Spazio satira
Colpi di Testa
09.02.2020 - 19:00
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E' terminata la settantesima edizione del Festival di Sanremo. Tra gli elementi che contribuiscono al successo della kermesse musicale più importante del nostro Paese c'è sicuramente anche l'orchestra. Composta da musicisti di altissimo livello, e guidata, di volta in volta, da direttori più o meno famosi. La presenza di un corpo orchestrale così vario ed eterogeneo non è usuale nella musica leggera. Diversamente da quello che accade invece nella musica classica (in particolare modo quella sinfonica), ed in quella operistica.
Il direttore di un'orchestra non solo deve conoscere molto bene le sette note, ma deve saper anche interpretare adeguatamente i complessi spartiti che spesso gli vengono affidati, e gestire le individualità dei musicisti. Per comprendere l'estrema difficoltà che si nasconde dietro l'attività di direzione di una grande orchestra classica, suggerisco la lettura di un curioso libro, scritto a quattro mani dallo scrittore giapponese Mukarami Aruki e dal famoso direttore Ozawa Seij, intitolato "Assolutamente musica", ed edito da Einaudi (312 pagine).
Il volume raccoglie il contenuto di una serie di chiacchierate che i due autori hanno avuto, nel corso degli anni, e che avevano, quale principale argomento, la musica. Attività umana che, secondo Mukarami, «esiste per rendere felice la gente». La lettura del libro consente di addentrarsi all'interno di un universo poco conosciuto dal grande pubblico: quello che c'è dietro l'esecuzione di brani, movimenti, sinfonie ed opere dei principali autori classici (in particolare Beethoven, Mahler e Brahms); ma riporta anche curiosi aneddoti che riguardano la vita e l'attività concertistica e discografica di straordinari musicisti (ad esempio Glenn Gould, o Arthur Rubinstein), o di leggendari direttori d'orchestra come Leonard Bernstein ed Herbert Von Karajan.
Talvolta, a dire il vero, si rimane stupiti dai taglienti giudizi e dalle "rivelazioni"di Ozawa: «Il maestro Karajan era un genio assoluto. Durante le prove dava spiegazioni chiarissime.
Lenny (Bernstein, ndr) non ha mai saputo fare il direttore d'orchestra in questo modo.
O diciamo piuttosto che non gli interessava...non aveva la minima idea di cosa significhi "insegnare" a un'orchestra...diceva che eravamo suoi colleghi. Che dovevamo segnalargli le cose che non andavano, e che lui avrebbe fatto la stessa cosa con noi... non era in grado di formare veramente i musicisti. O diciamo piuttosto che per ottenere un risultato anche minimo, aveva bisogno di moltissimo tempo.
Nella sua fissazione egualitaria, non gli succedeva mai di fare una sfuriata, mentre gli altri direttori ne facevano di continuo... Karajan non ascoltava nessuno. Se il suono dell'orchestra non era quello che desiderava, la colpa era sempre e solo dei musicisti. Quindi li faceva provare e riprovare, finché non suonavano come voleva lui...ci diceva sempre che l'obiettivo del direttore d'orchestra è creare lunghe frasi. "Leggete dietro lo spartito! Non accontentatevi di seguire le battute una a una, considerate la musica in unità più lunghe"... il ruolo del direttore, secondo lui, era di leggere la musica in quel modo. Quando il compositore aveva scritto lo spartito, ci diceva, l'idea di un fraseggio più lungo l'aveva già in testa, quindi era così che dovevamo sforzarci di vederlo».
Mukarami, a sua volta, spiega, nel libro, il rapporto che ha con la musica, e quanto, essa, lo abbia aiutato nella sua attività di scrittore: «Ascolto musica da quando ero adolescente, ma negli ultimi anni mi sembra di capirla meglio, direi. Riesco a percepire anche differenze piccolissime. Chissà se il fatto di scrivere ha reso più sensibile il mio orecchio. O forse è il contrario, forse se non si ha orecchio musicale, non si può diventare un bravo scrittore. Ne consegue che uno scrittore, più ascolta musica, più diventa bravo, e più diventa bravo, meglio capisce la musica. Un'influenza reciproca, insomma...
Nessuno mi ha insegnato a scrivere, non ho mai imparato tecniche di scrittura, e per dirla tutta non ho mai studiato molto. Allora come ho fatto a imparare a scrivere? Ascoltando la musica. Cosa conta di più nella scrittura? Il ritmo. Se in un testo non c'è ritmo, nessuno lo leggerà. Perché mancherà quel senso del movimento che è come una pressione dall'interno, e porta il lettore avanti, pagina dopo pagina...prenda ad esempio i manuali d'istruzione degli elettrodomestici: se sono tanto ostici, è perché sono completamente privi di ritmo...Secondo me chi non possiede ritmo non ha alcun talento letterario. Ma è solo una mia teoria, naturalmente.
Il ritmo si crea dal modo in cui si mettono insieme le parole, le frasi, i periodi. Dall'alternanza tra dolcezza e durezza, leggerezza e intensità, equilibrio e squilibrio. Dall'uso della punteggiatura, dal tono. Si potrebbe anche parlare di "poliritmia". Come nella musica. Se non si ha un buon orecchio, non lo si sa fare. Se chi ci riesce ci riesce, chi non ci arriva, non ci arriva. Però è qualcosa che con lo sforzo, con lo studio, può migliorare, naturalmente. Adoro il jazz, ed è dal jazz che ho acquisito un buon senso del ritmo.
Scrivo come si compone la musica: scelgo gli accordi e poi comincio a improvvisare...diciamo che il ritmo è un elemento importante sia per chi legge, sia per chi scrive. Quando si scrive, se in una frase non c'è ritmo, la frase seguente non viene. E la storia non avanza. Il ritmo della frase è il ritmo della storia. Quando c'è, il testo avanza da solo. Scrivendo, automaticamente pronuncio le frasi nella mia testa e il ritmo si crea in modo spontaneo. Un po' come nel jazz, si improvvisa su un motivo, e lo si lega naturalmente a un altro motivo». Condivido pienamente.
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