Spazio satira
Il personaggio
18.10.2024 - 21:00
Il 14 ottobre del 1964, e quindi sessant’anni fa, il parlamento norvegese rese pubblica la sua decisione di assegnare il Premio Nobel per la Pace a Martin Luther King Jr., l’attivista statunitense passato alla storia come il principale paladino dei diritti civili degli afroamericani del secolo scorso. Nacque ad Atlanta nel 1929, e venne registrato all’anagrafe come Michael King Jr, ma suo padre, che era un pastore della Chiesa Battista locale, dopo essere rimasto affascinato dalla figura del famoso riformatore religioso tedesco Martin Lutero, decise di modificargli il nome che aveva scelto al momento della nascita. Sin da piccolo Martin si ritrovò a provare direttamente sulla sua pelle gli spregevoli effetti di un razzismo che – a quell’epoca – era diffusissimo, soprattutto nel Sud degli Stati Uniti. Fu infatti già all’età di sei anni che si sentì chiamare per la prima volta “negro”, e che gli venne impedito di giocare liberamente con i suoi coetanei vicini di casa, che avevano la pelle bianca.
Crescendo, prese piena coscienza dell’ingiusta discriminazione che le persone “di colore” subivano ogni giorno. Nonostante il clima di odio razziale che lo circondava ovunque, non coltivò tuttavia alcun rancore, ed anzi assecondò con convinzione la sua profonda vocazione religiosa, con l’obiettivo di continuare la tradizione di famiglia, diventando anche lui pastore, come lo era stato anche il nonno. Tale sua intima inclinazione spirituale trovò modo di sublimarsi attraverso l’abilità oratoria che possedeva, e che lo aiutava a catturare facilmente l’attenzione delle persone alle quali si rivolgeva. Nel 1947 venne consacrato e nominato assistente pastore nella chiesa del padre. L’anno dopo, invece, partì per la Pennsylvania, dove iniziò a studiare teologia. Fu in quel periodo che si avvicinò alla conoscenza della filosofia non violenta del Mahatma Ghandi. Da essa assorbì la speranza di riuscire a vivere in un mondo diverso, fatto di cittadini uguali, a prescindere dalla razza e dal colore della pelle, e grazie ad essa si convinse del fatto che la forza dell’amore potesse aiutare a combattere le ingiustizie sociali. Nel 1951 si diplomò come miglior studente dell’anno della sua scuola.
Nel 1953 sposò una ragazza di umili origini, Coretta Scott Young, e si trasferì a Montgomery, in Alabama, uno degli stati del Sud dove l’intolleranza razziale era particolarmente radicata. In quella zona del Paese i bianchi occupavano tutti i principali posti di comando e gli afroamericani erano privi dei diritti più elementari. Ovunque erano visibili cartelli che specificavano i luoghi dove i “neri” non potevano accedere. Tuttavia, il 1° dicembre del 1955, una giovane sarta di colore di Montgomery, di nome Rosa Parks, che stava tornando a casa in pullman dopo una faticosa giornata di lavoro, si rifiutò di cedere il suo posto a sedere ad un uomo bianco che era salito dopo di lei. Venne portata via dalla polizia ed arrestata, con l’accusa di condotta impropria. L’evento ebbe immediatamente una grossa eco, inducendo l’Associazione Nazionale per il Progresso della Gente di Colore – di cui Martin faceva parte – ad organizzare una protesta nei confronti della compagnia di autobus. King decise di assumere il ruolo di guida della contestazione e, proprio da quell’evento (che è considerato come uno dei più importanti della storia civile degli Stati Uniti del Novecento), prenderà inizio la sua carriera di leader.
Il suo era un ruolo fortemente carismatico, che lo indusse a compiere gesti eclatanti e clamorose manifestazioni di disubbidienza civile, che lo condurranno diverse volte in prigione, lo esporranno ad attentati, minacce e soprusi, e lo renderanno inviso ad una parte dell’opinione pubblica. Tuttavia gli regaleranno anche un’incredibile notorietà a livello mondiale. Ed infatti, nel 1957 la famosa rivista “Time” lo scelse come “Uomo dell’anno”, e, nel 1964 – come già detto – venne insignito del Premio Nobel per la Pace. L’idealistica visione politica e sociale di Martin Luther King era basata sulla convinzione di poter riuscire a raggiungere i suoi ambiziosi obiettivi attraverso una “rivoluzione” non violenta. Sosteneva infatti fermamente che «bisogna amare, e non odiare, che bisogna lottare senza colpire, e resistere senza reagire».
Ed in effetti, perseguendo ostinatamente questa ideologia non violenta – che privilegiava il dialogo, e che propugnava una convivenza non conflittuale tra bianchi e neri – King contribuì fattivamente alla progressiva abolizione di diverse norme discriminatorie, sia a livello locale sia nazionale. A mettere in seria discussione le sue pur radicate convinzioni pacifiste, fu l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy (che lo aveva più volte pubblicamente aiutato a portare avanti le sue battaglie democratiche). Ma anche quello di Malcom X (un altro strenuo propugnatore delle rivendicazioni della comunità afroamericana dell’epoca). Per entrambi i leader neri la religione costituiva il principale fondamento della loro lotta politica.
Ma mentre per King la prima era un fecondo elemento di apertura e di dialogo verso gli altri, per Malcom X (che era musulmano) essa era invece un fattore identitario e comunitario che alimentava inevitabilmente una conflittualità insanabile tra bianchi e neri. Anche King qualche anno dopo perse la vita – in circostanze mai del tutto chiarite – a seguito di un attentato. Il 4 aprile del 1968, infatti, mentre stava camminando sul ballatoio dell’Hotel Lorraine di Memphis, venne colpito alla testa dal proiettile di un fucile di precisione. La figura di Martin Luther King, negli ultimi anni, è stata oggetto di una scottante indagine giornalistica del “Times” che ha rivelato un aspetto piuttosto ambiguo della sua personalità, apparentemente immacolata. L’attivista – secondo fonti dell’FBI recentemente desecretate – non solo era ossessionato dal sesso (partecipava ad orge ed intratteneva numerosissime relazioni extraconiugali, tanto è vero che confessò candidamente: «Sono lontano da casa 26 o 27 giorni al mese, l’attività sessuale mi aiuta a ridurre l’ansia»), ma una volta fu addirittura testimone passivo dello stupro che un pastore – suo amico – stava perpetrando ai danni di una parrocchiana. Tale circostanza – se fosse vera, come pare – getterebbe ovviamente un’ombra sinistra sulla figura di uno dei personaggi più importanti e moralmente influenti del XX Secolo.
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