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L'anniversario

La prima catastrofe moderna. Il terremoto e lo tsunami del 1° novembre

Due eventi che 1755 distrussero Lisbona cambiando per sempre l’Europa. Secondo le stime il sisma ebbe un grado tra il 7.7 e l’8.5 della scala Richter. I morti furono tra i 60.000 e i 90.000

La prima catastrofe moderna. Il terremoto e lo tsunami del 1° novembre

Il terremoto più catastrofico della storia, in termini di perdite umane, si verificò il 23 gennaio del 1556 nella provincia cinese di Shaanxi, e, secondo le stime, causò l’incredibile numero di 830.000 vittime. In tempi più recenti, movimenti tellurici similmente devastanti, furono quelli del 16 dicembre del 1920 ad Haiyuan (Cina, che determinò circa 275.000 decessi), del 28 luglio 1976 a Tangshan, sempre in Cina, con 242.000 morti (anche se, secondo alcune fonti, furono invece ben 650.000) e del 10 gennaio 2010 (nell’isola caraibica di Haiti, che fece perdere la vita a circa 300.000 persone).

Tuttavia, il sisma che ha avuto maggiore impatto “storico-culturale”, è stato, molto probabilmente, quello che avvenne intorno alle ore 9.30 del 1° novembre del 1755 (e quindi esattamente duecentosettanta anni fa), nell’Oceano Atlantico, a pochi chilometri dalla costa del Portogallo. Esso ebbe un grado stimato tra il 7.7 e l’8.5 della scala Richter, e scosse violentemente l’Europa Occidentale e l’Africa settentrionale, interessando un’area geografica di oltre dieci milioni di chilometri quadrati. Fu lunghissimo (le scosse si ripetettero infatti, a breve distanza, per più di sei, interminabili minuti), ed inoltre provocò – circa due ore dopo – un violentissimo tsunami, con onde che raggiunsero un’altezza di circa quindici metri, che devastarono ampie zone costiere.

Particolarmente colpita fu la città di Lisbona, nella quale – anche a causa di numerosi, devastanti incendi, che durarono per quasi una settimana – persero la vita tra le 60.000 e le 90.000 persone, su una popolazione complessiva di circa 275.000 abitanti. In Marocco vi furono altri 10.000 morti ed Algeri venne praticamente distrutta. Le scosse furono percepite fino in Olanda, Svizzera Italia e Corsica, ma anche nelle lontane Antille ed a Barbados. L’influenza sociale del “Terremoto di Lisbona” nel mondo occidentale fu enorme. Il ricercatore canadese Russell Dynes affermò che quel devastante evento fu – di fatto – “la prima catastrofe moderna”, che ebbe tuttavia il “merito” di suggerire ai governi la creazione di una “protezione civile”, da attivare prontamente a seguito di cataclismi; e – soprattutto – di stimolare l’approvazione di una prima, embrionale, legislazione generale di prevenzione in materia di costruzione e di ricostruzione degli edifici.

Ha osservato lo scrittore portoghese Rui Tavares, in un’interessante monografia sul grande sisma del 1755, che «Lisbona fu “reconstruida” da zero, come Londra dopo il grande incendio del 1666, San Francisco dopo il sisma del 1906, Chicago dopo il rogo del 1871, Plymouth o Dresda dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, Hiroshima o Nagasaki dopo la bomba atomica. Il fatto che le scelte effettuate a partire dal 1755 siano ancora il nucleo perfettamente intellegibile dell’esperienza attuale della città, riserva ancora insegnamenti utili per altre città, che oggi riflettono sulla propria ricostruzione partendo dal ground zero».

Quel drammatico sisma ebbe effetti anche a livello culturale. Voltaire, infatti, pubblicò il suo celebre “Poema sul disastro di Lisbona”, grazie al quale alimentò un fecondo dibattito filosofico sull’esistenza umana, che talvolta sembra essere in balia delle forze della natura («…direte voi, davanti a un tale mucchio di vittime: Dio si è vendicato, la loro morte è il prezzo dei loro crimini? Lisbona, che non c’è più, ebbe forse più vizi di Londra, di Parigi, immerse nei piaceri? Lisbona è distrutta, e a Parigi si danza»). Lo scrittore francese rilevò che il principale effetto di quel terremoto era stato, in sostanza, quello di rendere le persone più introspettive, così pertanto formulando una severa critica alla visione naturalistico-esistenziale che era stata precedentemente elaborata dal filosofo tedesco Gottfried Leibniz, e che era basata sull’ottimistico concetto del “miglior mondo possibile”.

L’opera di Voltaire – di fatto – innescò un ampio dibattito illuminista sull’origine del male, e sulle ragioni dell’umana sofferenza. Anche Johann Wolfgang Goethe ritenne opportuno scrivere qualcosa su quel cataclisma, dal quale era rimasto scosso, quando era infante: «Forse mai prima di allora aveva il Demonio della paura così repentinamente e potentemente sparso l’orrore in tutto il mondo… Dio, il creatore e preservatole del cielo e della terra, Dio, che si dice sia onnisciente e misericordioso, si era mostrato padre cattivo, poiché aveva attaccato in egual maniera i giusti e gli ingiusti… era chiaro che pure i teologi più eruditi non riuscivano a mettersi d’accordo sul modo in cui spiegare tale disastro».

Tuttavia, a dire il vero, non mancarono approcci ermeneutici più squisitamente razionali di quell’evento. Ed infatti il filosofo svizzero Jean Jaques Rousseau, pur non volendo negare l’incidenza dei fenomeni naturali sugli umani destini, osservò che alcuni colpevoli comportamenti, come ad esempio la concentrazione di migliaia di case e persone in un unico luogo, avevano certamente aggravato gli effetti di quella tremenda catastrofe, sostenendo che il male non era nella natura, semmai nell'intervento dell’uomo che spesso si allontana dalla “semplicità naturale”. Evidenzia ancora Tavares: «Il grande lascito del 1755 è quello dell’interpretazione costruttiva di un fenomeno naturale… dopo di allora… è come se esistessero due Lisbona, due Portogalli, due illuminismi, e addirittura due secoli XVII, prima e dopo il 1755».

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