Spazio satira
Teatro
21.05.2025 - 12:00
Più volte nel corso del tempo ho avuto modo di raccontare episodi di storia di teatro musicale, presentando ai lettori di questa rubrica compositori, editori, e opere appartenenti al genere lirico. E anche in futuro ci saranno molte occasioni di ritornare sull’argomento, avendo la Ciociaria (complessivamente considerata) dato i natali a molti musicisti e librettisti. Ma la Ciociaria è stata patria anche di numerosi cantori. Come accennato in passato, l’opera lirica ebbe origine tra il XVI e il XVII secolo per mezzo di un gruppo di intellettuali fiorentini, riuniti nella Camerata de’ Bardi. Ma i suoi prodromi vanno ricercati nel teatro e nella musica medievali (in particolare nell’opera di Guido d’Arezzo). Più in generale, l’idea di sviluppare un teatro musicale fondava anche sulla circostanza che varie forme teatrali prevedevano l’uso di canzoni all’interno dell’azione scenica. Infatti, anche nella commedia dell’arte italiana e nel dramma pastorale, nel “ballet de court” francese e nel “masque” inglese, erano previsti ampi spazi musicali con interessanti esperimenti su voci, strumenti e scene.
Lo straordinario successo che l’opera lirica ebbe in età barocca (soprattutto a Napoli, Roma e Venezia), ne decretò una diffusione non soltanto negli ambienti intellettuali e aristocratici, ma anche presso il pubblico più popolare, che apprezzava i virtuosismi dei cantanti, che divennero, ben presto, i principali protagonisti del genere. Non a caso il maggior risalto dato all’arte canora (anche i musicisti spesso componevano arie apposta per esaltare le qualità vocali degli interpreti), a discapito della drammaturgia e dell’aspetto più propriamente teatrale dell’opera lirica, era motivo di biasimo da parte dei letterati e dei critici.
Non è inutile evidenziare come il successo popolare dell’opera lirica contribuì al nascere di una vera e propria industria dello spettacolo musicale. In ragione degli importanti interessi economici che giravano intorno al teatro musicale, si diffuse – quasi esclusivamente in Italia – una pratica particolarmente spregevole. Cioè quella dell’evirazione dei cantanti. Questa “usanza”, originata in Oriente ma ben presto diffusasi, malgrado fosse proibita dalle leggi locali, a partire dal Quattrocento, rese nota in campo musicale la figura dei castrati. Tanto più che in quei tempi era ancora rigido il divieto per le donne di esibirsi per negli ambienti ecclesiastici.
La castrazione veniva praticata prima della pubertà, tra i sette e i dodici anni, allo scopo di mantenere la voce acuta anche in età adulta ed avere in tal modo un’estensione vocale paragonabile a quella di un soprano. Infatti, spesso questi cantori maschi venivano definiti “soprani naturali”, e impiegati per interpretare ruoli femminili. E i cantori evirati raggiunsero una celebrità straordinaria (si pensi a Farinelli, celeberrimo cantante castrato del Settecento), venendo spesso impiegati da molti operisti. La castrazione divenne, specie a Napoli e a Roma – città dove importanti istituzioni ecclesiastiche si occupavano della formazione musicale degli evirati – talmente abituale che si diffuse diceria (in realtà mai dimostrata storicamente) che nella Napoli del Settecento vi fossero botteghe con l’insegna “Qui si castrano ragazzi”. Da Arpino proviene una nutriva schiera di “evirati cantori” del XVIII secolo: Gioacchino Conti (figlio di Nicola, compositore e maestro nella reale cappella di Napoli), detto Gizziello, in onore del grande Domenico Gizzi (antagonista dell’ineguagliato Farinelli), Filippo e Giuseppe Sedoti, Cossa, Quadrini nonché la cantante Angelina Sperduti, detta “La Celestina”. Di costoro, man mano, cercherò di raccontare vita ed opere.
Questa volta, mi concentro sull’attività di due cantanti lirici di cui non si conoscono molte notizie: Giuseppe Fabrizi detto de’ Petroni di Veroli e Giuseppe Marocchini (altrove scritto Marrochini e Marrocchini) di Arpino. Dell’attività del primo resta testimonianza in alcuni libretti, stampati in varie città italiane tra il 1758 e il 1770. Interpretò ruoli sia maschili (fu Valerio ne “Le Statue” a Civitavecchia nel 1758; “Learco nell’Antigona” a Venezia nel 1762; e Agenore ne “Il re pastore” a Napoli nel 1765), che femminili (fu, tra l’altro, Lauretta ne “L’Arcadia in Brenta” a Roma nel 1759; Lucrezia ne “La conversazione” ad Urbino nel 1760; e Semplicina ne “Le contadine bizzarre” sempre a Roma nel 1763).
L’arpinate Marocchini ebbe una carriera lunga e sicuramente di gran successo, considerato che nell’arco di un trentennio si contano numerose sue partecipazioni a rappresentazioni non soltanto a Roma (dove fu ingaggiato per ruoli esclusivamente femminili, come ad esempio Flavietta in “Le pazzie per amore” del 1761, o Clarice ne “L’incostante” nel 1766), ma anche a Lisbona (dove rimase attivo almeno fino al 1792, anno in cui interpretò Lauretta in Riccardo cor di leone). Il fatto che egli abbia interpretato solo ruoli femminili – salvo rarissime eccezioni come il ruolo di Mezenzio in “Enea nel Lazio” nel 1767 (da non confondere con l’opera omonima e di pochissimo posteriore di Venanzio Belmonte) – ci fa intuire che egli dovette essere una voce bianca. Per chi volesse saperne di più, consiglio la lettura di “I musicisti della provincia di Frosinone nella storia” (Roma, 2012), di Orietta Sartori e Saverio Franchi.
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