Il libro
18.08.2023 - 22:00
Domani prenderà il via la centoventiduesima edizione del campionato di calcio di Serie A. Come ogni anno, ai nastri di partenza, ci saranno ricche società con grandi ambizioni e piccole realtà di provincia, squadre blasonate e non, candidate allo scudetto e neopromosse; e, come sempre, nelle rose delle varie compagini saranno presenti grandi campioni, calciatori esperti, giovani promesse, e onesti gregari. Tutti, ad ogni buon conto, diventeranno i protagonisti di uno spettacolo che radunerà settimanalmente – negli stadi e davanti ai televisori – milioni di appassionati. Le ragioni dell'incredibile successo popolare del "football" sono molteplici.
È, infatti, ben più di un semplice fenomeno sportivo, ed ormai da tempo è diventato una parte integrante della storia culturale e sociale del nostro Paese. Inoltre rappresenta anche una delle "industrie" più fiorenti dell'intero sistema economico. Basti pensare al fatto che il calcio costituisce il principale "motore" di un comparto produttivo che muove capitali enormi, è in grado di coinvolgere dodici diversi settori merceologici ed ha un impatto indiretto sul Pil italiano pari a più di dieci miliardi di euro, offrendo opportunità lavorative ad oltre centomila persone.
Ad alimentare l'intero sistema è, in primo luogo, la passione sportiva; è lei che fa battere il cuore di moltissimi appassionati, e soprattutto quelli delle piccole squadre di provincia. Per i quali spesso, più del risultato, contano i colori sociali; e, più del gol, l'attaccamento alla maglia. A descrivere il mondo che ruota attorno a questo tipo di calcio di "provincia", lontano dai grandi palcoscenici, talvolta un pochino "scalcinato" ma genuino, spesso identificato con "giocatori tristi che non hanno vinto mai", ci ha pensato Remo Rapino, che ha da poco pubblicato, per i tipi di "Minimum fax", un gradevole volume intitolato "Fubbàll" (149 pagine) nel quale racconta, con una prosa ispirata e la giusta enfasi, dodici appassionate storie romanzate di altrettanti giocatori immaginari (uno per ruolo) i quali hanno oramai «appeso le scarpe a qualche tipo di muro, e adesso ridono dentro al bar».
L'ultima fatica letteraria dello scrittore abruzzese riempie con cura appassionata un «album di figurine di quelli delle ultime file: piccole biografie di calciatori non illustri, brutti, storti, anonimi. Vecchi mobili tarlati dall'età e dai ricordi». Ne emerge un gradevole ed originale spaccato dell'Italia di un recente e lontano passato, che attorno al calcio, e ad alcuni dei suoi più umili interpreti, ricama con garbo "romantiche" storie minime, fatte di speranze, disillusioni, gioie e dolori. E se è vero – come è vero – che il calcio in fondo altro non è se non una "metafora della vita", ne consegue che chi di quello sport ha fatto la sua ragione di esistenza avrà quanto meno avuto la fortuna di vivere due volte.
E, proprio per questo motivo, avrà finito per prendere il doppio dei "treni", perdendone però almeno altrettanti… Scrive infatti Rapino in uno dei suoi racconti: «C'era tutto il senso della vita in quel rettangolo di terra e erba… non sempre la vita ti regala poesie, anzi, spesso te le toglie, e allora bisogna trovare strade per continuare il cammino, in un modo o nell'altro…». A rendere ancor più poetica la narrazione ci pensa la malinconia, sentimento incontrollabile che ammanta di nobiltà pensieri e ricordi dei vari protagonisti dei racconti, ma che inevitabilmente amplifica anche il peso ingombrante di ciò che, per giocatori oramai avanti con gli anni è stato, ma purtroppo non è più: «Ogni tanto rileggo gli articoli dei giornali, altre volte mi rivedo le vecchie foto che però si stanno scolorendo anno dopo anno. Mi si fanno gli occhi lucidi a certi ricordi, allora smetto ché non mi va di piangermi addosso, che è come se da qualche nuvola mi scendesse una voce… la domenica, piano piano, mi avvio allo stadio, ché quel posto ce l'ho nel sangue, e non se ne va manco a pagarlo a peso d'oro. Ci metto tempo, e allora esco molto prima di casa. Prima o poi dovrò trovare qualche ragazzo che mi aiuti a salire i gradini, ché il fiato adesso mi comincia a mancare un poco, e non posso fare tanto lo svelto come quando sfiatavo di marcature gli avversari in mezzo al campo. Altri tempi quelli, e altri tempi questi».
Le storie raccontate nel libro parlano di combattutissime partite, di umili terzini, ruvidi mediani, saettanti ali, o aitanti centravanti; ma anche di luoghi magici che, pur senza assomigliare ai palcoscenici più conosciuti e celebrati del nostro calcio, hanno tuttavia contribuito a lasciare un segno nella memoria di tanti, ed a far scrivere pagine emozionanti nel cuore delle storie personali dei rispettivi protagonisti: «Mi sembrava di toccare il cielo con un dito quando si partiva per Frosinone, Grottaferrata, Anagni, col pullman, gli scarpini lucidi di grasso e la colazione al sacco».
Dai ricordi emergono immagini, odori, sapori e rumori. Anche quelli di un ginocchio in frantumi dopo uno scontro di gioco. Rapino sa colpire, con definizioni folgoranti («Il calcio non è altro che un cartone animato per adulti», oppure «Adesso coltivo fili di neve bianca tra la barba e i capelli»), ma anche "rapire", soprattutto quando indulge in descrizioni che vengono dall'anima, ma che rivelano l'essenza del gioco del calcio, e dei suoi interpreti: «Chi gioca libero è figlio del mare, e sa leggere l'orizzonte…il libero è capitano e gabbiere, indica la rotta più giusta per evitare gli scogli».
O quando, ad esempio, descrive le vibranti sfumature di anonime "vite da mediano" («Avevo due cuori e quattro polmoni, portabandiera dei giocatori umili, un prototipo di emigrante dal Sud al Nord, le gambe storte, non certo alto, le spalle curve come un manovale che porta mattoni e calce al capomastro, e davanti a me il fuoriclasse, quello dell'ultimo tocco, quello che va sui giornali con la faccia che ride sempre. Io, a fine gara, neanche il fiato per dire il mio nome ci avevo più… ho sempre giocato per gli altri, convinto da sempre che non si è soli al mondo, e che tutti gli uomini fanno una sola squadra.
Ecco, il calcio mi ha insegnato a far parte del mondo, e a vedere le cose che non si vedono, uno spazio libero, un canale per il compagno di squadra, un'improvvisa apertura di tacco che nessuno s'aspetta…ora guardo il mondo con una birra in mano e un sigaretto tra le labbra»). Tutto giusto – aggiungo io, da appassionato del calcio quale sono – perché se "essere campioni", in fondo, "non è che un dettaglio", e che "non è mica dai particolari che si giudica un giocatore" è anche vero che un rigore (magari decisivo) è sempre meglio segnarlo che sbagliarlo. Ciò chiarito e fermo, buon campionato a tutti. Anzi, ad essere sinceri, quasi… a tutti… Altrimenti che razza di tifosi saremmo?
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