Spazio satira
Pagine di storia
05.09.2025 - 17:00
L'archeologo Robert Ballard
Il 1° settembre del 1985, e quindi esattamente quarant’anni fa, la spedizione oceanografica guidata dal ricercatore americano Robert Ballard individuò, a largo della penisola di Terranova, a circa 3.800 metri di profondità, il relitto del transatlantico britannico “Titanic”, che, nella notte tra il 14 ed il 15 aprile del 1912, era affondato durante il suo viaggio inaugurale a seguito dell’impatto con un iceberg. Sin da subito, dopo il naufragio, in molti avrebbero voluto provare ad individuare la carcassa della nave negli abissi oceanici; tuttavia, all’epoca, non essendo disponibili adeguati strumenti tecnici per riuscire nell’improba impresa, l’ambizioso progetto venne ben presto abbandonato.
A partire dal secondo dopoguerra, altri “cacciatori di relitti” si adoperarono in tal senso, e, per prima cosa, cercarono di individuare con sufficiente precisione la zona di Oceano Atlantico dove era avvenuta la tragedia. La cosa, nonostante la documentazione a disposizione, e le testimonianze rese dai sopravvissuti, non risultò affatto facile. Ballard, ad ogni buon conto, sfruttò le informazioni che erano state raccolte, e, con l’ausilio dell’avanzato sistema di ricerca che aveva ideato (denominato “Argo / Jason”, che consisteva in un piccolo sottomarino comandato a distanza, dotato di un sofisticato sistema di sensori e telecamere), decise di scandagliare l’ampia zona di fondale oceanico che riteneva custodisse il relitto del Titanic.
Quella tecnologia (che, all’epoca, era estremamente innovativa) era stata concepita da Ballard nel 1979, mentre stava assistendo allo sviluppo di nuovi sistemi di comunicazione basati su fibre ottiche e microprocessori. In occasione di un’intervista, il famoso oceanografo, rivelò che una notte aveva sognato di poter riuscire ad esplorare i fondali con mezzi comandati da remoto attraverso un sistema molto più sofisticato ed affidabile dei sonar. Ma gli servivano dei fondi. Si rivolse pertanto alla Marina Militare Americana, presso la quale – peraltro – aveva in passato lavorato come sommergibilista. E rivelò: «La Marina non aveva alcun interesse a scoprire il relitto. Tuttavia era molto interessata a utilizzare la tecnica della telepresenza per scopi militari. Riuscii allora a farmi finanziare una missione per individuare due sottomarini nucleari, dispersi nella stessa area in cui si trovava il Titanic: lo USS Thresher e lo USS Scorpion. L’idea era trovare i sommergibili, per poi passare il resto del tempo a cercare il Titanic, che era poi il mio vero obiettivo. Riuscii a trovare i sommergibili quasi subito. Mi rimanevano solo dodici giorni per individuare il transatlantico... per farlo scegliemmo un approccio diverso, decidendo di non cercare il Titanic, ma le sue tracce. Partimmo dall’idea che certamente, durante il naufragio, doveva essersi dispersa in mare una grande quantità di oggetti e resti. Tutti questi oggetti dovevano essersi distribuiti su un’area molto vasta. Individuarli ci avrebbe permesso di restringere il campo, e seguirli ci avrebbe portati dritti al relitto. Ed è stato esattamente così. Il primo oggetto che abbiamo trovato è stata una caldaia».
Ed infatti, dopo circa una settimana di infruttuosi tentativi, alle 12.48 del 1° settembre 1985, proprio al confine tra la scarpata continentale nordamericana e la piana abissale atlantica, ed a circa venticinque chilometri dalla zona di oceano che era stata in un primo momento indicata come quella del naufragio, sui monitor di Ballard cominciarono a comparire tracce di oggetti di evidente origine antropica. Il ritrovamento dei detriti fece intuire all’ostinato oceanografo statunitense di essere finalmente vicino all’obiettivo. Così fu, perché il giorno successivo venne trovata la prua della celeberrima nave. Ballard ebbe così la conferma che essa, poco prima di inabissarsi, si era spaccata in due tronconi; tanto è vero che i suoi resti risultavano dispersi in un raggio di quasi tre chilometri quadrati. Nel corso degli anni, ed a seguito di diverse spedizioni, furono mano a mano recuperati oltre cinquemila manufatti di vario tipo, che facevano parte degli arredi e della struttura del Titanic. Buona parte di essi sono stati raccolti nei musei, o costituiscono motivi di attrazione delle numerose mostre itineranti che, da tempo, girano il mondo.
Per tutti coloro i quali volessero vivere l’esperienza (virtuale) di salire sul celebre transatlantico britannico, segnalo volentieri che resterà aperta, fino alla fine di ottobre, in via Trionfale 7400 a Roma, la mostra “Titanic – Un viaggio nel tempo”. Attraverso sofisticati strumenti multimediali interattivi sarà possibile “visitare” la nave com’era durante quello sfortunato viaggio inaugurale; “incontrare” i suoi passeggeri; “vivere” da vicino la vita di bordo, “rivivere” il drammatico momento dell’impatto con l’iceberg, ed infine “immergersi” sui fondali oceanici per vedere le immagini del relitto, così come apparvero agli occhi di Ballard, quarant’anni fa. Relitto che, a causa dell’enorme pressione dell’acqua, del tempo trascorso, dei batteri, e delle correnti marine, si sta oramai, purtroppo, irrimediabilmente deteriorando. Basti pensare che la ringhiera della prua del transatlantico più famoso della storia, immortalata nella più celebre scena del film di James Cameron del 1997, oramai, non esiste più…
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