La storia
14.05.2025 - 15:00
Nella puntata del 18 settembre 2024 avevo cominciato un excursus incentrato sulle opere teatrali del Seicento, dedicate a vari membri della famiglia Colonna, duchi (e più tardi principi) di Paliano e altre cittadine ciociare, meritori mecenati di molteplici attività culturali (e, per quel che ci riguarda, teatrali). In questa puntata proseguirò il discorso cominciato qualche mese fa.
L’anno seguente, Anna Colonna fu dedicataria di altre due opere. La prima è un libricino di “Rime Spirituali”, composte da Giovan Vittorio De’ Rossi, in occasione della monacazione di Silvia Costacci, che, con il nome di suor Caterina, prese i voti nel monastero di S. Caterina Vergine e Martire a Viterbo. Nel libricino, si segnala il dialogo “Tobia”, che venne recitato nel refettorio del detto monastero. L’altra opera pubblicata in onore (e con il patrocinio economico) della principessa di Paliano è un’antologia di “Componimenti poetici”, che vari autori dedicarono alle nozze tra Anna Colonna e Taddeo Barberini, celebrate il 24 ottobre 1627. Questo volumetto, fra altre poesie in latino e in italiano, contiene un dramma di Domenico Benigni e due componimenti per musica: “Choro musicale” di mons. Giovanni Ciampoli (su musiche di Johannes Hieronymus Kapsberger) e “Su l’auree foglie” di Giulio Rospigliosi.
Infine, nel volume “Drammi musicali” (1631) di Ottavio Tronsarelli – un drammaturgo di cui avevo accennato nella puntata del 24 gennaio 2024 riguardante i marchesi di Gorga – è contenuto anche “La Sirena”: si tratta di una cantata che venne dedicata ai due novelli sposi in occasione delle loro “augustissime nozze”. Appartenente al ramo dei Colonna di Paliano fu anche il cardinale Girolamo Colonna (che era fratello minore di Anna). Nel 1641 nella casa romana del cardinale va in scena con il patrocinio di monsignor Francesco Angelo Rapaccioli (che, a sua volta, diventerà cardinale due anni più tardi) la commedia dello spoletano accademico “Occupato” Gioseppe Spinio “La luna nel pozzo”, stampata quello stesso anno a Viterbo.
L’autore, benché oberato (come dice nella prefazione ai lettori) dagli impegni professionali della «mercatura, spettanti alla Compotistaria» (cioè in buona sostanza era un ragioniere), s’era convinto di dare alle stampe questa sua commedia, che evidentemente aveva ottenuto un discreto successo sulla scena di casa di Girolamo Colonna. In realtà lo stampatore ne aveva messo in circolazione delle copie quasi all’insaputa dell’autore, che di fatto aveva poi deciso di cavalcare l’onda del successo. Che non dovette essere poco nemmeno per l’edizione a stampa, se consideriamo che “La luna nel pozzo” – tre atti in prosa di argomento fantastico (vi appaiono anche folletti, vespe e mosche tra i personaggi) – venne ristampata ad Orvieto una ventina di anni più tardi (1662).
Ultimogenito di Filippo Colonna – e quindi ultimo, dopo Anna, Girolamo e altri figli – fu Marcantonio V Colonna, anch’egli titolato come principe di Paliano. Anzi, fu proprio questi ad occuparsi stabilmente del feudo palianese, dopo la morte del padre.
In occasione dei festeggiamenti carnevaleschi dell’anno 1647, Marcantonio patrocinò il carro musicale “Il trionfo della fatica”, un dramma in musica scritto da un non meglio noto “poeta inesperto” e musicato da Filiberto Laurentij. L’opera viene ricordata nel diario manoscritto di Teodoro Ameyden, insigne avvocato della Dataria apostolica, alla data del 7 marzo 1647: «L’altro carro più magnifico è del Contestabile Colonna, porta una scena ove si recita un Dramma in musica intitolato il premio della fatica, la musica non è mala».
La fatica a cui fa riferimento il titolo – e che poi è l’argomento dell’opera allegorica – è quella del raggiungimento della ricchezza. Per accaparrarsi il tesoro della Ricchezza gareggiano tra loro un Parasito, un Giuocatore, un Ganimede, tutti seguaci del Vizio. Tuttavia, a prevalere e ad ottenere la Ricchezza è il giovane Mirindo, che introducendo il ballo conclusivo dell’opera ammonisce tutti, sostenendo che essa non s’acquista «se non con stento e sudore». Per chi volesse saperne di più sulle opere citate in questa puntata rinvio al il prezioso repertorio bibliografico di S. Franchi, “Drammaturgia romana” (Roma, 1988). Il manoscritto del diario dell’avvocato Ameyden è conservato nella Biblioteca Casanatense (ms. 1831)
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