Oltre la fede
24.09.2025 - 16:00
In una delle primissime puntate di questa rubrica, avevo raccontato delle strettissime connessioni tra un dramma liturgico della metà dell’XI secolo – lo “Sponsus”, ispirato alla parabola delle vergini sagge e delle vergini stolte – e uno degli affreschi che si trova nell’oratorio di S. Thomas Becket sotto la navata sinistra della cattedrale di Anagni. Uno dei temi, che ricorrono con maggiore frequenza nel ciclo di affreschi della cripta anagnina, è proprio quello del Giudizio universale. Numerosi squarci degli affreschi della cripta di San Magno e anche le pitture dell’oratorio di San Tommaso Beckett costituiscono un eccezionale serbatoio di scene apocalittiche, tra un Cristo che domina sulla volta, con piglio severo ma misericordioso, angeli che lo circondano, e i proverbiali quattro cavalieri dell’apocalisse pronti a scendere sulla terra.
Anagni offre anche altrove visioni apocalittiche. Per esempio, nella chiesa di San Pietro in Vineis – inglobata nel convitto “Principe di Piemonte” – è conservato un ciclo “cristologico” con scene che raffigurano le ultime fasi della vita terrena di Gesù, al termine delle quali è rappresentata la scena del Giudizio finale. Del resto, nel XII secolo, ad Anagni era nato Lotario dei Conti, figlio di Trasimondo (conte di Segni), il quale divenne papa con il nome di Innocenzo III, particolarmente attivo nella lotta alle eresie. Lotario fu autore di un opuscolo, il “De miseria humane conditionis”, nel quale annuncia che la morte, il giudizio universale e l’inferno sono l’unica prospettiva a cui andranno incontro gli uomini a causa dei loro vizi. Poi, descrive le pene che saranno inflitte ai peccatori secondo una particolare ma spietatissima regola del contrappasso: i concupiscenti arderanno nel fuoco, i maliziosi invece saranno sepolti nel gelo, gli invidiosi saranno rosi dai vermi, gli accidiosi saranno flagellati, e via dicendo.
Ad Anagni è conservata anche un’altra testimonianza. Si tratta però di un messaggio di speranza e di salvezza. Nella piazza antistante la facciata della cattedrale di Anagni, il versante sudest è delimitato da un muro moderno nel quale sono incastonati diversi frammenti epigrafici, scultorei e architettonici. Uno di questi, databile all’Alto Medioevo, è un pezzo di marmo bianco, sul quale si può riconoscere una figura maschile, probabilmente in atteggiamento di preghiera, sotto le cui gambe si distingue una lingua di fuoco. Si tratta, verosimilmente, di una raffigurazione – purtroppo incompleta e rovinata – dell’episodio dei tre fanciulli nella fornace, raccontato nel Libro di Daniele (che, in perfetta vicinanza con il ciclo di affreschi di cui sopra, ha diversi spunti e argomenti di natura apocalittica). Il profeta narra del supplizio di tre giovani ebrei di Babilonia (Anania, Azaria e Misaele) condannati ad essere bruciati vivi in una fornace per aver rifiutato l’imposizione, da parte del re Nabucodonosor, di adorare un idolo pagano, ma che vennero salvati da un angelo del Signore.
Lo stesso episodio si trova rappresentato sul sarcofago di marmo bianco visibile a Boville Ernica (quello del celeberrimo “presepe paleocristiano”): anche qui c’è l’immagine della scena dei tre fanciulli nella fornace, miracolosamente illesi; e anche qui, la scena vuol essere un invito alla speranza – in ideale unità con il messaggio soterico del presepe bovillense – della salvezza tramite la fede in Dio. Sia ad Anagni che a Boville – e in generale nelle raffigurazioni che si conoscono (e.g., quella della cappella della catacomba romana di Santa Priscilla) – i fanciulli appaiono abbigliati all’orientale, il che è coerente con il racconto del profeta Daniele, e in atto di preghiera con le mani aperte verso il cielo. Il ciclo iconografico dedicato al supplizio dei tre ragazzi – invalso parallelamente a quello in cui si vedono i tre rifiutare l’adorazione delle divinità pagane – ebbe massima diffusione intorno al IV secolo (e quasi sempre in ambito funerario), e man mano si arricchì di altri personaggi, come gli accusatori caldei, il boia che attizza il fuoco nella fornace, l’angelo che viene a salvarli. Tutti personaggi che, come per le vergini sagge e stolte dello “Sponsus” che ispirarono gli affreschi dell’oratorio di S. Tommaso Becket, sono desunti dall’ambiente teatrale.
Dalla storia dei tre fanciulli nella fornace è stato ideato anche un canto, tra i più diffusi ancora oggi nella “Liturgia delle Ore” della chiesa cattolica. Il canto – noto come “Benedicite” – entrò, a partire dall’ultimo quarto del IV secolo, nell’uso liturgico dell’Ufficio mattutino della chiesa orientale di rito bizantino. Tuttavia, a differenza dell’evoluzione del dramma liturgico nelle chiese d’Occidente, quella ortodossa d’Oriente, a Bisanzio, ostacolò completamente la nascita di qualcosa che potremmo riconoscere come dramma liturgico. Tuttavia, proprio dal canto del “Benedicite” potrebbe essersi evoluto, nella chiesa di Bisanzio, un dramma liturgico sul racconto di Daniele: l’Ufficio dei tre bambini.
Col passare dei secoli, e grosso modo in parallelo con l’esperienza dei tropi pasquali in Occidente, a Bisanzio la storia dei tre fanciulli nella fornace era drammatizzata durante la liturgia della domenica precedente il Natale. Sicuramente attestato nel XIV secolo, questo dramma potrebbe essere stato allestito già durante il secolo XI. Infatti, nel cosiddetto “Salterio Chludov”, che contiene i salmi biblici “illustrati”, c’è anche il “Benedicite” con disegni che alludono ad un’impostazione teatrale della vicenda di Anania, Azaria e Misaele. Per chi volesse saperne di più, rinvio all’articolo di Daria Mastrorilli, “Un inedito frammento di sarcofago paleocristiano conservato ad Anagni con raffigurazione dei fanciulli nella fornace”, risalente al 2014 e liberamente scaricabile da internet.
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