La giornata
01.09.2025 - 12:56
Già poco prima delle 19 di ieri tantissime persone hanno raggiunto l’abbazia di Casamari, a Veroli, dove il vescovo Ambrogio Spreafico ha salutato le diocesi di Frosinone-Veroli-Ferentino e Anagni-Alatri.
Tante strette di mano, abbracci e il ringraziamento a monsignore Spreafico per i suoi moniti, il suo cammino alla guida delle due diocesi. Numerose le autorità militari, religiose, civili. Circa venti sindaci dei paesi delle due diocesi, delegazioni di suore ed associazioni laicali, tra cui Unitalsi e Scout. Presenti i cavalieri dell’Ordine di Malta, le dame ei cavalieri dell’Ordine equestre del santo Sepolcro di Gerusalemme. Ad animare la liturgia il coro diocesano, diretto da Guido Iorio e Serenella Bracci. Il servizio di accoglienza è stato curato dai volontari della sezione di Frosinone dell’associazione nazionale Bersaglieri.
«È una gioia essere qui insieme e vi ringrazio per aver accettato l’invito a prendere parte a questa celebrazione di saluto - ha detto il vescovo Spreafico nell’omelia (la cui versione integrale è reperibile on line su www.diocesifrosinone.it) - Da 17 anni sono stato in mezzo a voi come vescovo della diocesi di Frosinone-Veroli-Ferentino, e solo da poco più di due anni anche della diocesi di Anagni-Alatri. Ho cercato con i miei limiti e la mia umanità di essere come vostro pastore segno di unità e comunione. Ogni vescovo porta in sé la sua storia di fede e di cultura. Non ci sarà mai né il vescovo perfetto né, tanto meno, il vescovo che piace a tutti o che uno desidera secondo il suo modello e le sue aspettative. Il mio successore,l’arcivescovo Santo Marcianò, verrà come padre e servo, con la sua storia e umanità. Siamo chiamati ad accoglierlo e a volergli bene.
Ho provato, in questi anni, a vivere la missione a cui il Signore mi ha chiamato in maniera larga, incontrando tanti. La Chiesa, infatti, non vive per se stessa, ma tra la gente, nel mondo e nella cultura del luogo dove si vive e si cresce. Ed insieme a voi sento di essere cresciuto anche io, di aver imparato a conoscere e a voler bene a questo luogo e ai suoi abitanti, con le ricchezze e le fragilità della nostra amata Ciociaria, a cui, purtroppo, non sempre tutti hanno voluto bene. Basti vedere lo scarso impegno nel riparare il disastro ambientale. La nostra terra, profanata dall’inquinamento, geme e soffre ancora, come ci ricorda l’Apostolo Paolo nella lettera ai Romani! Chi raccoglierà questo grido? Vorrei chiedervi di ascoltarlo di più e di sentirci custodi del creato, finché nessun bosco delle nostre colline sia dato più alle fiamme, nessun fiume sia avvelenato e neanche una goccia d’acqua vada più persa. Vorrei chiedervi di ascoltare la sete di futuro dei nostri giovani, che sono costretti e invogliati ad andarsene altrove».
Sua eccellenza ha chiesto «di non essere indifferenti alla criminalità organizzata, i cui tentacoli inducono al silenzio e alla complicità. Alla prepotenza, ci si può sempre opporre con la forza mite e attiva del bene, come ci suggerisce oggi il libro del Siracide. Ma io lascio questa terra con fiducia. In tanti di voi ho incontrato semi di bene, di speranza, di futuro. Ringrazio chi di voi ha compiti di responsabilità, a cominciare dal prefetto dott. Ernesto Liguori, fino agli esponenti delle forze dell’ordine e a quanti rappresentano le amministrazioni locali e provinciali, assieme alle realtà culturali, associative e imprenditoriali del territorio. Ho cercato di favorire un clima di dialogo sincero, nel rispetto e nella varietà delle nostre mansioni, trovando tanti alleati per il bene e la crescita spirituale, culturale e sociale di questa terra.
Cari sacerdoti e diaconi, cari religiosi e religiose, cari fratelli e sorelle delle nostre comunità. Grazie per la vostra amicizia e il vostro impegno. Come sapete, sono un biblista di formazione. Ho cercato di comunicare quella forza di amore e di senso che viene dalla Parola di Dio, senza cui non esiste né chiesa, né pastorale, e neppure quell’umiltà indispensabile per il dialogo e una convivenza pacifica.
Ringrazio i consigli presbiterale e pastorale per il lavoro comune che abbiamo fatto coadiuvati dai vicari generali, don Nino e don Alberto, dagli uffici diocesani e interdiocesani, come l’Istituto interdiocesano per il sostentamento del clero. Solo insieme si costruisce la Chiesa. Mai da soli, mai padroni, mai battitori liberi confrontandosi solo coi propri simili. La ricchezza del dialogo nei gruppi, che si è rafforzato dopo l’assemblea ecclesiale di Firenze del 2015, ha reso possibile un vero cammino sinodale, con il coinvolgimento di molti facilitatori e moderatori, che ci hanno consentito di riflettere ogni mese a livello vicariale, parrocchiale e associativo, ma anche con molti altri. Anche ad Anagni abbiamo ripreso lo stesso cammino con grande coinvolgimento e partecipazione, continuando nello spirito ereditato dal vescovo Lorenzo. Grazie per aver condiviso questo prezioso impegno, che ci ha fatto camminare come popolo, condividendo gioie e fatiche della gente della nostra terra. Una vera ricchezza, rifluita quasi naturalmente come uno stile di vita nella celebrazione del Sinodo della Chiesa del nostro Paese».
Monsignore Spreafico ha ricordato anche la sua esperienza con la comunità di Sant’Egidio.
«Celebrazione della Domenica, Parola di Dio, e infine cura dei poveri e dei fragili. La mia esperienza nella periferia di Roma con la comunità di Sant’Egidio fin dagli anni ‘70 mi ha fatto toccare con mano il bisogno materiale e spirituale di tante persone. Con voi, anche accogliendo con gioia l’eredità del vescovo Salvatore, mio predecessore, ho trovato terreno fertile per l’impegno non solo delle Caritas, ma anche di tante persone e realtà che si sono assunte la responsabilità di venire incontro a situazioni di povertà, abbandono, solitudine. Penso alla dedizione per i senza fissa dimora, per gli immigrati, per le famiglie in difficoltà, per gli anziani, al prezioso coinvolgimento nei centri di ascolto e di molti giovani nelle raccolte alimentari. Mi immagino una Chiesa sempre casa rifugio per tutti, dove ciascuno possa trovare accoglienza, ascolto, cura, amicizia, come lo sono ad esempio il dormitorio o la mensa. Penso alle nostre comunità come a quel banchetto a cui devi aprire le porte a tutti, non solo a una minoranza di addetti ai lavori, a cominciare da chi non ti renderà il contraccambio, come poveri, storpi, zoppi, ciechi, insomma, quelli che non vorresti».