Spazio satira
Il saggio
26.04.2024 - 20:00
Il 22 aprile del 1724, e quindi esattamente trecento anni fa, nacque a Könisberg (città prussiana corrispondente all’odierna Kaliningrad) uno dei pensatori più importanti ed influenti di ogni tempo: Immanuel Kant. I suoi celebri trattati (tra i quali è bene ricordare soprattutto “La critica della ragion pura” del 1781, “La critica della ragion pratica” del 1788 e “La critica del giudizio” del 1790) costituiscono infatti un punto di riferimento fondamentale dell’intera storia della filosofia e rappresentano un mirabile esempio della ampiezza e della potenza del pensiero umano. Sulla figura e sulle opere del grande filosofo tedesco è stato da pochi giorni pubblicato, da Carocci, un interessante (ma assai impegnativo) saggio di Heiner F. Klemme, intitolato “Kant, l’attualità di un pensiero” (104 pagine).
Attraverso di esso è possibile addentrarsi nei meandri del complesso universo teorico kantiano e scoprire l’incredibile attualità del suo mondo ideale. L’autore del saggio spiega che lo scopo della sua monografia è quello di offrire al lettore che intenda avvicinarsi allo studio (o quanto meno alla comprensione) delle concezioni del geniale pensatore teutonico, «una prima ricognizione delle idee di Kant... e stimolare il dibattito filosofico intorno ad esse».
Tale apprendimento costituirà un utile strumento per la cognizione del mondo circostante, e ciò in quanto «nessuna diagnosi della modernità che voglia esser presa sul serio può fare a meno di Kant». Fulcro della sua complessa visione ideale è “la ragione”, la quale, attraverso l’indispensabile aiuto dell’imperativo categorico (e cioè, in sintesi, della cosiddetta “legge morale che è dentro di noi”), è l’imprescindibile punto di riferimento di qualsiasi esistenza, anche se deve essere sempre adeguatamente «formata, educata, coltivata e curata», al fine di poter aiutare l’uomo a diventare realmente «libero e autonomo, autodeterminavo e maturo, illuminato e ragionevole».
E ciò perché l’essere umano «può adattarsi nel mondo, ma, per farlo nel modo giusto, deve prima imparare a fare uso della propria ragione». Evidenzia Klemme che questa impostazione metodologica (che di fatto costituisce il fondamento della “filosofia illuminista” della quale Kant fu certamente il principale esponente), aiuta «a distinguere il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto, la virtù dal vizio e la libertà dalla schiavitù, il buon governo dal malgoverno, la felicità reale da quella illusoria. La ragione è la facoltà di comprendere l’universale e il necessario.
È lei a stabilire cos’è opportuno e cosa probabile. La ragione sovrintende al confronto fra prospettive differenti, e favorisce, dove possibile, la reciproca comprensione. Promuove atteggiamenti maturi e imparziali. Ricerca la conoscenza delle ragioni e delle cause, esige approfondimento, domanda spiegazioni e non si accontenta di discorsi privi di concetti e argomenti». Kant sosteneva che la “ragione illuminista” altro non è se non «il legame che ci unisce con gli altri esseri umani e con la natura. Forse perfino con Dio.
Essa si estrinseca nelle forme espressive della nostra soggettività, ma anche nelle istituzioni. È ciò che ci conferisce la nostra dignità... senza la ragione non avremmo alcuna chance di riunire la libertà, il diritto e l’autorità in un’unica società globale. Senza la ragione, ognuno di noi, se ne starebbe chiuso nella propria caverna, disinteressato al mondo, occupandosi soltanto delle sue preferenze e idiosincrasie, come un bambino con le sue biglie».
Kant riteneva che utilizzando in maniera giusta ed adeguata la ragione (dando corpo ad un’esistenza “filosofica”), l’uomo sia in grado di porre in essere azioni le quali hanno uno specifico fine che, poste al servizio della “legge morale”, aiutano ad adempiere ai nostri “doveri di virtù”. Ed infatti egli invitava ad «agire come si vorrebbe che agissero tutti».
Osserva Klemme: «La filosofia è concepita da Kant come un certo tipo di attività mentale. Parla infatti di “filosofare”. Così anche il teologo può diventare un filosofo, se riflette sull’esistenza di Dio. Può diventare filosofo il giurista, se si domanda che cosa sia il diritto e in che rapporto sia con l’etica. Può diventarlo anche il medico, quando si interroga sul nesso tra il corpo e il pensiero, oppure quando cerca di determinare la sede fisica dell’anima. Il filosofo, da parte sua, s’interessa alla “totalità dello scopo finale della ragione”, e ricerca, mosso da questo interesse, “l’ampliamento delle conoscenze”... secondo Kant la filosofia può essere essa stessa medicina, può dare un contributo diretto alla nostra salute... esercitando i suoi effetti benefici sulla salute per via negativa, prevenendo le malattie».
Tuttavia lo stesso filosofo tedesco riteneva anche che ci sono momenti in cui è meglio non pensare, o non pensare troppo, tanto è vero che consigliava di tralasciare la filosofia quando si cammina o si è a tavola per mangiare. Del resto, osservava,
«la noia è una sorta di anelito verso un piacere ideale». Anche perché, «la vista del cielo stellato in una notte serena,
dona una specie di godimento che solo le anime nobili provano. Nell’universale silenzio della natura, e nella pace
dei sensi, il segreto potere conoscitivo dello spirito immortale parla una lingua ineffabile, e trasmette concetti inarticolati che si sentono e che non si possono descrivere».
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