio il loro addestramento, si occupavano con certosina attenzione della predisposizione degli accampamenti stanziali e mobili, programmavano con cura le lunghe e complesse fasi di spostamento delle truppe da un luogo ad un altro, ed avevano perfettamente compreso l'importanza dell'efficienza degli approvvigionamenti. Il saggio di Breeze è estremamente dettagliato, e si fonda sull'analisi di numerosi fonti storiografiche (prevalentemente Polibio, Livio, Giulio Cesare e Tacito): «Si rimane fortemente impressionati dalla lettura del "De bello gallico". Stupiscono la rapidità di movimento dell'esercito romano; il bisogno di Cesare di mantenerlo ben nutrito e quindi l'esigenza di deviare, a volte, dalla direzione di marcia predisposta per cercare rifornimenti adeguati; il modo dell'esercito di proteggersi ogni notte, piantando il campo, e poi preparando confortevoli quartieri per trascorrere l'inverno; le tattiche di battaglia di Cesare; e, naturalmente, l'enorme entità dei Galli sterminati.

Ci sono poi tante altre informazioni utili, come la velocità di edificazione delle opere di assedio, o la costruzione di una flottiglia, l'uso del vessillo per adunare i soldati, e l'importanza psicologica dell'aquilifero, ovvero il portatore dell'aquila, l'insegna della legione». Tra tutti coloro i quali offrirono preziosi contributi al successo della struttura militare romana, il saggista inglese ricorda anche Caio Mario, "homo novus" che nacque, nel 157 a.C., in una località non lontana da Veroli (e precisamente a "Casa Mari", che proprio a lui deve il suo nome). Breeze ricorda che egli fu uno dei più importanti "signori della guerra"di epoca tardo repubblicana, «un uomo che proveniva da un piccolo borgo italico, anziché da una delle tradizionali famiglie senatorie romane. Nel 107 a.C. fu nominato comandante di un esercito per combattere Giugurta, re di Numidia, in Nord Africa, alla ricerca di un successo che era mancato ai suoi predecessori.

Allo scopo di incrementare le dimensioni delle sue truppe, Mario cercò volontari fra i cittadini romani nullatenenti...questi soldati, non possedendo terra, diventarono una sorta di forza professionista... fu così introdotta una distinzione fra civili e soldati. Alla fine della guerra, ad alcuni soldati vennero assegnate terre in Nord Africa, e qui si stabilirono come coloni... l'esercito romano era già bene addestrato, ma Mario ne migliorò ancora il potenziale... la sua carriera fu straordinaria, nella misura in cui riprese il precedente di Scipione l'Africano, cioè l'avanzamento precoce ai gradi superiori...tenne il consolato per sette volte senza l'intervallo fra gli incarichi normalmente richiesto. Gli vengono anche attribuite parecchie riforme militari». Tra le innovazioni pratiche che si debbono a Caio Mario in materia di equipaggiamento militare, Breeze ricorda quella relativa al cosiddetto "pilum", la "lancia da getto" che era in dotazione alle truppe; essa «fu alleggerita, con la rimozione della ghiera di legno, e fu ritoccata in modo da essere inutilizzabile dopo il lancio.

Il primo dei chiodi che fissavano all'asta la punta di ferro venne sostituito con un rivetto di legno, destinato a spezzarsi al momento dell'impatto contro un ostacolo qualunque o contro il terreno; l'asta ruotava così sull'altro chiodo, che fungeva da perno, rendendo inutilizzabile il pilum e, ove si fosse infisso in uno scudo, difficile da estrarre, e quindi disagevole per il nemico». Il saggista britannico conclude il suo saggio spiegando che una delle ragioni che contribuirono al declino dell'impero romano fu proprio il progressivo decadimento del suo leggendario esercito. Una volta raggiunta la massima estensione territoriale, il sistema politico romano entrò in crisi. Complice, a dire il vero, anche un diffuso allentamento dei costumi morali delle sue stesse truppe («per tanti anni i soldati romani ebbero poco da fare... si infiacchirono, e, secondo la memorabile descrizione che fa Tacito dei soldati sulla frontiera orientale, non avevano mai fatto una guardia, non avevano mai indossato una corazza»). Eppure, va riconosciuto, quella di Roma, «fu una forza combattiva formidabile, ben addestrata, ben disciplinata, bene armata, e fatta per vincere le battaglie... uno degli eserciti di maggior successo che ci sia mai stato al mondo».

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