L'intervista
14.12.2025 - 13:00
Maria Tuzi
A 25 anni dall’omicidio di Serena Mollicone e a 18 dal suicidio del brigadiere Santino Tuzi, la figlia del carabiniere, Maria, prosegue la battaglia per fare luce su quanto accaduto a suo padre. Ha incaricato un perito per un’analisi balistica sulla pistola ritrovata accanto al cadavere del padre. Maria ha sempre sostenuto di non credere al suicidio del brigadiere, morto durante le indagini del delitto della diciottenne di Arce, il cui corpo venne ritrovato in un bosco ad Anitrella, a Monte San Giovanni Campano.
È da poco cominciato il processo d’appello bis. Che cosa è venuto fuori dall’ultima udienza?
Ricordi se tuo padre prima della sua morte ha ricevuto minacce o intimidazioni?
«Mio padre non parlava spesso del suo lavoro, quindi non so se è stato minacciato o spaventato. C’è però un’intercettazione ambientale tra mio padre e il carabiniere Vincenzo Quatrale, in cui a seguito delle dichiarazioni fatte da papà si sente il maresciallo che sollecita dei ricordi a mio padre, dei suggerimenti».
Ci sono elementi che ti fanno dubitare della versione del suicidio?
«Io non ho mai creduto al suicidio di mio padre. Adesso che non facciamo più parte del processo di Serena, ho iniziato delle indagini privatamente. Devo dire che stanno uscendo elementi importanti. Alcuni elementi mai tenuti in considerazione finora e che effettivamente non confermerebbero il suicidio. Ovviamente il consulente incaricato sta lavorando per cercare di chiarire tutti gli aspetti».
Quale opinione ti sei fatta sulla ricostruzione ufficiale della morte di tuo padre?
«Nel momento in cui abbiamo ricevuto la notizia, abbiamo creduto a quello che ci è stato detto. Ci siamo fidati ciecamente. A noi è stato detto che mio padre aveva deciso di togliersi la vita per motivi passionali; un’amante lo aveva rifiutato e lui aveva deciso di togliersi la vita. Io non ho mai creduto al suicidio, al fatto che si è ucciso per motivi passionali. Proprio perché da pochi mesi era diventato nonno. Era contento».
Cosa ricordi di quel giorno? Quanti anni avevi?
«Avevo 26 anni. Ricordo quel giorno come fosse ieri. Ero a casa con mio figlio e ho ricevuto una telefonata da mio fratello che mi diceva di prepararmi, sarebbe passato a prendermi, perché papà aveva avuto un incidente. Pensavo di raggiungere papà in un ospedale, che si fosse rotto una gamba. Quindi la prima cosa che ho fatto quando è arrivato mio fratello è stato chiedere in quale ospedale dovessimo andare. E lui, invece, mi ha detto che saremmo andati a casa di mio padre, aggiungendo che c’erano tanti carabinieri. Durante il tragitto ho pensato a una cosa che mi diceva sempre papà quando arrivava a casa in ritardo e magari noi cercavamo di contattarlo sul cellulare per capire se fosse tutto a posto. E lui quando arrivava a casa diceva “non vi dovete preoccupare mai se non rispondo al telefono, vi dovete preoccupare solo quando vedete arrivare i carabinieri”. Quindi quando mio fratello ha precisato che a casa c’erano veramente tanti carabinieri, ho iniziato a capire che non era un semplice incidente, che magari era qualcosa di più tragico, più brutto. E in effetti appena arrivati ci hanno dato la notizia di mio padre».
Tuo padre ti aveva mai parlato del caso Mollicone? Tu conoscevi Serena?
«Io conoscevo abbastanza bene Serena. Anche mio padre. Tutti noi conoscevamo Serena perché siamo stati ad abitare ad Arce. Arce è un paese piccolo, tutti si conoscono; ma in maniera particolare si conosceva perché il papà, Guglielmo, era un maestro della scuola elementare, è stato anche l’insegnante di mio fratello e a me e mio fratello ha fatto anche ripetizioni. Serena molto spesso sostituiva Guglielmo nella cartolibreria, quando lui aveva necessità di allontanarsi».
Chi era il brigadiere Santino Tuzi?
«Io l’ho sempre definito un gigante buono. Era molto robusto, alto. Quando mi stringeva scomparivo nel suo abbraccio. Era di animo gentile, umile, sempre disponibile ad aiutare chi aveva bisogno. Papà ci ha sempre insegnato a distinguere cosa fosse giusto e cosa sbagliato. Ricordo quando aiutò una signora che si era trasferita vicino casa ed era in gravi difficoltà economiche. Mio padre mise a disposizione dei nostri mobili vecchi. Lei voleva pagarli, lui le disse che a noi non servivano. Ricordo questo gesto perché successivamente, dopo la morte di mio padre, questa donna fece ristrutturare un mobiletto che le aveva regalato e mi contattò su Facebook. Ci teneva a ridarmi quel mobile che tra l’altro ho ancora a casa e mio figlio tiene con cura».
Come era negli ultimi giorni della sua vita?
«Siamo stati insieme proprio la sera prima della sua morte. Era venuto a cena a casa mia. Era tranquillo. Forse un po’ stanco. Ha giocato con mio figlio, lo ha tenuto in braccio».
Tuo padre aveva testimoniato nel caso di Serena Mollicone, che cosa aveva detto?
«Il 28 marzo del 2008 viene ascoltato dagli inquirenti proprio nella caserma di Arce e dirà di aver visto Serena entrare in caserma il 1° giugno del 2001. Precisa che più o meno erano le undici. Dice che era stato avvisato da una voce maschile proveniente dall’interfono che collegava la caserma all’appartamento del maresciallo Mottola. Lui dice: “Non ricordo bene, la voce era maschile, ma considerando che il maresciallo era alle prove della festa dell’Arma, probabilmente la voce maschile era di Marco Mottola”. Mio padre descrive bene i vestiti indossati da Serena quel giorno, la maglietta, i pantaloni, e nel momento in cui gli viene chiesto di descrivere anche le scarpe, dice di non averle viste perché c’era un muretto di circa un metro e mezzo che ostruiva la visuale. Quindi già solo questo ci fa capire che mio padre diceva la verità, perché come ha descritto i vestiti, poteva descrivere le scarpe, ma lui non le ha viste perché da dove era seduto non le vedeva. Inoltre mio padre descrive la borsetta che portava Serena quella mattina. Una borsetta con le frange. La stessa è stata descritta dalle amiche di Serena che l’avevano incontrata la mattina quando aspettava l’autobus per andare verso Sora, per fare l’ortopanoramica. È importante secondo me questo elemento. Sono stati rinvenuti lo zaino e i libri, ma la borsetta no».
Ci sono stati cambiamenti nella sua testimonianza tra la prima e la seconda dichiarazione?
«Come dicevo, c’è stata un’intercettazione ambientale tra mio padre e il carabiniere Quatrale, in cui quest’ultimo dava suggerimenti a mio padre. Questo succede l’8 aprile del 2008, mio padre il 9 aprile del 2008 è andato in Procura a Cassino e ha ritrattato le dichiarazioni fatte. Ha riferito di non aver visto Serena, ha detto addirittura di non conoscerla, sostenendo che in realtà quel primo giugno con Quatrale non erano stati in caserma, ma erano usciti a fare alcune notifiche, a fare dei controlli. Quindi ha ritrattato tutte le dichiarazioni. Sempre nello stesso giorno, ha ritrattato la ritrattazione, quindi ha confermato di nuovo di aver visto Serena entrare in caserma il 1° giugno del 2001».
Secondo te aveva paura di qualcosa o di qualcuno?
«Io non so bene se avesse paura, però so che probabilmente mio padre si è reso conto in un secondo momento di essere stato l’unico a parlare, di essere stato l’unico a dire quelle cose. Perché noi abbiamo un’altra intercettazione telefonica tra mio padre e la sua confidente. In questa telefonata mio padre ha detto di essere in caserma, di essere preoccupato per il fatto che probabilmente gli metteranno le manette. E quando questa confidente gli chiede il motivo lui ha detto “per quel fatto che è successo qua”. La confidente ha aggiunto “ma quella ragazza?”. E lui ha risposto di sì, aggiungendo che il carabiniere Francesco Suprano “era di là, già sono due ore che parla”. Quindi era convinto che in quel momento tutti stessero parlando, e penso che successivamente sia stato avvicinato probabilmente per non far confermare queste dichiarazioni».
Come hai affrontato la perdita di tuo padre?
«Sono passati diversi anni, ma ogni giorno è dura. Si sente la sua mancanza sempre, è complicato spiegarlo ai miei figli. Mio figlio più piccolo dà per scontato che io non abbia mai avuto un papà. È difficile parlare di lui, ma lo faccio continuamente con i miei figli, raccontando l’esempio che lui ci dava, raccontando il suo lavoro. Però non è per niente facile spiegare perché mio padre non è più con noi. Non abbiamo risposte che ci convincono che sia andata in un certo modo. Ricordo che un giorno, tornando a casa dopo essere stata in procura a chiedere i documenti per leggere tutto quello che era disponibile su mio padre, mio figlio mi chiese se avessi novità. Era ancora piccolino. Quando gli dissi che non avevo novità aggiunse “allora io non ti chiedo più niente, però appena hai qualche novità, appena sai qualcosa io voglio saperla”. Sta ancora aspettando».
Ci sono stati momenti particolarmente difficili dopo la sua morte?
«Sì, io nel frattempo mi sono anche separata e sono rimasta da sola. Credo che avere un papà vicino sarebbe stato importante. Avere anche un supporto a livello proprio pratico di tutti i giorni, accompagnare i bambini a scuola, prenderli, trovare il pranzo pronto. Anche parlare con lui, confrontarmi».
La tua famiglia ha ricevuto minacce o intimidazioni?
«Purtroppo sì. Le ho ricevute io personalmente. Diverse telefonate, una delle quali è arrivata sul cellulare di mio figlio. Lui, ovviamente, non sapendo gestire la cosa mi ha passato il telefono. L’interlocutore si è presentato come un corriere e ha chiesto l’indirizzo per consegnare un pacco. Io ovviamente non l’ho fornito perché un corriere dovrebbe conoscere l’indirizzo. E ha insistito sul fatto che doveva essere certo di consegnare il pacco nel posto giusto, il giorno dopo. Consegna mai avvenuta. Un altro fatto ancora più inquietante è stato quando abbiamo trovato una corda strettissima intorno al collo del mio cane. Non riusciva a liberarsi, per fortuna ce ne siamo accorti, eravamo in casa. Abbiamo dovuto tagliare la corda con le forbici, era legata in maniera molto stretta. Poi ce ne sono state anche altre di intimidazioni».
Con Guglielmo Mollicone, papà di Serena, avete condiviso un importante percorso, che cosa ti ha lasciato?
«Lui era un maestro di scuola elementare. Per me è stato un maestro di vita. Mi ha insegnato tantissimo. C’era sempre quando io avevo bisogno, nei momenti in cui abbiamo iniziato ad aprire il caso sulla morte di mio padre. Non riuscivamo in nessun modo a iniziare un percorso. E ricordo che lui mi dava tanta forza, mi invitava a non arrendermi mai. La frase che mi è rimasta nel cuore e che veramente mi ha fatto sentire importante e orgogliosa della sua conoscenza, è stato quando mi disse “Maria, tu hai perso un padre e io ho perso una figlia, di certo tu non sostituirai mai la mia Serena, io non andrò a sostituire il tuo padre, ma noi abbiamo un legame particolare che ci unisce per affrontare tutto questo insieme”. È una frase che porto sempre con me. E porto con me la sua umiltà, la sua dignità, la sua forza, il coraggio. Per me Guglielmo è stato veramente importante in questo percorso».
Dopo tutti questi anni pensi che finalmente la verità possa venire fuori?
«Io sono convinta che questa volta la verità verrà fuori. E anche se noi non facciamo più parte del processo, sono sicura che se verrà fuori la verità per Serena, verrà fuori la verità anche per mio padre, perché purtroppo i due casi sono un tutt’uno, sono collegati».
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