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Colpi di Testa

"Il terremoto dell'Irpinia": l'inferno del 23 novembre 1980 in un libro

Come il terremoto dell'Irpinia cambiò per sempre tutta l'Italia. La ricostruzione e gli sprechi: il libro di Ricciardi, Picone e Fiorentino ripercorre quegli anni

Alle 19.34 di domenica 23 novembre 1980 una fortissima scossa di terremoto colpì al cuore l'Irpinia, interessando un'area di circa 17.000 chilometri quadrati delle province di Avellino, Salerno, Napoli, Caserta, Matera, Potenza e Foggia. Il sisma ebbe il suo epicentro al confine tra i comuni di Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania, a soli 10 chilometri di profondità. L'incredibile durata della scossa (ben 90 secondi), e la sua magnitudo (il decimo grado della scala Mercalli, 6,9 gradi della scala Richter), causarono distruzione e morte. I deceduti furono infatti quasi tremila, e novemila persone rimasero ferite. Gli sfollati ammontarono ad oltre trecentomila. Per commemorare adeguatamente il quarantennale di questa dolorosa ricorrenza, Donzelli Editore ha appena pubblicato un saggio a firma di Toni Ricciardi, Generoso Picone e Luigi Fiorentino, intitolato "Il terremoto dell'Irpinia", che è "cronaca, storia e memoria dell'evento più catastrofico dell'Italia Repubblicana".

La lettura del libro chiarisce molti aspetti di quell'immane tragedia, ed aiuta a comprendere meglio perché quel sisma, più di molti altri, ebbe effetti così devastanti sul tessuto economico, politico e sociale del nostro paese. Gli autori ricordano sin da subito che «gli oltre 60.000 miliardi di lire spesi hanno consacrato questo evento e la sua gestione come lo sperpero di risorse pubbliche e private più consistente della recente storia d'Italia...Dopo il 23 novembre 1980 arrivarono fiumi di risorse, che un'impreparata classe di amministratori e tecnici gestì nel migliore dei modi possibile». Tale loro giudizio è sostanzialmente basato sul fatto che «siamo tutti dei bravi allenatori dopo la partita e raffinati economisti dopo la crisi; è più complicato, invece, prendere decisioni COLPI DI TESTA Stefano Testa Avvocato e scrittore con l'hobby del giornalismo Libri, musica e arte in ordine sparso nel bel mezzo della tempesta o mentre questa si scorge all'orizzonte. Certo – tengono opportunamente a precisare Ricciardi, Picone e Fiorentino –ci fu chi si arricchì oltre modo, chi arrecò molti più danni con le ruspe della ricostruzione che lo stesso sciame sismico del terremoto...tuttavia serve andare oltre i luoghi comuni, che hanno etichettato questa fase, a ragione e molte volte a torto, come mero spreco senza mai chiedersi il perché di quanto sia accaduto».

Per provare a spiegare almeno in parte quello che avvenne negli anni che seguirono il cataclisma, i tre giornalisti campani evidenziano infatti, ad esempio, e senza molti giri di parole, che «comuni piccoli e piccolissimi, non attrezzati, litigiosi, fragili rispetto alla prepotenza degli interessi privati, gestirono ciascuno molte decine, centinaia di miliardi. Primi beneficiari furono i tecnici dell'edilizia, architetti, ingegneri, geometri. Divenne il ceto più ricco, potente e famelico di questa parte d'Italia. Si stima che circa un quarto di tutti i fondi della ricostruzione, grosso modo 15.000 miliardi di lire, vennero spesi in parcelle tecniche...Se la media del buono contributo fu di circa 150 milioni di lire, circa il 20% dello stesso andava al tecnico...nella metà dei comuni della sola provincia di Avellino nei banchi delle amministrazioni e delle commissioni edilizie sedevano gli stessi tecnici che di giorno redigevano le pratiche edilizie, e la sera in giunta o in consiglio comunale approvavano le medesime richieste».

Tale scenario inevitabilmente determinò nell'opinione pubblica facili conclusioni valutative. Che peraltro trovavano scomodi ed ingombranti paragoni con la ricostruzione brillantemente portata avanti in Friuli, per ricucire le profonde ferite del terremoto del 6 maggio del 1976. Ricciardi, Picone e Fiorentino evidenziano che la non sempre cristallina gestione del fiume di denaro che si riversò nei territori colpiti negli anni successivi al sisma, alimentò inevitabilmente "l'antimeridionalismo, che trovò un carburante straordinario e inaspettato nella narrazione, che ancora oggi rappresenta, a torto, le vicende della ricostruzione post-terremoto, l'Irpiniagate.
Tutto il malaffare, tutto il clientelismo, tutto ciò che accadde con i fatti di camorra, anche se con l'Irpinia avevano poco a che fare, erano ricollegabili alla ricostruzione, al terremoto e, quindi, erano Irpinia.
Sia chiaro, lo spreco ci fu, il clientelismo pure, come il malaffare e l'ingerenza della camorra, ma se colpa ci fu, questa è indubbiamente ascrivibile all'Italia del tempo, alla sua classe dirigente – intesa nel suo complesso, dai partiti ai sindacati, dalle organizzazioni imprenditoriali fino alle banche –e agli intellettuali che, come spesso accade, alimentarono una narrazione fermatasi alla superficie del problema».

Sta di fatto che quel sisma, e l'opaca gestione di risorse che ovviamente nutrì, rappresentò un terreno assai fertile per la nascita di movimenti politici palesemente antimeridionali, ed in particolare della Lega Nord, che infatti venne ideata, e poi costituita, nella seconda metà degli anni ottanta. Ad ogni buon conto, se da un lato va riconosciuto che vi fu una grandissima solidarietà da parte delle popolazioni del nord Italia verso quelle che lottavano a mani nude contro gli effetti del terremoto, e che le regioni italiane più ricche e sviluppate collaborarono fattivamente alla ricostruzione delle zone distrutte o danneggiate, va anche detto che «le industrie che arrivarono al Sud furono quelle che il Nord non volle più, o quanto meno quelle che riteneva non più innovative. Si pensi alla siderurgia prima, e successivamente ad altri comparti». Questo, a ben vedere, fu un macroscopico errore di valutazione, perché quelle zone interne dell'Irpinia nelle quali sorsero dal nulla alcuni insediamenti industriali, molto probabilmente avrebbero beneficiato maggiormente delle risorse che si riversarono sul territorio se fossero state utilizzate per alimentare invece le preesistenti vocazioni agricole, turistiche e culturali.

Le realtà industriali che furono create (o trasferite) nelle zone colpite dal sisma, infatti, per una serie di motivazioni logistiche e macroeconomiche, dopo un primo positivo effetto sul tessuto economico locale, dapprima andarono in difficoltà; e poi, inevitabilmente, fallirono. Tuttavia, va detto, quel terribile dramma ebbe anche degli effetti positivi, in quanto determinò, ad esempio, la nascita della Protezione Civile, e segnò un punto di svolta sia in tema di gestione delle emergenze territoriali che in quello del perfezionamento delle norme già esistenti in materia di ricostruzione edilizia nei territori ad alto rischio sismico. Ma la strada da percorrere in tale direzione è ancora molto lunga..

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