Spazio satira
Religione
27.06.2025 - 14:00
Il 29 giugno la Chiesa celebra tradizionalmente il martirio dei Santi Pietro e Paolo. Del primo dei due avemmo occasione di parlare, in questa rubrica, qualche anno fa. Ci occupiamo oggi, invece, del secondo, e cioè di Paolo di Tarso, detto Saulo, ebreo ellenizzato, che godeva della cittadinanza romana sin dalla nascita, il quale è famoso soprattutto per la celebre “folgorazione sulla via di Damasco”. Tale evento determinò la sua improvvisa conversione al Cristianesimo tanto da indurlo a scrivere, in una delle sue Lettere, «…sono stato crocifisso con Cristo; non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me…s ono stato afferrato da lui».
Come ricorda il cardinale Gianfranco Ravasi in un recente saggio, San Paolo rappresenta «l’emblema per eccellenza del convertito che, dall’abisso della sua perversione, accede alla luce della redenzione». Quel miracoloso accadimento, che ebbe l’effetto di trasformare il persecutore in apostolo, ed il peccatore in pentito, fece infatti maturare in lui una viscerale adesione spirituale a Gesù, dal quale venne completamente ed inesorabilmente «afferrato, ghermito, conquistato, impugnato».
L’evangelista Luca descrive in modo sintetico, ma assai efficace, quel momento determinante dell’esistenza terrena di colui il quale poi è stato da molti definito come “l’apostolo per eccellenza”: «All’improvviso lo avvolse una luce dal cielo, e, cadendo a terra, udì una voce che gli diceva, Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Rispose: Chi sei, o Signore? E la voce: Io sono Gesù, che tu perseguiti… Saulo rimase cieco per tre giorni». Venne guarito dal capo della piccola comunità cristiana di Anania e, tale episodio, noto come “conversione di Paolo”, diede poi inizio alla sua instancabile opera di evangelizzazione.
Secondo un testo apocrifo della fine del II secolo – e quindi non si sa fino a che punto attendibile – Paolo «era un uomo di bassa statura, la testa calva, le gambe arcuate, il corpo vigoroso, le sopracciglia congiunte, il naso piuttosto sporgente, pieno di amabilità, tanto è vero che, a volte, aveva le sembianze di un uomo, mentre, altre, l’aspetto di un angelo». A quanto pare, poi, era piuttosto risoluto di carattere, e, a differenza di Pietro (noto per essere invece un uomo assai disponibile alla mediazione), è ricordato come persona piuttosto insofferente ai compromessi, ed abbastanza radicale nelle convinzioni. Tanto è vero che Martin Lutero, il teologo intransigente per eccellenza, riferendosi alla Lettera ai Romani, affermò che era «il Vangelo più puro. Sarebbe opportuno che qualsiasi cristiano la conosca a memoria parola per parola, e che la legga quotidianamente, come il pane quotidiano per la sua anima».
Ed in effetti, buona parte degli scritti lasciati da Paolo, sono permeati da una tensione mistica prorompente, che colpisce, e talvolta addirittura disorienta. La profondità delle sue parole e dei suoi concetti costituisce un punto di riferimento imprescindibile per tutti coloro i quali intendano cercare – e possibilmente trovare – un efficace sostegno alla propria fede. Infatti, in uno dei suoi scritti egli precisa che «la parola di Dio è viva, energica, più tagliente di ogni spada a doppio taglio, penetrante fin nella divisione tra anima e spirito, giunture e midollo, giudicatrice dei sentimenti e dei pensieri di cuore… la fede è garanzia delle cose che si sperano, ed è la prova di quelle che non si vedono».
Evidenzia a tal proposito Ravasi che «Paolo ha costruito non tanto un sistema di pensiero, quanto piuttosto un progetto dove teologia e morale, riflessione e azione, cristologia ed ecclesiologia, dogmatica e pastorale si richiamano, si fondono, si pongono in contrappunto». La sua visione, forse proprio grazie al fatto che egli compenetrava in sé «l’identità di ebreo, di romano e di greco», appare estremamente ampia, pragmatica, moderna, e per di più lascia emergere la sua notevole cultura, e la sua non comune creatività; tanto è vero che il suddetto saggista ritiene utile ed opportuno rilevare che «il suo è un cristianesimo cosmopolita, transfrontaliero, interculturale, interetnico, persino interclassista e intersessuale», che lo rendono «uno dei capisaldi della cultura occidentale».
L’influenza storica, religiosa e culturale di San Paolo nell’elaborazione della teologia cristiana è da ritenere enorme. Per molteplici ragioni. Mentre infatti i Vangeli si “limitano” a descrivere semplicemente le parole e le opere di Cristo, gli scritti paolini aiutano invece ad individuare, ed a definire, i fondamenti dottrinali del valore salvifico della sua incarnazione, della sua passione, della sua morte e della sua risurrezione. Fondamenti che saranno poi in più occasioni ripresi ed elaborati dai più eminenti pensatori cristiani successivi.
La sua figura, infatti, ha spesso attirato l’attenzione di filosofi e scrittori. Basti pensare, del resto, al fatto che Friedrich Nietzsche lo definì come un “disangelista”, e cioè come un annunciatore di “cattive novelle” («…il giorno del Signore verrà come un ladro nella notte»), e ciò a differenza degli altri, ben più “canonici”, evangelisti; Antonio Gramsci lo soprannominò invece “il Lenin del cristianesimo”, evidenziando la sua “religiosità politica”, mentre il romanziere francese Viktor Hugo ritenne di poterlo qualificare come «santo per la Chiesa, e grande per l’umanità». Paolo ha inoltre ispirato numerosi artisti figurativi. Tra i tanti altri è opportuno segnalare soprattutto Michelangelo Buonarroti e Caravaggio, maestri assoluti dell’arte figurativa di ogni tempo, i quali hanno dedicato, alla scena della folgorazione sulla via di Damasco alcune delle loro più celebri e celebrate opere.
Edizione digitale
I più recenti
Ultime dalla sezione