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Passato, presente, futuro

Una storia tutta da riscoprire. Parla l'archeologa Manuela Cerqua

Cultura e passione: «Manca la consapevolezza della ricchezza che questo territorio ha»

Esistono tante forme d’amore, al mondo, più o meno intense: una di queste è la passione per il proprio lavoro, come accade per l’archeologa Manuela Cerqua, che cerca di corroborare la sua vocazione con l’impegno amministrativo presso il Comune di Sora.

Come nasce l’amore per l’archeologia?
«L’amore per l’archeologia nasce da giovanissima sui banchi di scuola, quando per la prima volta incontrai quel termine, che forse dopo “mamma”, “papà” e “amore” ho poi usato di più nella mia vita: “archeologia”. Dopo la maturità, la laurea in Lettere Classiche con indirizzo archeologico all’Università degli studi di Perugia e la specializzazione in Archeologia a La Sapienza di Roma, quella informe passione ha trovato sostanza e, grazie ai grandi maestri che ho incontrato durante il mio percorso, non è mai svanita, dandomi l’opportunità di fare quel lavoro che tanto avevo sognato».

Lei è “consigliere delegato ai Servizi culturali del Comune di Sora: Museo, Biblioteca e Archivio Storico”: come concilia l’impegno politico con l’attività museale e archeologica?
«Pur candidandomi nel 2021 alle amministrative di Sora, sapevo già da prima quanto l’indirizzo politico fosse determinante nella gestione dei musei civici, perché ero stata direttrice scientifica del Museo della Media Valle del Liri per quattro anni. Non a caso, al termine di questo incarico, cambiata amministrazione e visione politica, il museo fu chiuso. Da allora promisi a me stessa di adoperarmi per restituire ai cittadini ciò che apparteneva loro di diritto e di cui erano stati privati. Così, ad appena un mese dall’affidamento di questa delega, con grande impegno da parte di tutti gli uffici competenti, con la fiducia del sindaco e dei colleghi e con l’aiuto di molti amici, sono riuscita nell’intento di riaprire quelle porte, attraverso le quali ancora oggi continuano a entrare tante persone, felici di poter vivere esperienze inaspettate».

Art. 9 della Costituzione e beni archeologici calato nel Frusinate…
«Questo articolo sancisce l’obbligo costituzionale per lo Stato, le Regioni e gli Enti locali di proteggere e valorizzare i beni culturali, tra cui rientrano a pieno titolo i beni archeologici. Purtroppo nel Frusinate questo articolo non trova sempre piena attuazione, sebbene si distinguano casi virtuosi e amministrazioni particolarmente attente al patrimonio archeologico, datoci in consegna dal tempo. Dalla città romana di Aquinum, al Museo Civico e al Museo Archeologico Nazionale dei Popoli Italici di Veroli, dal Museo Archeologico di Frosinone a quello di Alatri, fino a San Biagio Saracinisco, per finire con il Museo Preistorico di Pofi, creatura di una delle più grandi eccellenze del nostro territorio in campo archeologico, Italo Biddittu. Il principale rammarico è dato dal fatto che nella nostra provincia non si riescano a condurre serie azioni programmatiche a lungo termine, strutturate e organizzate su una scala più ampia di quella comunale, al fine di mettere a sistema tutti i beni archeologici presenti sul territorio. Manca, allora, la consapevolezza della ricchezza che questo territorio detiene, non meno di altri, e l’effettiva conoscenza del suo patrimonio. A non mancare è, invece, la presunzione che porta molti a pensare che occuparsi di archeologia, ricerca, valorizzazione e promozione culturale non sia da abili e preparati professionisti ma cosa da semplici appassionati. Credo che si debba ripartire anche da qui, dando la giusta dignità ai professionisti del settore e, di conseguenza, alla gestione del patrimonio archeologico».

Come si valorizza un sito?
«Credo che prima ancora di avviare un qualsiasi progetto di valorizzazione si debba partire dalla conoscenza, senza la quale non può esserci autentica valorizzazione. E credo che un passo dopo la conoscenza scientifica di pochi debba esserci la divulgazione scientifica e didattica per tanti. Tutti i siti, poi, devono essere protetti, per legge e per dovere morale, perché non rappresentano un lusso del passato, ma un diritto del presente e un dovere verso il futuro. Credo anche che nella programmazione degli scavi archeologici, laddove non si presentino urgenze o necessità particolari, si debba rinunciare a scavare se non sussistono le condizioni per una corretta conservazione del sito».

Quali siti meriterebbero, a suo parere, una maggior valorizzazione?
«Sicuramente i siti di grande importanza, come Aquinum, Fregellae, Ferentinum con il teatro romano, i siti urbani di Alatri e di Veroli. A Sora i maestosi resti dell’area sacra con il tempio romano della cattedrale Santa Maria Assunta e l’area dell’abbazia di San Domenico con il ponte romano. Poi i siti urbani di Arpinum, le mura poligonali di Boville, Anagni, e potrei continuare ancora. L’elenco è sufficiente per capire che la valorizzazione dei siti archeologici funziona quando è perfettamente integrata con il tessuto urbanistico oltre che sociale, presupposto fondamentale per attivare anche efficaci azioni di conservazione e gestione dei luoghi e dei beni. In tutti gli altri casi si rischia di creare strappi nel tessuto delle città generando degli spazi che, in quanto non riconosciuti come luoghi preziosi, creano degrado e portano alla rovina dei siti stessi».

Quanto c’è ancora da scoprire nel sottosuolo del nostro territorio?
«Il Lazio meridionale, e in particolare la Valle del Liri, era densamente abitato sin dall’età preromana. Tuttavia, solo una piccola parte di queste presenze è stata indagata sistematicamente. Molti insediamenti antichi noti dalle fonti storiche non sono ancora stati localizzati con precisione. Questo dipende anche dalla geomorfologia del nostro territorio, soggetto a inondazioni a valle e a forti erosioni a monte, e dal fatto che in queste città non vi sia stata mai una soluzione di continuità costruttiva e abitativa. Anche l’intenso utilizzo delle campagne e l’industrializzazione precoce delle stesse, in un periodo in cui non vi erano ancora leggi di tutela adatte, hanno condizionato fortemente lo stato delle conoscenze».

I beni archeologici e i musei potrebbero costituire un’importante leva turistica ed economica per il nostro territorio?
«Negli ultimi anni il turismo è cambiato tantissimo, le persone non cercano più solo le grandi mete e le capitali dell’arte. C’è un desiderio crescente di luoghi autentici, più vicini, più veri e si parla sempre più di turismo di prossimità. Credo che questo sia un grande segnale per territori come il nostro, per il quale stiamo assistendo a un’importante rivalutazione, con la nascita del brand “Ciociaria”, meta inserita oggi negli itinerari turistici di tutta la Penisola. Ecco perché investire nella valorizzazione del nostro patrimonio non deve essere solo una scelta culturale ma anche una straordinaria occasione economica e turistica. Se riuscissimo a raccontare bene questo patrimonio, a prenderci cura dei nostri luoghi e a renderli accessibili, potremmo sicuramente attrarre un turismo diverso, rispettoso, e duraturo, con relativi benefici in materia di crescita economica».

Che ne pensa dell’affidamento ai privati della gestione dei musei e dei siti archeologici?
«L’affidamento ai privati può rappresentare un’opportunità se inserito in un quadro di regole chiare e con un forte controllo pubblico. È fondamentale garantire che la gestione privata sia orientata al bene comune, preservando la funzione educativa
e sociale dei musei e dei siti archeologici. Soltanto attraverso un equilibrio tra efficienza gestionale e tutela del patrimonio culturale si può assicurare una valorizzazione sostenibile e inclusiva».

Archeologia e giovani: un ossimoro?
«Assolutamente no, anzi: oggi più che mai archeologia e giovani possono e devono camminare insieme. L’archeologia non è solamente scavo, ricerca, studio e conservazione del passato, ma può essere anche educazione civica, identità collettiva e innovazione. I giovani hanno gli strumenti – anche digitali – per interpretare il patrimonio in modo nuovo, coinvolgente e creativo. Basta dar loro spazio. Nel nostro territorio, così ricco di testimonianze antiche, è fondamentale coinvolgerli, renderli protagonisti di progetti di studio, valorizzazione e divulgazione, perché non c’è nulla di più moderno che conoscere le proprie radici per costruire il futuro. Inoltre, negli ultimi anni la professione dell’archeologo è in forte ascesa perché con l’apertura di molti cantieri c’è importante richiesta di queste professionalità».

Ha un sogno professionale da raggiungere?
«Il mio è sempre stato quello di lavorare in Soprintendenza, come funzionario archeologo. Ho partecipato a un concorso anni fa: superai le preselezioni e affrontai gli scritti con ottimi risultati. Ma era un periodo complicato della mia vita, mi sentivo fragile, e non riuscii ad andare avanti. È una di quelle occasioni che restano lì, sospese a metà, e che ogni tanto tornano a farsi sentire. A volte penso che sia un sogno che non si realizzerà mai, altre volte mi dico che potrei riprovarci, se dovesse esserci un altro concorso nei prossimi anni. Devo però essere onesta: sarei altrettanto felice e realizzata nel dirigere un museo archeologico, un posto da costruire giorno dopo giorno, con cura, idee e ostinazione, e spero davvero che questo sogno possa trovare presto la sua occasione». La locuzione (trad.: (conosci te stesso), incisa sul frontone del tempio di Apollo a Delfi e fatta proprio dalla filosofia di Socrate che invitava gli uomini a conoscere la propria realtà per essere liberi dai dogmi imposti, non potrebbe attagliarsi casualmente anche ai beni archeologici, ai fini della loro tutela e valorizzazione?

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