Il filosofo illuminato
08.11.2024 - 21:00
“Sant’Agostino nello studio” è un dipinto murale staccato (200x120 cm) di Sandro Botticelli, databile al 1480 circa e conservato nella chiesa di Ognissanti di Firenze
Tra i personaggi storici del passato che hanno maggiormente contribuito allo sviluppo del pensiero occidentale, va senza alcun dubbio annoverato il filosofo di origini berbere Aurelio Agostino d’Ippona (meglio conosciuto come Sant’Agostino). Nacque a Tagaste, cittadina dell’attuale Algeria, il 13 novembre del 354 D.C., e quindi 1670 anni fa. Sin da ragazzo si mise in evidenza per la sua notevole intelligenza ed una capacità dialettica non comune, tanto è vero che il padre (un piccolo possidente terriero dal carattere collerico e dai costumi piuttosto libertini), decise di mandarlo, appena adolescente, a studiare a Cartagine, con l’intenzione di avviarlo poi alla carriera forense.
Qui, in un primo momento, Agostino si abbandonò alla vita licenziosa e dissoluta che gli offriva la città (ebbe infatti, tra l’altro, una lunga relazione con una donna, della quale non si conosce il nome, che gli diede anche un figlio). Tuttavia, nel 373, dopo che aveva avuto la possibilità di leggere l’Hortensius di Cicerone, e con l’obiettivo di cercare il senso della vita, iniziò ad avvicinarsi con passione allo studio della filosofia, ed in particolare del Manicheismo, religione di origini orientali che teorizzava una cosmologia basata sul dualismo tra il bene ed il male.
Colpito dal fascino dell’esercizio speculativo filosofico, il perspicace ragazzo poco alla volta iniziò a modificare i suoi comportamenti e – soprattutto grazie alla forte influenza della madre, che era una convinta cattolica, e che, come lui, fu poi proclamata santa – si fece conquistare dalla figura di Gesù Cristo e dai suoi insegnamenti. Il nuovo stile di vita che si impose, unito ad un’arguta intelligenza e ad una spiccata sensibilità, lo aiutarono ad acquisire una rigorosa spiritualità. Tuttavia, a dire il vero, una volta – dopo aver preso coscienza di non riuscire a rinunziare facilmente alle tentazioni dei “piaceri della carne” – chiese al Padre Eterno, con indubbio pragmatismo, «Signore, rendimi casto, ma non subito…».
La visione religiosa di Agostino, che si basa su una mirabile sintesi tra i due opposti principi della ragione e della fede («Credo per capire, capisco per credere»), rappresentò una vera e propria rivoluzione rispetto alle tradizionali concezioni teologiche cristiane, e contribuì in maniera determinante allo sviluppo dell’esegesi delle Sacre Scritture. La sua notevole profondità analitica gli consentì di porsi come un vero e proprio punto di riferimento per le autorità ecclesiastiche dell’epoca, ed i fedeli, circostanza che lo aiutò ad essere unanimemente considerato come l’uomo che fondò la “filosofia cristiana”, ed a diventare uno dei più importanti ed influenti “Padri della Chiesa”.
Il principio basilare del pensiero agostiniano è che la fede cristiana non consiste in una passiva sottomissione ai dogmi, ma va invece nutrita attraverso una proficua ricerca interiore, la quale aiuta poi il fedele a prendere coscienza dei propri dubbi esistenziali, ed a ricercare la verità rivelata. La ragione, quindi, costituisce lo strumento indispensabile per la coltivazione della fede. Particolarmente originale fu poi l’interpretazione che Agostino offrì del concetto di “male”, elemento che egli vede, ed interpreta, come un’imperfetta, umana manifestazione, della perfezione di Dio. Tale concezione – che in qualche modo richiama le teorizzazioni filosofiche greche – lo aiutò a spiegare le differenze che esistono tra Dio e la sua Chiesa, tra la “Città celeste” e quella “terrena”. Egli evidenzia infatti che la “città di Dio” non coincide con quella della Chiesa, e ciò perché all’interno di quest’ultima – purtroppo – convivono sempre buoni e cattivi. Tuttavia si pone comunque in una naturale posizione di supremazia morale, in quanto è depositaria del futuro destino dell’umanità, del quale possiede le chiavi, in conformità della volontà di Dio. Tra i temi più importanti della teorizzazione agostiniana c’è poi quello della dicotomia tra il bene ed il male.
Secondo Agostino, così come il buio niente altro è se non una “assenza di luce”, anche il male in realtà non esiste in quanto esso è soltanto il frutto del desiderio dell’uomo di allontanarsi da Dio, e quindi è l’effetto dello scellerato utilizzo del libero arbitrio; in altre parole, il male è l’assenza del bene divino. Spetta all’uomo, che ha in sé il germe della “Verità”, fare in modo che essa emerga. Così consentendo di avvicinarsi al Creatore. Tale visione filosofica individua quindi nell’uomo (o, meglio, nella sua volontà) la radice del male. L’opera letteraria principale di Sant’Agostino è intitolata “Le confessioni”, ed è una sorta di autobiografia intima di alto spessore morale, religioso e filosofico, che descrive e sintetizza il suo profondo travaglio interiore e la sua lunga maturazione religiosa. Tuttavia, gli scritti a lui attribuiti, sono più di trecento. L’influenza che essi hanno avuto sull’evoluzione del pensiero filosofico successivo è stata enorme, soprattutto grazie alla loro notevole “originalità”. La sua visione cosmico-antropologica, infatti, costituisce una sorta di cerniera tra le teorizzazioni platoniche e quelle cristiane, ed ha di fatto inciso in maniera profonda sulla teologia medievale, ha contribuito alla nascita ed allo sviluppo del luteranesimo e del calvinismo, ed ha lasciato visibili tracce anche sullo spiritualismo contemporaneo. Il “Doctor Gratiae” morì il 28 agosto 430.
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