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Il libro

“Voce – Il corpo del linguaggio”, il nuovo saggio di Federico Albano Leoni

Voce, linguaggio, comunicazione. La manifestazione sensibile delle nostre intenzioni comunicative. L'autore ci spiega come funziona

La voce ha un ruolo preminente nell'essere umano: è l'annuncio dell'ingresso nel mondo con il primo vagito, è l'espressione del dolore, della paura, della gioia, del disgusto e della nostra identità, è la manifestazione sensibile delle nostre intenzioni comunicative. Così si legge nella quarta di copertina di un breve ma interessante saggio a firma di Federico Albano Leoni, intitolato "Voce – Il corpo del linguaggio", e da poco pubblicato da Carocci Editore (135 pagine).

Il volume ci accompagna con garbo ed accuratezza all'interno di un fenomeno sensoriale estremamente affascinante e ricchissimo di suggestioni, quello della "voce umana", che consiste in pratica in una «oscillazione di molecole d'aria che si propaga attraverso un mezzo (l'aria, l'acqua o altro) in forma di onda, a determinate velocità», ed è fisicamente «generato e modificato da numerosi organi (polmoni, trachea, laringe, faringe, velo palatino, cavità orale, cavità nasale, lingua, denti e labbra)».

Aristotele definì la voce in maniera mirabile, e precisamente "significativa", in quanto essa «rivela l'identità e l'interiorità di chi parla… l'atteggiamento, lo stato d'animo e le emozioni di chi la emette»; essa costituisce il principale strumento comunicativo umano che poi, attraverso l'evoluzione, si è evoluto in qualcosa di estremamente complesso, articolato, ed in alcuni casi assai sofisticato: il linguaggio. Osserva giustamente Leoni che «la voce è la carne viva della lingua», e che, a loro volta, «le lingue sono lo strumento attraverso cui gli umani manifestano e realizzano le intenzioni e la volontà di esprimersi per raggiungere uno scopo e con cui stabiliscono e consolidano relazioni sociali.

Queste intenzioni, questa volontà e questi bisogni sono il motore primo di ogni atto linguistico e di ogni gesto sociale. Il bisogno di socialità per risolvere insieme i problemi della sopravvivenza, e la spinta a condividere i nostri bisogni, desideri, paure, speranze, passioni, ci spingono dunque a parlare con i nostri simili e ad ascoltarli». Tale estrema eterogeneità di sentimenti e di stati d'animo, manifestati attraverso la voce, ha poi ovviamente contribuito, attraverso la lenta ma inesorabile incidenza dell'evoluzione umana, a creare l'affascinante ricchezza e la molteplicità dei diversi linguaggi.

Socrate riteneva «che ciascun suono abbia una sua proprietà, e che colui che pose i nomi ne abbia tenuto conto nel nominare le cose. Dunque, per esempio, la parola greca "rhein" significa scorrere per sua natura, perché contiene il suono "r"; e questo suono, a sua volta, indica il movimento, perché per pronunciarlo la punta della lingua vibra, cioè si muove rapidamente. E così via». Altrettanto argutamente osservò Platone, nel suo "Cratilo", domandandosi, tra le tante altre cose, «se colui diede il nome alle cose lo fece tenendo conto di qualche loro proprietà naturale o in base ad altro».

A margine di tali considerazioni l'autore del saggio si pone poi l'impegnativa domanda se l'essere umano (ed in particolare l'Homo Sapiens) sia diventato tale in virtù delle sue peculiari capacità intellettive, e, grazie ad esse, abbia poi "inventato" il linguaggio, oppure è stato proprio lo sviluppo di quest'ultimo che ha consentito ed aiutato la specie umana a sviluppare le capacità mentali e sociali che lo hanno posto al vertice del creato terrestre. Tale quesito fa il paio con un altro, che si interroga sul fatto se anche gli animali (molti dei quali, come noto, hanno anche una loro "voce", ed apparentemente anche un loro "linguaggio"), siano dotati (per dirla alla maniera di Aristotele) di un apparato comunicativo altrettanto "significativo", che consenta loro di manifestare stati d'animo e atteggiamenti più o meno complessi.

Secondo Leoni, a tal riguardo, «il linguaggio umano è il risultato di un lunghissimo processo evolutivo dei viventi, nel quale la comunicazione animale rappresenterebbe una fase arcaica ed embrionale, che è poi quella che si osserva negli infanti». Estremamente interessante è la parte del saggio che affronta il difficile rapporto che esiste tra la voce (il linguaggio) e la scrittura, invenzione che ha cambiato notevolmente la vita degli uomini, consentendo una più facile e duratura conservazione della memoria della nostra cultura, e dei nostri ricordi individuali. Da qui il famoso detto "verba volant, scripta manent". Sebbene Platone ritenesse che (quantomeno ai suoi tempi) la parola parlata avesse assoluta prevalenza rispetto a quella scritta «perché è viva, e se la interroghi risponde, nel senso che chi la pronuncia è davanti a te e con lui puoi dialogare», è tuttavia incontestabile che la scrittura, nel corso dei secoli, abbia finito per acquisire una rilevanza ed un'efficacia comunicativa notevolissima.

Osserva correttamente Leoni a questo proposito che tale "primato", a partire dalla fine dell'Ottocento, si è andato però inesorabilmente riducendo. E ciò a fronte del progresso tecnologico che ha, poco alla volta, consentito sempre più la stabile e permanente memorizzazione delle espressioni vocali. E non solo di quelle. L'avvento delle registrazioni fonografiche, sino alle attuali fedelissime digitalizzazioni, ha infatti consentito di evitare che la voce potesse sempre svanire nel momento esatto in cui veniva emessa. Grazie ad esse qualsiasi suono, e quindi anche quelli emessi dal nostro apparato vocale, ha potuto essere quindi agevolmente memorizzato (più o meno per sempre, ed in maniera sempre più affidabile e sofisticata). Tale procedura, oltre ad aggiungere a quello della scrittura un nuovo strumento di cristallizzazione della memoria collettiva ed individuale, ha di fatto avuto anche il merito di riuscire a modificare il senso stesso del suddetto antico detto popolare. Con la nuova, vera ed arguta locuzione: "verba manent".

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