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Colpi di Testa

'Le vie del latte': come questo alimento ha cambiato il nostro modo di nutrirci

Consumato in ogni parte del mondo e considerato essenziale. Da poco ripubblicato il saggio di Piero Camporesi che analizza e approfondisce l'argomento

Lo scrittore spagnolo Ramón Gómez de la Serna ebbe l'indiscutibile merito di coniare una frase che riesce a sintetizzare in maniera mirabile le straordinarie qualità di uno degli alimenti più consumati sulle tavole di tutto il mondo: il latte. Lo definì infatti così: «È l'acqua, vestita da sposa». L'immagine, a mio modesto avviso, è bellissima; anche perché –attraverso un originalissimo paragone –rende il giusto omaggio ad una delle sostanze più note, preziose ed importanti dell'alimentazione della specie umana. Ci riferiamo ovviamente non solo a quello materno (che aiuta il neonato a sopravvivere subito dopo la nascita), ma anche a quello di altre specie animali e che spesso –assoluto o sotto varie forme –impreziosisce le colazioni, i pranzi e le cene di miliardi di persone. Per tutti coloro che volessero approfondire l'argomento propongo volentieri la lettura di un breve libro a firma di Piero Camporesi, intitolato "Le vie del latte – Dalla Padania alla steppa", appena ripubblicato dalla casa editrice Il Saggiatore (106 pagine).

Nel suo saggio, denso di dotte citazioni e condito da uno stile estremamente raffinato, il filologo forlivese così descrive con elegante enfasi il candido liquido che non manca mai nelle cucine e nelle dispense degli uomini di ogni latitudine: «Alimento vivente e vitale, linfa preziosa della pianta uomo, variante metaforica del sangue, atto a nutrire sia le menti dei sapienti come Pitagora, sia ad innalzare i corpi ipertrofici dei Ciclopi, grandi consumatori di latticini e formidabili bevitori di latte oltreché di vino, secondo la tradizione classica che vuole i due gloriosi liquidi armonizzarsi e completarsi in equilibrato e positivo connubio». Durante il Medioevo, tuttavia, iniziò a farsi largo la contrapposizione tra il latte (che comunque, quando era fermentato e fatto invecchiare a lungo, consentiva soprattutto alle popolazioni gaeliche "sbronze memorabili"...) e le tradizionali bevande alcoliche. Tanto è vero che il primo acquisì rapidamente la fama di un vero e proprio "antivino". Ed infatti, il saggista francese Roland Barthes, nel suo "Mythologies", evidenzia che esso «si contrappone al fuoco per tutta la sua densità molecolare, per la sua natura cremosa, e dunque sopitivi, della sua superficie; il vino è rutilante, chirurgico, trasmuta e partorisce, mentre il latte è cosmetico, connette, ricopre, restaura».

Nonostante possa sembrare strano, l'introduzione del latte "non materno" nella nostra alimentazione avvenne in tempi tutto sommato piuttosto recenti (circa 7.000 anni orsono); tale fatto fu molto probabilmente agevolato da una mutazione genetica che consentì anche agli uomini adulti di "imparare"a digerire il lattosio contenuto in quello proveniente da altre specie animali.
Comunque andarono le cose questa "conquista alimentare"– che avvenne in modo graduale e si diffuse in Europa provenendo molto probabilmente da oriente – influenzò (anzi, forse sarebbe molto meglio dire che rivoluzionò) senza alcun dubbio il nostro modo di nutrirci. Camporesi, infatti, così spiega: «Tutta l'Europa celtica, teutonica e slava aveva trovato nel latte una fondamentale sorgente di vita fin dalla preistoria.
Le tribù germaniche, che non praticavano l'agricoltura, si nutrivano prevalentemente, oltre che di carne, di latticini...nei paesi del Medio Oriente, nei grandi spazi indo-iranici, in larghe zone del continente africano dai nomadi Berberi all'Egitto, all'Etiopia, alla Nigeria, l'alimento perfetto ha nutrito popoli, mosso carovane, ispirato cosmogonie, innervato (insieme al burro liquido e al miele) grandiose metafore bibliche...il regime alimentare di Sciti, Tartari, Turchi, Mongoli, fondato quasi esclusivamente su latte e carni lessate nel latte o arrostite, variato con riso bollito nel latte ed essiccato poi al sole, agiva da propellente dinamico, da acceleratore di energie latenti, da catalizzatore d'inquieta mobilità e di avventurosa, aggressiva errance...».

Eppure –strano a dirsi ed a pensarsi –ad un certo punto della storia evolutiva umana il latte riuscì a farsi addirittura una cattiva fama; basti pensare al fatto che Lazzaro Spallanzani, nel suo trattato "Osservazioni sopra la Svizzera" del 1799, collegava il carattere nazionale di quel mite popolo centroeuropeo al copioso consumo di quel candido alimento! Il famoso scienziato emiliano era infatti tra coloro i quali «associavano una dieta prevalentemente lattea alla formazione di temperamenti malinconici e di caratteri privi di agilità, di vivacità, di adattamento allo spirito mutevole e al corso imprevedibile della vita». Altri tempi, evidentemente. Ed infatti Camporesi, alla fine del suo saggio, rammenta opportunamente le numerose proprietà del latte ed evidenzia che esso, «a parte la sua insostituibile funzione nella crescita», contiene anticorpi che «innalzano una preziosa barriera protettiva che respinge insidiosi agenti patogeni, mentre la lattoferrina – una proteina capace di fissare il ferro – riduce le probabilità di infezioni intestinali. Questo dolce brodo bianco svolge inoltre la funzione di un vero e proprio sedativo in virtù di una sostanza, affine alle benzodiazepine (farmaci ansiolitici) che facilita il sonno tranquillo del bambino».

Forse anche per questo motivo Winston Churchill, il 21 marzo del 1943, nel corso di un suo discorso radiofonico alla nazione, ritenne opportuno ricordare a tutti i suoi compatrioti che «non c'è, per nessuna comunità, investimento migliore del mettere latte dentro i bambini». E se è pur vero che a causa del massiccio utilizzo di antibiotici e mangimi industriali la qualità ed il sapore del latte sono decisamente cambiati (in peggio...) rispetto al passato, e che alcune teorie scientifiche alimentari degli ultimi anni hanno demonizzato le caratteristiche organolettiche e chimiche di questo straordinario alimento, personalmente riteniamo che il grande statista britannico non fosse affatto in torto. Forse perché concordiamo anche con la frase del fisico e chimico serbo Michele Idvorsky Pupin, il quale una volta così argutamente osservò: «Guardate le mucche, e ricordate che i più grandi scienziati del mondo non hanno mai scoperto come trasformare l'erba in latte»...

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