Spazio satira
Le curiosità
16.05.2025 - 14:00
Papa Leone XIV subito dopo l’elezione FOTO ANTONIO FRAIOLI
La recente elezione al Soglio Pontificio di Leone XIV ha riproposto, all’attenzione del mondo intero, uno dei cerimoniali più segreti, misteriosi, discussi ed affascinanti della storia: il Conclave (dall’espressione latina “cum clave”, e cioè “chiuso a chiave”). Esso venne di fatto regolamentato – più o meno nelle forme ancora oggi vigenti – dalla costituzione apostolica “Ubi periculum maius”, che venne promulgata, il 16 luglio del 1274, durante il Secondo Concilio di Lione, da Papa Gregorio X. Quel documento, in primo luogo, introdusse la prassi di attendere almeno dieci giorni dalla morte del papa, e ciò al fine di consentire ai cardinali più lontani di raggiungere il luogo del suo decesso. Qui «avrebbero abitato tutti insieme, costretti nella stessa stanza, senza essere separati da una partizione o da una tenda… la stanza sarà chiusa da tutte le parti, in modo che nessuno possa entrarvi o uscirne… nessuno potrà avere accesso ai cardinali, né parlare con loro di nascosto; essi stessi non accetteranno che nessuno vada da loro…».
Al fine di accelerare l’elezione del nuovo pontefice, e tenuto conto che proprio Gregorio X era stato eletto dopo il Conclave più lungo della storia (che era durato, infatti, dal dicembre del 1268 al 1° settembre del 1271…), quel documento papale dispose anche che, dopo tre giorni dall’inizio, in mancanza di elezione, ai cardinali elettori sarebbe stato servito solo un piatto di cibo a mezzogiorno, ed uno a sera; e che, dopo cinque giorni, essi avrebbero invece ricevuto solamente “pane, vino ed acqua, sino all’elezione”.
Il Conclave che ha appena portato alla scelta di Leone XIV è stato invece uno dei più brevi di sempre, ma, in realtà, l’elezione del cardinale statunitense Robert Francis Prevost – il primo nordamericano a diventare il Capo della chiesa Cattolica – è certamente maturata nei giorni immediatamente precedenti, ed è il frutto di sottili alleanze, complesse valutazioni politiche, lunghe riflessioni dottrinali, e mistiche percezioni. Tuttavia, esse, potrebbero essere state condizionate da un diretto intervento divino, se si pensa infatti che, qualche giorno prima dell’inizio del Conclave, il cardinale franco-algerino Jean Paul Vesco, intervistato dai giornalisti, dichiarò testualmente che «lo Spirito Santo ha già deciso»; affermazione che induce a riflettere sul senso, e sul reale peso, dell’umano “libero arbitrio”…
Al di là di tali imperscrutabili misteri teologici sui quali preferiamo non addentrarci, e sebbene i dettagli sul cerimoniale dell’elezione papale siano sempre stati piuttosto scarni, e spesso poco attendibili, quel che è certo è che – quanto meno in linea di principio – i cardinali rinchiusi nella meravigliosa Cappella Sistina non votano per uno specifico candidato sulla base del “programma” che egli ha presentato; semmai scelgono quel soggetto che per la sua personalità, per le qualità umane, e per la sua visione “politica”, sembra loro il più adatto a guidare la Chiesa cattolica in un determinato momento storico. Tale enorme responsabilità, oltre ad essere pesante di per sé – perché, se ci si pensa, ad un pugno di uomini è di fatto affidata la scelta della guida dell’ultima (e più antica) monarchia elettiva del mondo – rappresenta l’esempio più lampante di quanto difficile sia riuscire ad individuare la persona giusta, al momento giusto. Soprattutto in tempi di spiccata globalizzazione, quali sono quelli che stiamo vivendo. Proprio tale aspetto ha indotto non molto tempo fa l’ultranovantenne cardinale tedesco Walter Brandmüller (esperto di storia della Chiesa, ed ex presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche), a suggerire che, tenendo conto che i numerosi elettori «sono sparsi a livello geografico, spesso non si conoscono tra di loro, ed ancor meno conoscono le reali esigenze del ministero di Pietro… sarebbe opportuno riservare il diritto di voto a un collegio cardinalizio molto ristretto, e realmente romano, pur allargando allo stesso tempo la cerchia degli eleggibili alla Chiesa Universale».
Secondo il saggista e storico francese Yves Chiron, autore di un’interessante monografia sull’argomento, tale proposta – che va in aperta controtendenza rispetto a quanto invece fatto da tutti quanti gli ultimi pontefici, i quali hanno invece contribuito ad allargare notevolmente il numero dei cardinali elettori – tende di fatto a prediligere figure che ben conoscono i meccanismi e le dinamiche vaticane capitoline. Così facendo, quindi, «…sarebbero pertanto elettori soltanto i cardinali in servizio a Roma, ed eleggibili unicamente coloro che abbiano completato almeno un mandato di cinque anni “in un incarico di alto livello nella curia”. Ciò riaffermerebbe “il carattere del ministero papale”, e il ruolo di Roma come centro della cristianità».
Comunque la si pensi a tal proposito, è certo che la scelta del nuovo pontefice, operata nel segreto del Conclave, a ben vedere altro non è se non una forma mascherata di cooptazione; indipendentemente dalle motivazioni di carattere più squisitamente “politico”, costituisce pertanto una sintesi (che la storia tuttavia insegna non sempre fu illuminata…) tra un “atto sacro” ed un pragmatico voto, tra una devota “azione liturgica” ed una fredda formalità giuridica. In ogni caso è incontestabile che la storia del papato è passata, e tuttora passa, per un cerimoniale unico nel suo genere. Che intreccia, inevitabilmente, profondi ideali spirituali, personali ambizioni, mistica sacralità, ed algida “realpolitik”.
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