Spazio satira
Colpi di Testa
27.12.2019 - 21:00
Andare in centro a Roma, soprattutto nel periodo delle festività di fine anno, è ovviamente assai piacevole. Vi posso assicurare che lo sarà ancor di più se riuscirete a vedere la mostra allestita alle Scuderie del Quirinale, ed intitolata "Pompei e Santorini – L'eternità in un giorno". Sarà così possibile scoprire, attraverso il materiale esposto nelle magnifiche sale del museo, il comune, drammatico destino che lega le due famose località mediterranee; entrambe distrutte, moltissimi secoli fa, da catastrofiche eruzioni vulcaniche. Il "viaggio nel tempo" che è possibile compiere è meraviglioso. Si possono infatti ammirare da vicino decine di opere e di oggetti, (affreschi, statue, calchi in gesso, monili, vasellame, sostanze alimentari, gioielli, alcuni dei quali mai esposti prima d'ora) che testimoniano la bellezza e la ricchezza di due grandi civiltà del lontano passato.
Un'esperienza che suggerisco a tutti di fare, prima che la mostra chiuda i battenti (cosa che avverrà il prossimo 6 gennaio).
L'isola di Santorini –anticamente chiamata Akrotiri o Thira – era una fiorente città portuale dell'Età del Bronzo che venne rasa al suolo, presumibilmente nel 1628 a.C., dall'eruzione del vulcano sottomarino che la lambiva. Secondo alcuni studiosi, sarebbe addirittura identificabile con la misteriosa "Atlantide", protagonista del celebre mito platonico, e che la leggenda vuole infatti inghiottita dal mare a seguito di un immane cataclisma. Le rovine del suo agglomerato urbano sono state riportate alla luce nel 1967 grazie agli scavi voluti dall'archeologo Spyridon Marinatos. Erodoto la chiamava "Kallistè", la bellissima (e chi ha avuto la fortuna di visitarla non può non essere d'accordo con tale definizione).
È nota anche come la "Pompei dell'Egeo", perché le ceneri vulcaniche che seppellirono la città dopo l'eruzione preservarono miracolosamente, come avvenuto per la celebre città campana, edifici, affreschi, mobili, suppellettili e ceramiche appartenenti al popolo che abitava quel luogo incantato nel cuore del Mediterraneo. Il geologo Mario Tozzi, che ha curato per i visitatori della mostra un interessante opuscolo che spiega da un punto di vista prettamente scientifico le caratteristiche e le differenze tra i due cataclismi, quella civiltà minoica la descrive molto bene: «Quando ti aggiri per l'antica Thira, un colpo d'occhio generale ti dice che si trattava di una civiltà evoluta. Le case sono molto simili tra loro, ma si coglie il segno di una sua originalità rispetto alla vicina e dominante Creta: là palazzi grandiosi, immensi, segno di una monarchia centrale molto forte, qui un benessere diffuso, testimoniato proprio dalla somiglianza delle case, come se ci fosse una più equa distribuzione della ricchezza».
La sorte di Pompei, come è noto, non fu poi molto diversa. Nella brochure che ogni visitatore dell'esposizione può prendere all'ingresso, si legge: «La vita della città vesuviana è rimasta sospesa tra le rovine, nelle sale delle domus e delle terme, nelle suppellettili e nei reperti organici, nei calchi dei corpi sorpresi dall'eruzione. Un luogo in cui presente e passato si uniscono in un'evocazione di una vita drammaticamente interrotta dalla tragedia del 79 dopo Cristo; un luogo che ha restituito le fotografie di una vita grazie alla moderna archeologia, che è nata e prospera nel sito vesuviano, dove il mondo antico ha cominciato a raccontarsi, come un immenso edificio del ricordo». Nonostante le similitudini tra i crudeli destini delle due località siano evidenti, esistono tuttavia delle sostanziali differenze tra le due catastrofiche eruzioni. Il cataclisma che sconvolse l'isola di Akrotiri, infatti, fu molto probabilmente anticipato da uno sciame sismico importante, che scosse l'abitato, e suggerì alla maggior parte della popolazione di allontanarsi il prima possibile.
Mario Tozzi evidenzia che «forse proprio grazie ai terremoti gli abitanti riuscirono a scappare in tempo e a mettersi in salvo.
In più punti si riconoscono addirittura le strutture dei letti, accatastate appena fuori delle case: probabilmente, dopo le scosse, la gente fuggì nelle campagne, poi forse tornò, ed iniziò a pulire, a togliere detriti e calcinacci, e magari tirò fuori i mobili dalle case. Poi, forse, chissà, arrivò un'altra scossa, e scapparono tutti, lasciando i letti all'aperto. Ma si salvarono…i segni premonitori dati dal vulcano diedero il tempo di raccogliere tutti i tesori, caricarli sulle navi e partire, lasciando alle spalle la loro città, addirittura la loro isola, che scompariva; una migrazione rapida, improvvisa». Tanto è vero che, «sotto le decine di metri di pomice e ceneri che coprono tutta l'isola, non ci sono resti di gente sorpresa dall'eruzione», o monili e gioielli che appartenevano agli abitanti. A Pompei, invece, le cose andarono diversamente.
L'eruzione vulcanica venne certamente preannunziata da movimenti tellurici di una certa magnitudo, che indussero almeno una parte della popolazione della città campana ad abbandonarla per tempo. Ma non tutti lo fecero. A dimostrarlo, come è noto, ci sono non solo i celebri calchi di persone ed animali (alcuni dei quali sono esposti in mostra) che immortalano per sempre la crudele drammaticità del momento, ma anche le migliaia di reperti di ogni genere e natura (sostanze alimentari, suppellettili, oggetti preziosi e di uso comune), che in qualche modo testimoniano la sorpresa dei pompeiani di fronte all'improvvisa "collera"del Vesuvio. Reperti che gli scavi archeologici condotti a Santorini non hanno invece portato alla luce. La mostra allestita alle Scuderie del Quirinale merita certamente una visita. Tra un brindisi e un altro, sia chiaro!
Edizione digitale
I più recenti
Ultime dalla sezione