Il personaggio
10.12.2025 - 14:30
A Francesco Giovardi, nobile verolano vissuto a cavallo tra Sei e Settecento, avevo dedicato la puntata del 6 settembre 2023. In quell’occasione, raccontai de “Il morto regnante”, l’unica sua opera data alle stampe nel 1704, che era stata rappresentata nel Teatro del Magistrato della città ernica tre anni prima. La biografia del Giovardi – che era il padre di Vittorio, il prelato che fondò la Biblioteca Giovardiana – ci racconta di un uomo, che, malgrado una vita non lunga e una salute precocemente minata da varie malattie, fu di ingegno brillantissimo e vivace. Non a caso il suo talento poetico gli guadagnò, già in età adolescenziale, apprezzamenti nella cerchia familiare (era strettamente imparentato con Carlo e Desiderio de Angelis di Boville Ernica, per i quali si veda la puntata del 12 luglio 2023).
Purtroppo, gran parte dei suoi scritti (poetici e teatrali) furono da lui stesso dati alle fiamme dopo che era diventato cieco. Infatti, nell’archivio di famiglia è stato possibile ritrovare un unico sonetto di argomento natalizio, probabile frutto del suo estro giovanile, magro lascito di una produzione che dovette essere sicuramente ben più cospicua.
L’altra opera che venne rappresentata si intitola “Il freno delle passioni, ovvero la volontà dominante”, che è conservata manoscritta appunto nella Biblioteca Giovardiana. Scorrendo la premessa all’edizione a stampa de “Il morto regnante”, l’intenzione dell’autore era quella di pubblicare anche questo secondo dramma già messo in scena. Forse avrebbe voluto far rappresentare (e stampare) anche gli altri (che purtroppo sono dispersi). Con ogni evidenza, l’essere stato eletto alla suprema carica di Magistrato di Città lo fece trovare nella scomoda posizione di non poter esaudire ulteriori velleità artistico-letterarie, che non si confacevano ad un pubblico ufficiale. Ragion per la quale desistette dal proposito di nuove pubblicazioni e nuove rappresentazioni. Poi, la malattia agli occhi lo indusse a bruciare le sue opere, non potendole più rivedere ed emendare.
“Il freno delle passioni, ovvero la volontà dominante”, che Giovardi volle dedicare alla Citta di Veroli, è preceduta da poche parole che egli rivolge al “benigno lettore”. In questa premessa Giovardi racconta che “Il freno” fu scritto tutto di getto, nell’arco di una nottata di alacre lavoro. Gli spettatori venivano invitati a “rimirar” quanto era stato partorito dall’ingegno dello scrittore.
Quella conservata alla Giovardiana è verosimilmente la “bella copia” desunta dal copione destinato agli attori per la realizzazione scenica. Lo si intuisce dal fatto che il Giovardi avesse preparato anche un intermezzo, alla maniera in uso per le rappresentazioni del tempo. Normalmente gli intermezzi erano un escamotage per “distrarre” gli spettatori, mentre dietro il sipario si allestivano le scenografie per il prosieguo dello spettacolo. Se Il freno non era destinato alla scena, non avrebbe avuto senso preparare un intermezzo.
Inoltre, il testo non manca di indicazioni sceniche di entrata ed uscita dei personaggi. Anzi, a tal riguardo non è inutile segnalare un dettaglio arguto relativo alla mise en page dell’opera (lo stile usato per l’impaginazione lascia intendere anche che questa copia sarebbe potuta essere usata per la pubblicazione a stampa): le battute sono scritte con inchiostro nero; le didascalie con inchiostro rosso. Infine, se quest’opera si è salvata dalla distruzione alla quale Giovardi condannò le cose che non aveva potuto correggere (e quindi rendere pubbliche), è perché questa era già stata resa pubblica con la rappresentazione a teatro. Dunque, non avrebbe avuto senso distruggerla (tanto più che l’intenzione sua era di farne un libro come per “Il morto regnante”).
Il freno – la cui storia Giovardi volle ambientare nella città di Messina – presenta un’altra particolarità: alcuni personaggi si esprimono con una parlata dialettale, tipicamente verolana. È un accenno a quel popolo, cui Giovardi allude nella dedica iniziale alla Città di Veroli. In essa esalta lo spirito poetico, la natura, gli eroi e gli ingegni patrii; loda la città che sdegna gli applausi del mondo, preferendo la quiete che ispira il “cristallino Amaseno”. Qui, si vestono «gli abiti rubicondi dell’innocenza e della modestia, ghirlandati d’odorosi narcisi e di gigli»; qui le muse «lasciando di buona voglia la melodia di Parnaso e accordando le trombe col placido mormorio di quell’onda, cantano dolcemente» le lodi di Veroli.
Per chi volesse saperne di più consiglio una passeggiata a Veroli, presso la Biblioteca Giovardiana per prendere direttamente visione del manoscritto.
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