Arte e colore
09.12.2025 - 14:00
Alatrense, scrittrice, docente liceale di italiano e latino, attualmente in posizione di comando presso il Ministero dell’Istruzione e del merito, Angela Flori ha di recente pubblicato un nuovo romanzo, “Tante volte ancora” (Castelvecchi edizioni, 2025).
Quando e come nasce la sua ultima fatica?
«Dopo la pubblicazione del mio noir “Se puoi, vieni a baciarmi quando torni” (Panda edizioni 2022), l’editore mi aveva proposto di proseguire la storia dell’ispettore di polizia Igea Ferrari, protagonista del libro. Il mio spirito ribelle, non volendo scrivere ancora di delitti e investigazioni, ha così partorito Bice Mascagni».
…una donna diversa da Igea…
«Certo. Il ruolo porta Igea a contatto con il male, l’oscurità e il delitto. Bice, invece, agisce non perché spinta da un crimine o da un innesco violento, ma dal desiderio di raccontare la forza della cura e della gentilezza nella vita, mantenendo sempre un’eccezionale forza interiore».
Perché quel titolo?
«Generalizzando, perché nella vita le occasioni sono tante e anche quando pensiamo di non riuscire a trovare scappatoie là dove ci ha condotto, la nostra immaginazione e la fantasia del Caso ci sorprendono sempre».
E andando nel particolare?
«Il titolo è collegato alla trama. Bice Mascagni, maestra ottantenne in pensione, riceve un colpo alla testa da un ladro nella sua casa palermitana e ciò provoca il suo decadimento cognitivo. Trasferitasi dalla figlia, riscopre il legame con il nipote Luca che, ricambiando le attenzioni ricevute dalla nonna quando era bambino, si prende cura di lei. Come? Raccontandole ciò che proprio lei gli aveva insegnato, restituendole un passato che stava e sta scivolando nell’oblio senile».
Quali sono i temi più sollecitati nel romanzo?
«Sicuramente l’educazione all’affettività, l’invecchiamento e la perdita della memoria. Tuttavia, altri argomenti altrettanto rilevanti sono trattati a latere, come la famiglia, la scuola, l’identità femminile e la memoria collettiva».
Quanto contano la famiglia e la scuola nell’elaborazione di una cultura della cura?
«Sicuramente la famiglia e la scuola possono costituire una terapia trasversale, anche preventiva. Per quanto riguarda la crescente difficoltà nel trasmettere attenzione e cura verso gli altri, in particolare verso gli anziani, l’invecchiamento e la perdita della memoria non sono solo fenomeni biologici, ma eventi che interrogano la nostra responsabilità collettiva. Come società, siamo chiamati a non relegare la senilità all’isolamento, ma a riconoscerne la dignità e il valore, favorendo legami intergenerazionali che arricchiscono tutti».
Qual è l’ambientazione storica del romanzo?
«La vicenda si snoda lungo un arco temporale ampio, che va dal 1936, anno di nascita di Bice, fino ai primi decenni del ventunesimo secolo. La narrazione, seppur prevalentemente centrata sulla personalità della protagonista, è punteggiata da fatti storici, come il terremoto del Belice del 1968 e l’allunaggio del 1969, eventi che segnano il mutare della società siciliana e italiana».
E quella geografica?
«In Sicilia, in un paesino della provincia di Palermo, perché lì affondano le radici della mia famiglia. Grazie a mia nonna, che mi è stata accanto durante l’infanzia e l’adolescenza, ho respirato la forza dell’oralità siciliana, le sue cadenze, i racconti che sembrano scolpiti nella pietra e nel vento. Quelle voci, quelle inflessioni, suonano per me come casa: non sono soltanto suoni, ma emozioni che mi riportano a un tempo in cui la parola era legame, memoria, identità».
Qual è il valore più importante, a suo parere, che il libro potrebbe trasmettere?
«“Tante volte ancora” offre esempi concreti di dialogo tra generazioni, utile per progetti educativi che favoriscano il rispetto tra giovani e anziani».
La famosa intergenerazionalità… Nel libro c’è anche un altro interesse, per gli animali…
«Bice Mascagni vive in compagnia di un gatto e un cane, e la cura degli animali diventa metafora di una sensibilità più ampia: prendersi cura di chi è vulnerabile, sviluppare empatia, comprendere che la vita è relazione…».
C’è un concetto che la nostra società sta smarrendo e che, se potesse, lo imporrebbe con la forza di legge?
«Sì, l’ascolto».
“Saper ascoltare significa possedere, oltre al proprio, il cervello degli altri” (Leonardo da Vinci).
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