Spazio satira
L'intervista
15.10.2024 - 21:00
Alessandro Cedrone, direttore d’orchestra
Dal particolare all’universale, con un bel gioco induttivo, il sorano Alessandro Cedrone ha fatto delle sue note una professione che lo socializza e lo internazionalizza.
Quando ha conosciuto la musica?
«Fin da piccolo ho respirato musica, mio padre, pianista, era direttore di cori e insegnava la materia nelle scuole medie. Ho iniziato cantando, a sei anni, tra i soprani prima e poi tenore e anche basso».
E dopo…?
«Dopo aver studiato solfeggio e pianoforte, mi sono innamorato del violino, strumento che mi ha permesso di diplomarmi al conservatorio “Licinio Refice” di Frosinone. Contemporaneamente, ho iniziato a seguire direzione d’orchestra ma senza mai abbandonare il canto. In effetti sono rimasto folgorato dalla magia della comunicazione delle mani con il suono e di come un gesto o un non gesto possano influire sulla musica».
Che cosa è per lei la musica?
«È un dono incredibile, un linguaggio universale che unisce le più svariate sensibilità e culture. Una vita senza musica produrrebbe solo rumori, non suoni, le note che accordano l’anima».
A un certo punto della sua carriera ha dovuto fare una scelta…
«Ho relegato il violino in secondo piano per esigenze di tempo, ma virtualmente è sempre con me. Per la direzione, avendo la fortuna di dirigere opera e concerti sinfonici dove è prevista la presenza di cantori, non sento la mancanza dello “strumento coro”. Devo dire pure che ogni tanto ritaglio spazio per preparare ed eseguire musica a cappella dal 500 a oggi».
Qual è la funzione del canto lirico?
«Credo la funzione primaria sia quella di esprimere con la musica ciò che con il libretto (lo spartito in versi dell’opera, ndr) rimane inespresso dalle parole. Il canto lirico libera il testo, facendo volare il sentimento e la situazione scenica rappresentata nel luogo magico della musica, dove ci ritroviamo tutti e sempre in maniera diversa innamorati spettatori».
E perché, nell’ambito della direzione corale, si è dedicato alla musica lirica?
«Non ho scelto la musica lirica corale, è stata una stupenda coincidenza di un vero inizio professionale in un teatro lirico. In realtà non ho mai abbandonato la realtà della coralità polifonica, collaboro per esempio con il coro polifonico di Stato della Turchia con cui mi dedico a progetti molto interessanti sulla musica corale anche contemporanea. Il lato affascinate del coro lirico è il lavorare sul “personaggio coro”, cioè il vedere come tutti gli artisti del coro diventano un unico o più personaggi che seguono gli eventi, reagendo in maniera diversa alla situazione drammaturgica».
Perché il rapporto privilegiato con la Turchia?
«La Turchia ha rappresentato per me la prima e vera opportunità di mettere in pratica ciò che avevo studiato e inseguito. Sono stato invitato subito dopo il diploma dal mio maestro di direzione d’orchestra, Dario Lucantoni, per dirigere il coro del Teatro di Stato di Ankara per un piccolo periodo. Poi, da cosa nasce cosa…».
Quali sono le emozioni particolari che prova nella direzione corale?
«Per me il suono del coro ha la potenza di essere molto intimo, ha un posto molto particolare nella mia anima, sacro e inviolabile. Ricordo che una delle più belle emozioni è stata dirigere e cantare con il coro “University of the Philippines Singing Ambassadors”, nell’ambito del gemellaggio che facemmo tanti anni fa con la mia corale “S. Silvestro Papa di Sora”».
Ha qualche conseguenza sull’efficacia dell’esecuzione del pezzo il fatto che lo strumento sia la voce e non, per esempio, una chitarra?
«Certo, il risultato sonoro è diverso perché diversa è la natura del suono e i limiti fisici-tecnici di uno strumento rispetto a un altro. Per esempio, la chitarra classica, per sua natura tecnica, non potrà mai rendere viva una nota se non con il tremolo e per più di qualche secondo; invece, una voce può eseguire un suono tenuto e presente, certamente non lungamente quanto uno strumento ad arco o a un organo, ma sicuramente molto di più di una chitarra».
Qual è lo stato della musica lirica in Italia?
«A mo’ di battuta, citando un titolo cinematografico, l’Italia è il paese della “grande bellezza” e la lirica è una parte di essa, anche se rimane ancora un fenomeno un po’ riservato a un’età avanzata. Sono altresì speranzoso per il futuro, perché negli ultimi anni vedo gli sforzi dei teatri ad accogliere la bellezza dell’opera lirica e del balletto per i ragazzi. Non sottovalutiamo però il ruolo della scuola, in questo».
La pratica del canto lirico in Italia è stata iscritta nella Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco nel 2023: che cosa fa lo Stato italiano al riguardo?
«Beh, rispondo con le parole del maestro Riccardo Muti: “I governi devono investire nella cultura, perché rimuovere questa parola significa brutalizzare le persone. E sappiano che un’orchestra costa meno di un calciatore”». Purtroppo in Italia non ci vuole molto a costar meno di un calciatore, ma ci vuole poco a valere più di un calciatore…
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