Spazio satira
Colpi di Testa
14.07.2019 - 18:00
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All'indomani degli attentati dell'11 settembre del 2001 il mondo occidentale (ed in particolare quello di ispirazione cristiana), si ritrovò a dover fare improvvisamente i conti con una realtà che per lungo tempo era rimasta confinata nel limitato ambito geografico mediorientale: quella islamica. Da quel momento in poi il "conflitto ideologico" tra due mondi così diversi divenne invece pressoché globale, trasformandosi purtroppo – almeno secondo i suoi "interpreti" meno moderati – in una vera e propria "guerra di religione". Le ragioni di tale profonda inconciliabilità sono lontane, molteplici, ed in buona parte appaiono irrisolvibili. Una di queste è certamente la scarsa conoscenza che gli occidentali hanno dell'Islam, delle sue numerose sfaccettature, e della cultura che ne fa da presupposto storico e religioso.
Al fine di provare a colmare tale lacuna culturale, il sacerdote francese Adrien Candiard (che da molti anni vive al Cairo), ha appena pubblicato, per la EMI, un interessante saggio intitolato "Comprendere l'Islam – O meglio, perché non ci capiamo niente" (127 pagine). L'autore, come spiega la bandella di copertina, «ci consegna una fotografia più realistica di cosa sono, e cosa significano, gli Islam –perché sono più di uno – …smaschera tanti pregiudizi, e ci apre a un dialogo intelligente, insegnandoci il rispetto per la pluralità». La prima domanda che si è posto (e ci pone) Candiard è: «L'Islam, con il suo miliardo di credenti, ce l'ha davvero con il nostro stile di vita e con la pace nel mondo?». La risposta non è facile, perché è lo stesso Islam che aiuta a confondere le idee.
Il saggista parigino, infatti, per dimostrare quanto sia difficile rapportarsi con l'universo musulmano, cita testualmente, a titolo di esempio, due versetti del Corano, che appaiono antitetici: «Chiunque uccida un uomo che non abbia ucciso a sua volta o che non abbia sparso la corruzione sulla terra, sarà come se avesse ucciso l'umanità intera. E chi ne abbia salvato uno, sarà come se avesse salvato l'umanità intera –5,32». Ma anche: «Combattete coloro che non credono in Allah e nell'ultimo giorno, che non vietano quello che Allah e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo, e siano soggiogati –9,29».
Candiard ritiene che la soluzione migliore per comprendere meglio l'ideologia musulmana è quella di rendersi conto che non vi è un solo Islam, ma molteplici Islam. Che sono, tra loro, profondamente diversi, per presupposti storici, sociali e religiosi, ma anche per comportamenti, abitudini, fini. «Noi di solito abbiamo familiarità con l'Islam arabo, che tra i musulmani gode di un'autorità morale importante, in quanto culla storica della religione, e portatore di una lingua scaturita da quella del Corano, ma fare dell'Islam arabo il solo Islam – o l'Islam di riferimento –significa dimenticare che il primo paese musulmano per numero di abitanti è l'Indonesia, che il Senegal non vive sotto l'influenza dell'Isis, o che i musulmani indiani –benché appena una minoranza in quel paese –sono più numerosi di tutti gli abitanti del Medio Oriente arabo.
Cosa meno nota, invece, è che la diversità dell'Islam è anche teologica, c'è la grande divisione tra sunniti e sciiti, che è oggi la principale fonte di violenza. Si tratta di una separazione antica, che risale ai primi decenni dell'Islam, anche se solo recentemente pare aver raggiunto un punto di non ritorno che destabilizza l'intero Medio Oriente...i punti di accordo tra tutti i musulmani del mondo sono in fondo ben pochi: credere che c'è un solo Dio, che Maometto è il suo profeta, che il Corano testimonia, in un modo o nell'altro, la volontà di Dio per gli uomini; e che nell'ultimo giorno ci attende un giudizio divino...
prendete una questione scottante come il jihad, la famosa "guerra santa" incontestabilmente menzionata nelle fonti islamiche.
Un salafita dello Stato islamico vi dirà che è un obbligo di ogni individuo, e che ognuno deve correre a uccidere il prima possibile tutti i miscredenti, i non musulmani come pure i falsi musulmani (quelli che non sono del loro gruppo), e questo anche attraverso attentati. Un giurista classico, invece, vi dirà che si tratta di un obbligo non individuale, ma collettivo, che può essere espletato unicamente dall'autorità politica legittima, non certo dal primo fanatico che si crede investito da una missione. E il più delle volte aggiungerà che il jihad è difensivo: mira cioè a difendere i territori musulmani da eventuali aggressioni, non ad attaccare. Un sufi, infine, vi spiegherà che il vero jihad è la guerra al peccato, alle nostre cattive passioni, e che si tratta quindi di ascesi e di lavoro su se stessi».
Tale intricatissima eterogenità ideologica e morale, come detto, non viene semplificata dalla lettura del Testo Sacro il quale è, secondo Candiard, «un libro allusivo e disordinato, traboccante di ripetizioni e contraddizioni, che causa un profondo senso di confusione... qualsiasi testo necessita di interpretazione, ma pensare che aprendo una copia del Corano si possa cogliere l'essenza dell'Islam, significa accettare l'illusione letteralista... quel che farà l'unità della lettura, che darà il senso del testo, e non di un versetto qui o là, è l'interpretazione... il Corano fornisce un quadro a queste interpretazioni, ma anche contenuti all'immaginazione, e l'immaginario che ne esce non è un immaginario non violento... il Corano non è un testo violento, sebbene offra una certa disponibilità al suo uso violento...» tuttavia «...né Wagner né Nietzsche erano nazisti, ma hanno potuto essere strumentalizzati dal nazismo».
Eppure, soprattutto alcune frange ideologiche islamiche radicali (soprattutto quella "salafista"), hanno alimentato violenza ed odio. Trovando logica ostilità nel mondo occidentale. Candiard spiega che «a noi non tocca scegliere quale è il "vero volto" dell'Islam, ma continuare a pensare che ce ne sono parecchi... e anche il salafismo, ci piaccia o meno, è uno di essi».
L'autore francese evidenzia che l'Islam non è incompatibile con la democrazia. Tuttavia ammette purtroppo che, soprattutto alcune frange ideologiche musulmane, non ritengono accettabile l'idea che i governanti eletti «possano promulgare leggi distinte dal diritto religioso, né che dall'elezione venga la legittimazione a interpretare il diritto religioso».
Egli, sulla base di tale presupposto, così conclude il suo bel saggio: «L'Islam repubblicano, moderno, entusiasta della laicità, rispettoso della libertà religiosa, femminista, democratico, in una parola l'Islam dei Lumi, esiste senz'altro nella coscienza di certi credenti, in Europa in particolare. Dobbiamo ammettere però che non pesa ancora granché nei dibattiti interni dell'Islam contemporaneo, e che le convulsioni violente di oggi non sono la sindrome di una resistenza disperata al suo trionfo imminente».
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