Spazio satira
La stanza della domenica
09.02.2025 - 11:00
In due anni alla guida della Regione Lazio Francesco Rocca sul piano politico ha fatto capire una cosa soprattutto: non sopporta di essere tirato per la giacca. E men che meno gli ultimatum. La presa di posizione della Lega ha rappresentato un fulmine a ciel sereno: riunione urgente della direzione regionale alla presenza del segretario federale Matteo Salvini, con la previsione dello scenario dell’appoggio esterno, che poi vuol dire ritiro degli assessori dalla giunta. Alla fine si è chiesto un tavolo di programmazione che serva ad aumentare la partecipazione e la condivisione all’interno del centrodestra. Con tanto di riferimento, da parte di Salvini, che gli uomini soli al comando non vanno tanto lontano.
Chiaro il riferimento a Francesco Rocca. E a chi sennò? Il Governatore ha risposto di non credere all’ipotesi di un appoggio esterno da parte del Carroccio, aggiungendo però che se così dovesse essere se ne farebbe una ragione. Quindi ha dichiarato che è sua intenzione discutere con i referenti della Lega, senza però stravolgere la sua agenda. Non solo: Rocca ha pure evidenziato come non ci sarebbero comunque problemi di tenuta della maggioranza. Visto che al momento il gruppo del Carroccio ha un solo esponente (all’inizio della consiliatura erano tre). Nei mesi scorsi Forza Italia (passata da tre a sette consiglieri) ha chiesto un rimpasto di giunta. Francesco Rocca però ha alzato il muro, spiegando che la bussola restava comunque il risultato elettorale. Sulla base del quale ha mantenuto l’assetto iniziale della giunta: 2 assessori a FI, 2 alla Lega. La domanda è: perché nessuno ha provato a smorzare i toni? Nemmeno quando alla fine la proposta della Lega è stata meno “impattante” rispetto alle indiscrezioni che erano circolate prima? La sensazione di un nervosismo forte all’interno della coalizione di centrodestra rimane fortissima.
Lo spazio politico che Vannacci ha già occupato
Il doppio appuntamento (Frosinone, Isola del Liri) di Roberto Vannacci in Ciociaria ha detto tre cose. La prima: il generale ha un suo seguito che prescinde dal fatto che sia un europarlamentare della Lega. La seconda: nei suoi incontri interagisce direttamente con i cittadini. Senza filtri e senza intermediazioni. La terza: ha già occupato uno spazio politico che è alla destra dell’intero schieramento di governo. D’altronde non si nasconde: sui temi della sovranità, della sicurezza, dell’ambiente, della famiglia ogni suo intervento è accompagnato da applausi e condivisioni dei presenti. Segno che sono argomenti “sentiti” da una parte di società.
E se ai vari livelli governativi i compromessi e le sfumature sono inevitabili, per Vannacci no. Lui può spingersi oltre. A destra. La preoccupazione della Lega è evidente e perfino legittima. D’altronde perché continuare a effettuare incontri organizzati dall’associazione Noi con Vannacci? Ormai le dinamiche politiche sono velocissime e nell’ambito di un’impostazione “trumpiana” (vincente sul piano elettorale e politico in questa fase storica) il generale Roberto Vannacci è sicuramente tra gli interpreti più credibili in Italia. Si sta preparando nel caso assetti e confini dovessero cambiare. Con lui c’era il vicesindaco di Frosinone Antonio Scaccia, coordinatore regionale dell’associazione Noi con Vannacci e leader della Lista per Frosinone. Ora, tutto si può dire meno che ciò non cambi nulla. In questi anni Antonio Scaccia ha sostenuto la Lega alle elezioni politiche, alle regionali e alle europee. Adesso però il punto di riferimento è Roberto Vannacci. Non è proprio la stessa cosa. Allo stesso modo agli appuntamenti del generale non c’erano i referenti della Lega in Ciociaria. Vale a dire Nicola Ottaviani, Pasquale Ciacciarelli e Mario Abbruzzese. Non nascondiamoci dietro un dito: esiste un problema.
Quell’unità smarrita che sta minando il Pd. Ben oltre il congresso
Il pallino è adesso nelle mani della commissione nazionale di garanzia del partito, investita della vicenda dopo il pronunciamento dell’organismo regionale. A giudizio del quale il tesseramento 2024 è valido ai fini dell’iscrizione ma non del congresso. Difficile dire quando si potrà celebrare il congresso provinciale. Intanto però il solco tra le diverse “correnti” sembra diventato incolmabile. La domanda è: a cosa serve vincere il congresso se prima non si ricostruisce un terreno di condivisione vero, reale e perfino “motivazionale”? Perché poi il Pd, se vuole tornare ad essere competitivo, dovrà marciare unito alle politiche e alle regionali. Senza considerare le amministrative. All’orizzonte c’è il voto al Comune di Ceccano: una sconfitta sarebbe semplicemente ingestibile.
Per non parlare di Frosinone, dove nonostante le batoste sconfitte consecutive non c’è alcun cenno ad una ricomposizione del centrosinistra. E dove nel partito la spaccatura è profonda. Gli schieramenti sono noti. Da una parte ci sono AreaDem di Francesco De Angelis e Parte da Noi (che fa riferimento a Elly Schlein) di Danilo Grossi e Nazzareno Pilozzi. Il candidato alla segreteria è Achille Migliorelli. Dall’altra parte della barricata (perché di barricata si tratta) ci sono Rete Democratica di Sara Battisti ed Energia Popolare di Antonio Pompeo, l’altro ieri nominato coordinatore del Lazio di questa componente. Il nome per la segreteria è quello di Luca Fantini. Nessuno vuole mediare. L’importante, sussurrano in molti, è vincere il congresso, quando si farà. A mancare è una visione pragmatica e di prospettiva. Ci sarà un motivo per il quale i leader locali non vengono mai tenuti in considerazione sul versante delle candidature blindate alla Camera e al Senato? Sicuramente sì. La causa sta nel “divide et impera”, che a Roma applicano dalla notte dei tempi. Se in Ciociaria il Pd è costantemente lacerato all’interno, perché tenerlo in considerazione?
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