Spazio satira
Pagine di storia
14.05.2024 - 20:00
Il capitano Anthony Scotti con Olivetta Molinari
Castro dei Volsci, 1944: in un contesto drammatico, un gesto di solidarietà o una giusta azione di guerra, semmai la guerra possa mai avere una connotazione morale, lenisce le profonde ferite di una comunità pesantemente coinvolta nel secondo conflitto mondiale. Dell’episodio ci parla Paolo Maria Sbarbada, storico e ricercatore frusinate, appassionato ed esperto degli eventi italiani della seconda Guerra mondiale.
Come è venuto a conoscenza dell’episodio in questione?
«In occasione di una delle iniziative a ricordo del 70° anniversario della seconda Guerra mondiale nel cassinate, dieci anni fa quindi, ho incontrato il prof. Antonio Grazio Ferraro (deceduto nel 2015, ndr), più volte sindaco di Cassino e presidente della Provincia di Frosinone, autore di diversi libri sull’argomento, il quale mi ha raccontato del drammatico e crudele episodio di cui è stato testimone diretto».
Ci inquadra il fatto nella cornice storica?
«Alla fine del 1943, l’avanzata delle forze alleate in Italia, proveniente da sud, era ostacolata dalla Linea Gustav, un sistema di fortificazioni naturali come monti e fiumi e artificiali come bunker, trincee, denti di drago, cavalli di frisia, campi minati… La Linea Gustav tagliava in due parti l’Italia, estendendosi dalla foce del fiume Garigliano, al confine tra Lazio e Campania, fino a Ortona. Uno dei punti più difesi della linea era la Valle del Liri, sottostante a Montecassino, che, se conquistata, avrebbe aperto per gli Alleati un’autostrada verso Roma».
E per quanto riguarda la popolazione locale?
«Con l’armistizio dell’8 settembre 1943 firmato dal governo Badoglio, l’Italia si era arresa alle forze alleate, ma i nazisti avevano occupato militarmente il suo territorio. La zona di Castro dei Volsci era stata adibita dai tedeschi a retrovia, con l’installazione di officine per la riparazione dei mezzi, depositi di armi, carburanti e vettovagliamenti. L’occupazione aveva comportato la requisizione di numerose abitazioni civili ma la convivenza tra la popolazione e le truppe tedesche, almeno inizialmente, era stata abbastanza corretta e rispettosa. Ma, con l’avvicinarsi delle truppe di occupazione e della minaccia partigiana, erano cominciate le rappresaglie, i rastrellamenti e le requisizioni di cibo».
In questa situazione il Professore…
«Il Professore era riuscito a fuggire dai lavori forzati lungo la Linea Gustav per conto dei tedeschi – siamo ad aprile 1944 – e, dopo un lungo cammino, si era rifugiato con la famiglia nel Casello ferroviario n. 98, oggi scomparso, vicino alla stazione di Castro dei Volsci, in territorio pofano. La zona della stazione ferroviaria, però, era diventata molto pericolosa sia per il passaggio delle truppe tedesche in ritirata verso nord sia per i continui bombardamenti e mitragliamenti aerei alleati. Fu così che la famiglia Ferraro lasciò il casello ferroviario trovando ospitalità in un casolare nelle vicinanze del fiume Sacco in “Via Limate di Sotto”, nel territorio del Comune di Castro dei Volsci».
E qui si apre uno dei capitoli più brutti della storia della nostra terra…
«Infatti. Con la ritirata dei tedeschi dal fronte cassinate e nell’imminenza dell’arrivo delle forze alleate, gli abitanti della zona della stazione ferroviaria si ritenevano al sicuro, ma non avevano fatto i conti con i “goumier”, soldati marocchini che combattevano con il Cef, “Corps Expéditionnaire Français”. Questi soldati, di etnia berbera, appartenevano a corpi irregolari ed erano avvolti in barracani e mantelli di lana con cappuccio e sotto l’elmetto avevano il turbante. Organizzati in piccoli gruppi di combattimento denominati “goums”, erano molto resistenti alla fatica, esperti e abili combattenti soprattutto nelle zone montane, ed erano conosciuti anche per la loro ferocia non solo verso le truppe nemiche ma anche, come purtroppo avvenne, verso le inermi popolazioni che incontravano lungo la loro avanzata».
Arriviamo così al nostro episodio…
«Molte famiglie, dopo i primi episodi di violenza, si erano trasferite lontano dalle zone del passaggio di queste truppe. Il Professore, come detto prima, si era spostato in un casolare nei pressi del fiume Sacco, nella zona controllata dai soldati canadesi».
Riportiamo a questo punto le parole del prof. Ferraro raccolte direttamente da Paolo Sbarbada...
«Con la ritirata dei tedeschi e l’avanzata delle truppe alleate, ci consideravamo relativamente al sicuro perché la zona era sotto il controllo dei soldati canadesi, avevamo infatti sentito da alcuni sfollati voci sulle violenze delle truppe di colore francesi sulla popolazione, in particolare dei soldati marocchini, i famigerati “goumiers”. Una mattina con mio fratello Carmelo ci incamminammo verso la zona di “Madonna del Piano”, sempre a Castro dei Volsci, per vedere l’avanzata delle truppe francesi, con carri armati e mezzi di trasporto. Facemmo amicizia con due soldati francesi originari di Cassino, che ci dissero di stare attenti che stavano arrivando le truppe di colore, capaci di ogni tipo di violenza. E così avvenne quando un paio di giorni dopo vedemmo arrivare dal fiume Sacco una marea di soldati di colore che sparando e urlando si diressero verso il nostro casolare. Purtroppo non facemmo in tempo a scappare e quando arrivarono, con la minaccia delle armi, ci fecero uscire cominciando a rovistare ovunque. Trovarono due donne che si erano nascoste, ma essendo malate e piene di scabbia, fortunatamente per loro le lasciarono stare. Non era però finita perché sempre con le armi puntate presero me, mio fratello Carmelo e mio padre, costringendoci a seguirli fino a una casa poco distante, dove ci radunarono insieme ad altre persone presenti, uomini, donne, anziani e bambini. Qui presero una ragazza di sedici anni e davanti a noi cominciarono a percuoterla, poi le stracciarono i vestiti e su un vecchio materasso a turno… costringendoci ad assistere a questa orribile scena. Improvvisamente i marocchini si distolsero dalla violenza e scapparono: avevano sentito il rumore di un mezzo militare che si avvicinava. La ragazza, nuda e sanguinante, venne soccorsa e nel frattempo arrivarono alcuni ufficiali francesi a bordo di un veicolo militare. Con rabbia e disperazione dicemmo loro che cosa era successo, sperando in un aiuto, ma alzando le spalle ci risposero semplicemente: “C’est la guerre!”. E andarono via. Decidemmo così di denunciare il fatto ai soldati canadesi, presso il comando della Polizia Militare a Pofi. Qui avemmo la fortuna di incontrare il capitano Tony Scotti che, in perfetto italiano, ci chiese di raccontargli tutto. Il giorno dopo il Capitano si presentò presso il nostro casolare, agli ordini di una trentina di soldati. In tarda mattinata i goumiers, accompagnati da urla, si riversarono nel Sacco per attraversarlo e, probabilmente, continuare le violenze iniziate il giorno prima».
Scusi l’interruzione, chi era il capitano Tony Scotti?
«Nato nel 1915 in Canada da una famiglia di origine torinese, era entrato nel dipartimento della Polizia di Westmount nel Quebec subito dopo gli studi superiori. Entrato nell’esercito canadese nel 1943 con il grado di Tenente, fu assegnato a una compagnia della Polizia Militare canadese “Canadian Provost Corps” della 5ª Divisione Corazzata canadese in Italia Nel maggio del 1944 con il grado di Capitano, partecipò ai combattimenti lungo la “Hitler Line” nella zona di Aquino e Pontecorvo, rimanendo tra l’altro miracolosamente illeso dallo scoppio di un proiettile di mortaio tedesco. Dal 25 al 31 maggio 1944 stabilì il suo comando a Pofi ed è proprio in questo periodo che si verificarono questi gravi episodi, narrati dal prof. Ferraro. Alla fine della guerra, fu insignito della “Military Cross”, prestigiosa onorificenza assegnatagli per il suo operato durante la Campagna d’Italia. Nel 1968 andò in pensione con il grado di Colonnello della Polizia Militare canadese. Morì nel 1995, lasciando oltre alla famiglia l’immagine di un uomo che, onorando la sua divisa, da soldato semplice era diventato Colonnello».
Continuiamo con la testimonianza di Ferraro...
«Questa volta ad aspettare i marocchini c’erano appunto i soldati canadesi del Capitano Scotti. Lo stesso Capitano ordinò ai suoi uomini di puntare le armi contro i marocchini intimando loro di non attraversare il Sacco. I “goumiers”, dopo un momento iniziale di esitazione, come in preda a un raptus di follia si gettarono nel fiume per attraversarlo. I soldati canadesi allora aprirono il fuoco colpendone a morte diversi, respingendoli così al di là del fiume! Il Capitano Scotti ci ringraziò per la collaborazione e chiese a tutti i civili presenti, di abbandonare la zona per qualche giorno e di portarsi al sicuro dietro la stazione ferroviaria nel territorio del Comune di Pofi. Il 25 aprile del 1975, durante le celebrazioni a ricordo della battaglia di Cassino, città di cui ero diventato sindaco, incontrai una delegazione di politici e militari canadesi in un convegno in Comune. Uno di loro si alzò e si presentò come il Colonnello Anthony Scotti della Polizia Militare. No, non era possibile! Si trattava del Capitano Scotti, che ci aveva salvati!!! Ci abbracciamo commossi, molto commossi… Alla fine della cerimonia gli donai la Medaglia d’oro della Città di Cassino che contraccambiò con una sua medaglia ricordo».
Oggi a Castro dei Volsci, nel piazzale San Francesco nei pressi della stazione ferroviaria, è stato celebrato l’80° Anniversario della Campagna d’Italia, alla presenza delle autorità civili, militari, religiose e una folta delegazione canadese tra cui le figlie del Capitano Scotti e i figli del prof. Ferraro. Sono stati inaugurati, per l’occasione, un cippo e una targa commemorativa in onore del Capitano Anthony “Tony” Scotti e una targa nei pressi del “Ponte della Mola” dove avvenne lo scontro a fuoco tra canadesi e marocchini. Infine è stata deposta una corona sul “Monumento alla Mamma Ciociara”.
Edizione digitale
I più recenti
Ultime dalla sezione