Il saggio
22.08.2025 - 15:00
L’economista Charles Gave
Il Nuovo Testamento è, come sappiamo, la raccolta dei libri canonici che costituiscono la seconda parte della Bibbia cristiana. Furono scritti dagli evangelisti e dagli apostoli, basandosi sulla vita e sulla predicazione di Gesù di Nazareth. Su tale argomento, nel corso dei secoli, sono stati spesi fiumi di inchiostro, e sono state pubblicate migliaia e migliaia di opere. Tra quelle recenti, una tra le più curiose ed originali è, senza alcun dubbio, il breve saggio edito dalla IBL Libri, a firma di Charles Gave, ed intitolato “Gesù economista – Ricchezza, proprietà privata e giustizia sociale” (116 pagine). A spiegare il contenuto del volume è lo stesso autore, il quale infatti chiarisce che il suo «non è un libro religioso, ma sull’economia, alla luce dei Vangeli… il mio scopo è… analizzarli, usando gli strumenti del mio mestiere, quello di economista».
Gave parte dal presupposto che «l’uguaglianza di tutti davanti a Dio, senza la libertà individuale greca, conduce facilmente… alla stagnazione economica». Per giustificare e spiegare tale sua singolare conclusione, Gave si dedica ad analizzare ed interpretare le parole di Gesù da un punto di vista strettamente economico, mettendole a confronto soprattutto con l’ideologia marxista. Tanto è vero che egli ammette candidamente che il «soggetto di questo libro è un po’ il confronto tra Gesù e Marx». L’autore, ad esempio, sostiene infatti che il socialismo, oltre ad essere «economicamente disastroso» (e fino a qui gli si potrebbe anche dare ragione), sarebbe però, di per sé, anche «moralmente perverso» (e questo, invece, è concetto decisamente assai più difficile da accettare).
Gave ritiene che quella ideologia sarebbe da qualificare come «immorale» in quanto coloro che la propugnano sono fermamente convinti che «avrebbero il diritto di governare, perché in grado di distinguere il bene dal male». Secondo lui, però, autorevolissima dimostrazione dell’inferiorità morale dell’ideologia socialista, la si rinviene nella stessa parola di Gesù; il quale, nonostante le apparenze, non aveva affatto convinzioni “proletarie”. Anzi, in realtà, era un convinto “capitalista”, che riteneva giusto premiare il merito, l’iniziativa economica ed il rischio imprenditoriale. Per dimostrare la fondatezza di tale sua interpretazione della parola del Signore, suggerisce di porre la dovuta attenzione al Nuovo Testamento: «Una lettura attenta del testo mostra senza alcuna ambiguità che i Vangeli sono individualisti, e quindi completamente compatibili con il capitalismo, e invece totalmente in opposizione al collettivismo, all’ugualitarismo e al pessimismo e di conseguenza totalmente incompatibili con il socialismo». Ad avviso di Gave, per avere conferma di ciò, sarebbe del resto sufficiente leggere alcune delle famose parabole che Cristo raccontava alle folle che lo ascoltavano, nelle quali si parla spesso di denari da far fruttare, di rischi imprenditoriali, e di profitto. Esse – secondo lui – non solo sarebbero intrise di principi economici di chiaro stampo “liberale”, ma dimostrerebbero soprattutto che in realtà – e diversamente da quanto si potrebbe invece immaginare – Gesù nutriva «una grande simpatia per gli imprenditori», aveva «perfetta coscienza delle disuguaglianze che esistono tra gli uomini», ed era fermamente convinto che «non abbiamo tutti le stesse capacità per occuparci di questioni di soldi».
L’economista transalpino, più in particolare, sostiene che leggendo le parabole riportate nei Vangeli emerge con chiarezza che il Signore «non sembra affatto ossessionato e neppure preoccupato dall’uguaglianza di opportunità, o dall’uguaglianza dei risultati. Ciò che conta, per lui, è la volontà di assumersi dei rischi e di esporsi… non lo disturba per nulla che colui che ha già molto abbia ancora di più, semplicemente perché impiega al meglio il capitale che gli è stato giudiziosamente affidato». In altre parole, sostiene, «la teoria soggettiva del valore è presente nei Vangeli, a chiare lettere… Dio pratica e conosce la teoria del valore soggettivo. Il messaggio è lampante: ognuno è libero di spendere i suoi redditi come vuole… ognuno deve poter costruire e gestire la propria scala di valori senza costrizione» (diversamente da quello che avviene invece nelle economie collettiviste e stataliste, che sono invece notoriamente basate sui principi socialisti). L’autore del saggio evidenzia inoltre che «i Vangeli santificano l’assunzione del rischio» (di impresa, ndr), che «coloro che hanno assunto dei rischi, ci dice Gesù, sono gloriosamente remunerati», e che «colui che spreca il capitale, sotterrandolo, non ha diritto ad alcun riguardo. Via, all’inferno». Inoltre che «il Cristo ci dice senza giri di parole: affinché l’economia funzioni, occorre un padrone che disponga di capitale e che controlli il lavoro».
Le Sacre Scritture, secondo la sua interpretazione, affrontano anche il delicato argomento della proprietà privata; concetto economico-giuridico che le teorie liberiste, e quelle socialiste di stampo collettivista, interpretano ovviamente in maniera opposta. Dice Gave: «Carità collettiva e coercitiva non è carità, ma un’applicazione dell’invidia al campo sociale… non appartenendo a nessuno, la proprietà collettiva non può essere mobilizzata, e resta quindi sterile per sempre… l’appropriazione collettiva è un furto, e va quindi contro uno dei Dieci Comandamenti… Un furto “statizzato”, un furto organizzato e autorizzato dal potere pubblico è un furto di una natura molto più grave del semplice furto tra privati. Distrugge, infatti, la nozione stessa di certezza del diritto e, per questo, ha delle conseguenze gravissime e pesantissime».
Tale cristica visione economica – secondo l’autore del saggio – «suscita in ogni economista liberale un profondo incantamento. Una delizia. Non manca nulla…». Egli, quindi, in sostanza, sostiene che il comunismo sia in realtà un’ideologia inefficace da un punto di vista economico, invisa persino dal Padre Eterno. Inoltre la ritiene anche “di facciata”, evidenziando che coloro che ne hanno fatto la bandiera del proprio agire – soprattutto se erano artisti o intellettuali di successo – in realtà predicavano bene, ma poi razzolavano molto male. Tanto è vero che, ad esempio, così rammenta: «Non si può certo dire che non vi siano stati artisti socialisti o comunisti di grande qualità. Ve ne sono stati. Ma vivevano tutti tranquillamente in Costa Azzurra o in California. Picasso ne è un esempio meraviglioso: vendeva le sue opere a carissimo prezzo ai miliardari e ai musei americani, pur definendosi comunista». Comunque la si pensi in proposito, quel che è certo è che il breve saggio dell’economista francese induce e stimola a numerose, profonde ed utili riflessioni…
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