Spazio satira
Colpi di Testa
12.02.2021 - 23:00
Io e la matematica siamo mondi lontanissimi. I suoi principi fondamentali rappresentano infatti per me –molto spesso – un ostacolo quasi insormontabile. Confesso che il riuscire a padroneggiare certi meccanismi logici mi comporta notevole sforzo, purtroppo quasi sempre vano. Tale idiosincrasia mi ha sempre condizionato nella vita quotidiana, e non solo quando al ristorante arriva il momento di dover dividere il conto tra i commensali...Ma la colpa non è mia. Ognuno ha le sue peculiarità, i suoi punti di forza ed i suoi punti deboli.E la matematica è il mio tallone d'Achille...Questa consapevole inadeguatezza mi avvilisce, poiché mi rendo perfettamente conto che i numeri rappresentano entità astratte straordinarie.
Oserei dire addirittura "magiche", in quanto sono in grado di "governare" le regole dell'universo.
Tenuto conto che i principi fisici universali si basano su "incastri numerici" più o meno complessi, e che molte delle cose e degli oggetti che noi utilizziamo ogni giorno sono il frutto di formule ed equazioni spesso complicatissime, sono portato a ritenere che la matematica non sia altro che il "linguaggio di Dio".
l problema è che io non ho mai avuto buoni rapporti con i miei professori di quella materia; ne consegue che molto probabilmente sarà difficile –quando arriverà la mia ora – riuscire a relazionarmi in maniera positiva con il Sommo Creatore! Accantonando tale spinosa questione personale, e forse proprio con la recondita speranza di poter arrivare a comprendere almeno qualcuno dei mirabili segreti che si nascondono dietro cifre, operazioni e formule, mi sono avvicinato con umile predisposizione alla lettura di un curioso libro, da poco pubblicato dalla casa editrice Il Mulino, a firma del matematico inglese John David Barrow, ed intitolato "1+1 non fa (sempre) 2 – Una lezione di matematica" (127 pagine).
Debbo essere sincero: il breve saggio – che in alcune sue parti è risultato per me oggettivamente ostico –mi ha tuttavia insegnato molte cose, che prima non conoscevo; ad esempio che gli inglesi, gli italiani ed i cinesi sono soliti contare partendo dalla mano chiusa, liberando poi ad una ad una le dita, iniziando dal pollice e finendo con il mignolo; mentre in Giappone cominciano invece a farlo con la mano aperta, e chiudono le dita sino al raggiungimento del risultato finale; oppure che il simbolo "=" fu introdotto per la prima volta dal matematico inglese Robert Recorde; il quale, nel 1577, ritenne che esso potesse ben rappresentare meglio di altri il risultato di qualsiasi operazione algebrica poiché «non ci sono cose che possano essere più uguali»!; o, ancora, che lo "zero"fu "inventato" da alcuni popoli dell'antichità per motivazioni completamente diverse l'una dall'altra.
Rammenta infatti a tal proposito Barrow che quel familiare numero, il quale solo apparentemente significa "il nulla", fu creato dai "Babilonesi per ragioni di contabilità, dai Maya per ragioni estetiche –così da evitare buchi grafici nella loro rappresentazione dei blocchi di grandi numeri –e dagli indiani principalmente per risolvere un problema di efficacia computazionale...
I greci, invece, avevano paura di ammettere lo zero nella loro matematica (come è possibile che nessuna cosa possa essere qualcosa?). Dalla lettura del libro ho appreso anche –non senza sorpresa – che i matematici moderni non attribuiscono alcun significato ai numeri, ai punti o alle linee per se stesse, ma solo alle relazioni tra loro.
In questo senso si intende che la matematica, in quanto studio delle relazioni dei modelli che esistono nel mondo naturale, rappresenta l'oggetto della matematica applicata e della fisica matematica, mentre la coerenza e l'esplorazione dei modelli in sé formano il contenuto d'indagine della matematica pura. L'autore del breve saggio evidenzia che «i matematici puri sono formalisti.
Essi non dimostrano alcun interesse nell'applicabilità delle loro strutture matematiche alla scienza o ad altri aspetti del mondo reale, sono felici di esplorare l'enorme complessità delle strutture numeriche così come i protagonisti del "Gioco delle perle di vetro" di Hermann Hesse. Per i formalisti la matematica è invenzione e non scoperta. Noi stabiliamo le regole e poi esploriamo le conseguenze dell'insieme degli assiomi. Quello che ne deduciamo non esiste altro che nella nostra mente, eventualmente appuntato nei nostri taccuini o sulla lavagna».
A tale proposito Barrow rileva anche che l'evidente legame che esiste tra i numeri e la realtà concreta «non dissipa il mistero di ciò che il fisico Eugene Wigner chiamava "l'irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali". Per quanto possa suonare banale ribadire che essa "spiega" le forme del mondo naturale, in quanto descrive tutte le sue possibili forme, rimane il mistero per cui un numero così esiguo di modelli relativamente semplici funzioni in maniera così ricca di conseguenze, e così potente nella descrizione e comprensione dell'universo». Effettivamente questo è vero. Tuttavia – aggiungo io – se quello dello strettissimo legame che esiste tra gli astratti numeri e la concreta realtà costituisce un inesplicabile segreto per coloro i quali la matematica è "pane quotidiano", figuriamoci quanto può esserlo per me...che sono uno per il quale, invece, anche il solo 1 + 1, non fa (sempre) 2...
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