Spazio satira
La stanza della domenica
23.03.2025 - 12:00
La frase è significativa: «La mia è un’infelice generazione, a cavallo tra due mondi e a disagio in tutti e due. E per di più, io sono completamente senza illusioni». La pronuncia Burt Lancaster, nei panni di don Fabrizio, nel film Il Gattopardo, tratto dal romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Il libro racconta le trasformazioni nella società siciliana durante il Risorgimento: il tramonto del Regno Borbonico, la transizione nel Regno d’Italia, seguita alla spedizione dei Mille di Giuseppe Garibaldi. Anche quella attuale è una fase di profondi mutamenti. E la tentazione di cedere al catastrofismo è inevitabile. Bene ha fatto il presidente di Unindustria Frosinone Corrado Savoriti a dare una scossa, spiegando che è fondamentale “raccontarsi meglio” per provare a cambiare la narrazione.
Cogliendo i segnali positivi che in Ciociaria continuano ad esserci. Perché solo credendo nel presente si può sperare nel futuro. Savoriti ha citato situazioni precise: l’investimento della Novo Nordisk ad Anagni, il Polo del freddo a Ferentino, la spinta che un imprenditore come Leonardo Maria del Vecchio ha saputo imprimere a Fiuggi, le eccellenze del chimico-farmaceutico ma anche della carta. Insomma, c’è vita (industriale, produttiva, economica) in Ciociaria. E secondo Savoriti va sottolineato, evitando quindi di dipingere una notte nella quale tutti i gatti sono neri. Questo però non significa dire che va tutto bene. Unindustria ha ribadito con nettezza che i tempi di reazione della burocrazia scoraggiano chi vorrebbe investire: «Riceviamo richieste da tante aziende, che poi però decidono di andare altrove». Le lezioni del passato, remoto e prossimo, non sono servite. Specialmente in tema di autorizzazioni. Soltanto la rapidità delle risposte può invertire la tendenza.
Quello sguardo sempre privo degli occhi della tigre
Lo grida Apollo Creed a Rocky nel terzo film della saga: “Devi ritrovare quello sguardo: gli occhi della tigre, Rocky. Gli occhi della tigre”. Ma cosa sono gli occhi della tigre? La determinazione “feroce”, la voglia di fare la differenza, la capacità di padroneggiare le situazioni (e non di subirle), la “fame”, la volontà di crederci fino in fondo. Se c’è una cosa che manca alla classe dirigente del nostro territorio è proprio questo elemento: gli occhi della tigre. Manca perché si pensa soprattutto a timbrare il cartellino, ritenendo che il ruolo vada esibito invece che esercitato. Due esempi. Intanto la Stazione della Tav. Tutti concordi nel ritenere che si tratta dell’unica vera opera in grado di ribaltare la prospettiva. Ma c’è poco da girarci intorno: la competenza specifica è di Ferrovie dello Stato e di Rfi. Come si pensa di far valere le ragioni del territorio se nessuno pone il problema nelle sedi giuste? Come si pensa di arrivare a dama se non si determinano le condizioni per imprimere una svolta radicale e decisiva? Mettendo in conto anche di battere i pugni sul tavolo, di puntare i piedi, di sparigliare le carte? Invece si preferisce l’approccio molle, nel contesto di quel politicamente corretto che ha affondato l’Italia e lo sviluppo.
Il secondo esempio è quantomai attuale e riguarda la sanità. C’è un motivo valido per il quale la provincia di Frosinone non può esprimere un direttore generale del territorio? No, non c’è. Eppure una scelta del genere, lo dicono le statistiche, rappresenta l’eccezione. Non c’entra nulla il campanilismo e men che meno il provincialismo. C’entra la considerazione che un manager del posto avrebbe il vantaggio di conoscere la situazione. Non dovrebbe ambientarsi. C’entra il profilo di un’Azienda, quella Sanitaria Locale, che per le caratteristiche stesse dell’area di riferimento (3 grandi ospedali, 91 comuni e 500.000 abitanti) ha bisogno di professionisti che conoscano già le criticità e le esigenze. Poi per carità, può fare bene anche un professionista che arriva da altri contesti. Però un direttore generale del territorio avrebbe indubbiamente il vantaggio del “fattore campo”. C’è quindi un altro aspetto: la sanità è la maggiore competenza di una Regione. Dunque è chiaro che sono gli amministratori regionali eletti nel territorio (assessori e consiglieri di maggioranza) a poter fare la differenza. E come si fa la differenza? Convincendo, argomentando, lottando, determinando. Con gli occhi della tigre naturalmente. Che poi non sono tanto diversi dalla... tigna ciociara.
Le logiche democristiane di Mastrangeli
In settimana il sindaco di Frosinone Riccardo Mastrangeli ha affidato ulteriori deleghe ai consiglieri: rapporti con la Asl di Frosinone a Paolo Fanelli (Fratelli d’Italia), presidenza del Distretto sociale B a Francesca Campagiorni (Fratelli d’Italia), politiche giovanili a Marco Sordi (Lista Vicano). Salgono a 10 i consiglieri comunali che amministrano deleghe. Poi ci sono 8 assessori. E all’appello ne manca sempre uno, considerando che in giunta si può arrivare a quota 9. Insomma, una “governance” assai diffusa. Il ragionamento è semplice e di scuola democristiana: più persone sono coinvolte in un progetto di governo, più saranno motivate. All’orizzonte c’è il bilancio, atto strategico e dal significato fortemente politico. Riccardo Mastrangeli sa che la coalizione originaria di centrodestra non esiste più, sa che occorrono almeno 17 presenti in aula con la prima convocazione. Sa che nessuno vuole andare a casa e che il centrosinistra è fortemente diviso. E sa soprattutto che i quattro esponenti della Lista Marzi garantiranno comunque il via libera al documento contabile. Il problema è che al Comune di Frosinone (il capoluogo) la politica è da tempo in lockdown. Fin che la barca va... tu non remare.
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