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L'intervista

Matteo Adinolfi: «L’esperienza a servizio di tutti»

Il parlamentare europeo della Lega traccia un bilancio di questi cinque anni. E assicura: «Non lascio la politica». Ha deciso di non ricandidarsi: «Ho scelto di dare priorità alla famiglia e al lavoro ma resto a disposizione del partito»

matteo adinolfi

Matteo Adinolfi, Eurodeputato uscente, ha deciso di non candidarsi alle elezioni in programma l’8 e il 9 giugno

Ha scelto all’ultimo momento di non ricandidarsi alle Europee, Matteo Adinolfi. Ma il suo non è stato un addio alla politica. In questi giorni partecipa agli eventi della campagna elettorale e nel futuro intende mettere a disposizione l’esperienza maturata per l’intera comunità.

Matteo Adinolfi, sono le sue ultime settimane da eurodeputato. Vuole fare un bilancio di questi cinque anni?
«Sono stati cinque anni intensi e meravigliosi, durante i quali ho avuto l’opportunità e il privilegio di fare esperienze importanti nelle maggiori commissioni tecniche del Parlamento europeo, di confrontarmi con realtà internazionali, di conoscere professionisti di spicco e di apprendere e specializzarmi nei diversi settori, anche legati alla mia professione di commercialista e revisore legale. Le difficoltà non sono mancate (il covid, le intercettazioni illegali che mi hanno riguardato, l’indagine penale definitivamente archiviata) ma ho sempre operato con determinazione nel rispetto della fiducia datami dai miei 32.500 elettori. Sono state tante le sfide portate avanti in difesa e a supporto delle imprese e delle famiglie, ma nella mia attività ho anche cercato di avvicinare sempre più l’Europa ai cittadini perché troppo spesso viene percepita come un’istituzione lontana. Le stesse amministrazioni pubbliche non riescono a comprendere fino in fondo il ruolo dell’Europa nella gestione dei territori e le diverse opportunità che offre».

Cosa intende?
«Dal 2001 al 2020 l’Italia è sempre stata un contribuente netto, ovvero versava nelle casse dell’Europa più soldi di quelli che riceveva. Il cambio di passo c’è stato solamente nel 2021, quando il nostro Paese è passato ad essere percettore netto grazie ai 210 miliardi di euro ottenuti nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Questi investimenti, però, hanno portato a galla la cronica incapacità italiana di utilizzare le risorse messe a disposizione dall’Unione: basta pensare che l’Italia non ha utilizzato 25 miliardi e 166 milioni di euro di fondi Ue che spettavano per il periodo 2014-2020. Un piccolo tesoretto gettato al vento. Questo non può più accadere, soprattutto alla luce degli investimenti economici rientranti nell’Accordo di partenariato relativo al ciclo di programmazione 2021-2027: si tratta di 43,1 miliardi di euro assegnati all’Italia, a cui si aggiungono le risorse del cofinanziamento nazionale per un totale di oltre 75 miliardi di euro».

Qual è secondo lei una possibile soluzione?
«Dobbiamo allineare i nostri territori agli standard europei creando un ponte diretto tra Italia ed Europa e costruendo una rete italiana di collegamento tra aziende, amministrazioni pubbliche, professionisti e università. Occorrono operatori, manager e funzionari qualificati che sappiano affrontare e gestire in maniera seria e competente le diverse possibilità e risorse dell’Ue, traducendole in azioni concrete per i territori, per lo sviluppo locale e il sostegno a imprese e cittadini. Se non mettiamo a sistema le risorse e non investiamo nella formazione di queste figure, continueremo ad essere il fanalino di coda dell’Europa. Oggi non possiamo più permetterci di compiere passi falsi, altrimenti rischiamo di perdere ingenti risorse del Pnrr e dei fondi strutturali. Sono a disposizione, pronto a trasferire le conoscenze approfondite in questi anni da europarlamentare in attività concrete a supporto del tessuto economico italiano».

Alla luce della sua esperienza parlamentare, come vede oggi l’Europa?
«Vedo un’Europa ancora poco attenta alle esigenze e alle peculiarità dei suoi Paesi membri, poco rispettosa delle sovranità nazionali e ancora troppo distante dal garantire uno sviluppo armonico della piccola e media imprenditoria, che per l’Italia rappresenta l’ossatura del sistema economico. Gli stessi finanziamenti europei sono calibrati maggiormente per le grandi aziende. Oggi l’Europa è ancora sotto scacco della grande industria e delle lobby che la circondano».

Lei ha le idee chiare sull’Europa eppure ha deciso di non ricandidarsi. Perché?
«Come ho già avuto modo di dire, ho scelto di dare priorità alla famiglia e al lavoro, ma certamente non smetto di fare politica e resto a disposizione del mio partito. Non ricoprire incarichi istituzionali non vuol dire non fare attività politica o non avere a cuore le sorti dei territori in cui si abita. Anzi, scevro da incombenze e continui spostamenti che il ruolo di eurodeputato ha giustamente comportato, riuscirò a fare molto più per l’Italia, anche e soprattutto alla luce dei nuovi progetti professionali e sociali che mi vedranno impegnato nel prossimo futuro».

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