Spazio satira
L'Intervista
19.12.2024 - 11:50
L'ex presidente della Regione Lazio
«A mio fratello Riccardo e alle mie figlie Giulia, Diletta e Chiara, che sanno vivere controvento». È questa la dedica che Piero Marrazzo ha scelto per il suo libro, “Storia senza eroi”. Un racconto che parte da quel 23 ottobre 2009, quando di fatto si chiude la stagione politica di Piero Marrazzo. L’allora presidente della Regione Lazio è a Frosinone. Nel Palazzo della Provincia è in corso un convegno per parlare della realizzazione dell’aeroporto nel capoluogo. Nessuno può immaginare quello che di lì a qualche ora avrebbe stravolto la politica italiana. Si parla di un video. Risale a qualche mese prima. E documenterebbe un incontro tra Piero Marrazzo e una transessuale, in un appartamento di via Gradoli, Roma nord. Secondo le fonti, la registrazione mostrerebbe anche la presenza di sostanze stupefacenti. In poche ore si scatena un terremoto mediatico e politico. Poi c’è l’uomo, Piero, che a quindici anni di distanza decide di raccontare tutto in un libro. Non soffermandosi sulla vicenda dei carabinieri “infedeli” (il processo si è concluso con tre condanne e una prescrizione). Marrazzo si concentra sulla sua vicenda, dalla caduta alla rinascita. Lo abbiamo intervistato nel corso della rubrica Zapping di Ciociaria Oggi.
Allora, cosa ricorda del 23 ottobre 2009?
«Tutto. Ero a Frosinone per parlare di aeroporto, argomento molto sentito dall’Amministrazione che presiedevo».
Ma perché si parla di “caso Marrazzo” se lei è la vittima dell’intera vicenda?
«Bella domanda. Non sono stato mai indagato né processato. Eppure le fake news si rincorrevano: arrestato, distrutto dalle dipendenze. Tutte falsità. Mi faccia sottolineare un aspetto: in quel momento ero presidente della Regione Lazio, commissario dei rifiuti, commissario della sanità. Mai un avviso di garanzia, mai sfiorato da reati come corruzione e concussione. Eppure quella scia di acqua sporca mi ha seguito per anni. E diciamolo: sono dovuto andare in “esilio”».
Il tema centrale di quella vicenda e del suo libro è la sessualità.
«Esattamente. Dei carabinieri “infedeli” mi avevano filmato mentre ero in compagnia di una donna transessuale. Questo successe nei mesi precedenti. Certamente ho commesso errori, ma li ho commessi nei confronti delle mie figlie e di mia moglie. Lasciandole sole nel corso di un’ondata mediatica terribile. Oltre al tradimento naturalmente. Il punto è questo: non il presidente della Regione, ma l’uomo si vergognava. Perciò non ho denunciato subito quanto era accaduto. Non a caso il libro inizia nello studio di una psicanalista, cioè in un luogo dove non poteva entrare nessun altro. Ripeto: ho delle responsabilità serie nei confronti della mia famiglia. Ma in quindici anni nessuno ha voluto approfondire il merito di quella vicenda, nella quale sono stato una vittima. Se fossi stato indagato per corruzione i giornalisti avrebbero visto tutte le carte. In questo caso no».
Come presidente della Regione per quanto riguarda la provincia di Frosinone il suo nome è legato a tre opere: nuovo ospedale del capoluogo, casello autostradale di Ferentino, completamento della superstrada Ferentino-Frosinone-Sora.
«Grazie per averlo ricordato. Ripeto: al presidente della Regione nessuno ha potuto dire niente. Mai».
E torniamo all’argomento della sessualità.
«Il tema della sessualità ha cancellato tutto. Come quelle scene dei cartoni animati nelle quali il contesto è congelato».
Senta Marrazzo, ma se fosse stato in compagnia di una donna, ci sarebbe stato lo stesso scandalo?
«Assolutamente no. Il punto è stato proprio che ero in compagnia di una donna transessuale. La mia attrazione verso transessuali e transgender (che peraltro non avevo risolto) ha rappresentato uno stigma. Quindici anni fa la società non era pronta. E a cosa non era pronta? Per esempio a fare i conti con il fatto che sono principalmente gli eterosessuali ad avere rapporti con i transessuali. Il sottoscritto, eterosessuale, aveva reso noto quel confine. È successo questo».
Lei è stato tra i fondatori del Pd. Se fosse successo oggi, con Elly Schlein segretaria del partito, il suo percorso politico sarebbe potuto continuare?
«La prima presentazione del libro l’ho fatta con Pierluigi Bersani. Elly Schlein è una donna, con un orientamento sessuale dichiarato, è coraggiosa. Sarebbe diverso certo, anche e soprattutto perché in quindici anni sono stati fatti passi avanti. Voglio dirlo forte e chiaro: devo alle mie figlie, Giulia, Diletta e Chiara, l’aver affrontato la mia situazione. Sono state loro a spingermi ad avviare un serio percorso psicanalitico».
Cosa si sente di dire oggi?
«Che bisogna fare estrema attenzione a utilizzare il tema della sessualità. Pensiamo ai casi di revenge porn, agli adolescenti, ai minori, alle persone deboli. Io avevo una posizione forte, eppure sono stato travolto. A loro cosa potrebbe succedere?».
Nella sua vicenda c’è un altro luogo di questa provincia che è stato decisivo: Montecassino. Perché scelse di trascorrere un periodo in abbazia?
«Avevo bisogno di un reset e raccolsi l’invito dell’abate don Pietro Vittorelli. Di me si occupò don Antonio ed è stato decisivo perché mi fece capire che per il sottoscritto era iniziata una nuova stagione. Montecassino fu fondamentale per proteggermi da quello che era diventato un assedio mediatico. In abbazia ho letto e riflettuto molto. Alcuni dicevano che mi sarei suicidato: mai pensato. Ero solo stanco».
Lei è anche un grande giornalista. Perché quella zona grigia di sessualità fluida crea tanta morbosità?
«Perché è facile. Mi spiego meglio: usare la sessualità contro il “potere” è semplice. Si toccano tanti nervi scoperti. Per la stampa è facile cavalcare questi argomenti, anche se devo dire che c’è stato un gossip becero».
Questa vicenda però ha determinato anche una reazione forte. Il legame con le sue figlie si è rinsaldato: in fondo il senso della famiglia è questo.
«Intanto sono state brave le mamme delle mie figlie. Detto questo, il messaggio di Giulia, Diletta e Chiara è stato fortissimo: avevate dipinto mio padre come un “mostro” e detto che si sarebbe suicidato. Non è successo nulla di tutto questo. Adesso interrogatevi voi sul perché avete reagito in quel modo scomposto».
Nell’ultima parte del libro lei racconta una scoperta che ha fatto riguardo alla sua famiglia. Raccontiamola.
«Riguarda mia madre. Lei da ragazza tornò dagli Stati Uniti tenendo per mano un bambino: mio fratello, nato nel primo matrimonio. Dentro di me c’è sempre stato un forte sentimento di “irrisolto”. A mia volta, nel periodo dell’esilio, faccio un lungo viaggio negli Stati Uniti. E scopro che il primo marito di mia madre, nel 1948-1949, padre di suo figlio e di mio fratello, era stato trovato in una stazione in compagnia di un altro uomo. Era omosessuale. Mio nonno, il padre di mia madre, decise di cancellare la paternità di quell’uomo. Mio fratello non ha mai potuto conoscere il padre. Un segreto della mia famiglia: anche quello uno stigma. C’è un filo che lega la mia vicenda a quella. Quell’uomo si chiamava Richard Jean Luna e gli era stata tolta la paternità».
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