Spazio satira
Il personaggio
09.07.2025 - 14:00
In alcune puntate passate ho cercato di mettere in luce quanto e come il teatro ottocentesco – sia nell’epoca più propriamente romantica, sia in quella più tarda del Naturalismo – trovava nel “popolare” la sua fonte più ricca. Perciò, se si vogliono investigare le forme di teatro anche in terra ciociara durante il XIX secolo, è al mondo delle feste e delle tradizioni popolari che bisogna, in primo luogo, volgere l’attenzione. Infatti, sulla scorta dei resoconti che il letterato livornese Giovanni Targioni Tozzetti aveva compilato nel 1891, allorché diede alle stampe il suo “Saggio di novelline, canti ed usanze popolari della Ciociaria”, ho già avuto modo di rievocare il rituale delle nozze e quello del cosiddetto “reconsulo”. E altri racconti prima o poi seguiranno.
A quell’humus popolare, fatto di tradizioni ancestrali e riti, ma anche tanto ricco di suggestioni “visive” e scenografiche, si dovette ispirare il marchese verolano Luigi Bisleti, autore della tragedia “Le maremme”, pubblicata a Roma nel 1882.
Luigi Bisleti, che ricoprì anche la carica di sindaco della città di Veroli ai primi del Novecento, ha lasciato un nutrito corpus di opere, sia di ispirazione poetica, che testi di natura politico-oratoria. Tra le prime voglio qui ricordare una silloge poetica pubblicata a Faenza (“Poesie”, 1897), e i sonetti raccolti sotto il titolo di “Verulo: nell’anniversario di Sciara-Sciatt, 23 ottobre 1911” (pubblicati nella città natale in centocinquanta esemplari nel 1914). Fu anche autore di un libretto in cui raccolse notizie storiche e di devozione popolare riguardanti la piccola chiesa della Madonna dell’Olivello.
Sul fronte delle opere oratorie, il Bisleti si confrontò con problemi politici, nonché questioni socio-culturali del suo tempo, dando alle stampe: una sorta di vademecum per gli insegnati verolani (“Ai maestri delle scuole elementari del mio comune: avvertimenti”, 1899); una “Relazione sui rapporti scambievoli, rispetto alla pubblica Biblioteca, tra la Città e il seminario, al sindaco di Veroli” (1907); un “Discorso nella tornata consiliare del novembre 1908 sulla questione del bosco comunale” (1908); un breve testo dal titolo “Atina” (1910), dedicato ad una delle tre città confederate da secoli con Veroli; la prefazione alla “Historia Verularum” di Vittorio Giovardi, che Bisleti scrisse presumibilmente sul finire degli anni Dieci del secolo scorso.
“Le maremme” sono un’opera giovanile, che infatti mostra tutti i limiti stilistici di un talento ancora acerbo. Eppure, ha più di qualche motivo di pregio. In primo luogo, questa tragedia, ancorché ambientata nelle maremme del contado senese – curiosamente, a rafforzare un ideale legame tra le cittadine di Veroli e di Siena, esiste anche un componimento poetico inedito che Giovanni Sulpizio Verulano indirizzò al nunzio senese Stefano – è intimamente legata alle tradizioni locali, tant’è che in apertura viene presentato un coro di contadini che nell’aia di una casa colonica al tramonto intona un canto festoso e gioioso.
Al coro segue la voce del poeta stesso che, in una sorta di rapimento estatico, descrive il paesaggio d’intorno, fatto di vasti piani, seminati di uliveti e case, nei quali non è difficile riconoscere il paesaggio del Basso Lazio a lui chiaramente familiare. In questi versi, Bisleti introduce anche una nota autobiografica, poiché scrive: «Sospiro ai caldi giorni d’adolescenza, agl’impeti, ai bollori vulcanici del sangue, agl’incompresi, ai forti, irrefrenati urti del cuore de’ miei tre lustri». Le maremme non è priva di un gusto di ascendenza tardo-romantica. Tanto che l’autore intende raccontare una storia d’amore senza lieto fine, della quale, anzi, scandisce il ritmo in cinque atti, intitolati significativamente “Amore”, “Dolore”, “Sangue”, “Abbandono”, e “Morte”. Il binomio amore-morte, languidamente perseguito da tanta letteratura coeva, anche teatrale, viene qui declinato secondo una scansione rigidamente codificata, nella quale i personaggi sono come irretiti dalle proprie passioni, in un crescendo inarrestabile. Non a caso la vicenda comincia con un coro di festa e si chiude appunto su una morte crudelissima, che non lascia scampo ad alcun sentimento.
Altrettanto vicina agli stilemi del Romanticismo è anche l’ambientazione campestre. Bisleti è attento a porre in rilievo il contrasto tra la placida tranquillità delle campagne maremmane e l’intimo dramma dei personaggi. Tuttavia, la scena agrestre è solo uno sfondo sul quale agiscono questi personaggi, lacerati e disperati, amplificandone le emozioni e i moti interiori. Con tutta evidenza “Le maremme” non furono mai portate in scena: secondo l’uso dell’epoca, il più delle volte alla scrittura di una tragedia si attendeva più per finalità di lettura che non di rappresentazione. Non a caso, lo stesso Manzoni giudicava “Adelchi” e il “Conte di Carmagnola” opere destinate più ad una fruizione individuale attraverso la lettura, che non al palcoscenico. Per chi volesse saperne di più, segnalo che una copia de Le maremme è custodita nella Biblioteca comunale di Veroli.
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