Cassino
21.09.2025 - 16:00
La linea di montaggio del Plant cassinate
Una crisi sistemica, come ripete da tempo. La crisi dei consumi e il saldo negativo tra chiusure e aperture non può che richiamare l’analogia con la situazione di Stellantis. A parlare è Andrea Di Traglia, segretario Frosinone Latina Fiom Cgil: «Anche qui, all’indomani dell’ennesimo stop produttivo, ci troviamo con più giornate di fermo che di attività: 74 giornate di stop contro 70 di lavoro, su un totale di 144 giorni lavorativi».
Per il sindacalista le ragioni per cui Stellantis non vende sono sotto gli occhi di tutti: «manca un piano industriale, si perdono quote di mercato e si immatricolano sempre meno auto. In sostanza, si producono vetture che non si riescono a vendere, con costi elevati e poca competitività.
Basti pensare ai competitor cinesi, che propongono auto compatte a prezzi accessibili. Le nostre vetture premium non reggono il confronto, e all’orizzonte non si intravede né una vera conversione all’elettrico, né un’ibridazione capace di affrontare le sfide del mercato. Il settore automotive ha bisogno come obiettivo minimo di un milione di veicoli. Quella è la soglia di sopravvivenza.
Siamo passati da circa 465.000 auto di due anni fa alle 309.000 circa dell’anno scorso, se continua così dopo il primo semestre, la proiezione di chiusura annuale non supererà di molto le 250.000 auto in Italia». La lettera unitaria di Fim Fiom e Uilm ad Antonio Filosa va in questa direzione. «Bisogna subito dare un piano industriale certo per gli stabilimenti italiani e una missione produttiva garantita per il plant di Cassino, che allo stato attuale è l’unico che non ha modelli a breve nemmeno sulla carta. Inoltre gli incentivi alla rottamazione per acquisto di auto elettriche anche stavolta non attecchiranno per nulla sul segmento premium e del lusso che produciamo.
La crisi è quindi strutturale.
Un lavoratore Stellantis, colpito duramente dalla cassa integrazione, ha un potere d’acquisto bassissimo.
In un territorio che vive quasi esclusivamente di automotive, questa condizione si ripercuote inevitabilmente sul commercio e sul tenore di vita delle famiglie.
A tutto ciò si aggiunge la proposta, da parte di Stellantis, di trasferire lavoratori in Serbia per 70 euro al giorno. Un segnale chiaro del progressivo svuotamento degli impianti e della desertificazione industriale del territorio.
È fondamentale quindi costruire risposte dal basso verso l’alto, per tutelare le lavoratrici, i lavoratori e l’intero tessuto economico e sociale».
Un comparto metalmeccanico segnato da profonde incertezze, sospeso precariamente sull’esile filo delle fragili performance commerciali di Stellantis, la cui debolezza si riverbera con forza sul tessuto produttivo e sociale.
Le ripercussioni, infatti, non risparmiano alcun ambito.
Un passaggio, quello di Di Traglia, anche sul tavolo regionale e sulla legge 46, con un timore all’orizzonte: «È necessario che gli stanziamenti previsti siano vincolanti. Oggi, nel quadro degli aiuti alle imprese o delle possibili riqualificazioni, manca l’obbligo di rimanere nel settore automotive per chi intende riconvertirsi. Questo apre a rischi evidenti: si corre il pericolo che le risorse vengano usate per finalità diverse, indebolendo ulteriormente il comparto metalmeccanico».
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