Con un comunicato pubblicato sui canali della società, gli Amatori San Giovanni Incarico hanno comunicato l’interruzione della conduzione tecnica della prima squadra da parte di Antonello Quaglieri. Una decisione presa in modo consensuale tra le parti che hanno deciso in maniera molto serena di voltare pagina. Per Quaglieri si apre dunque una nuova fase della sua carriera.
Mister, pochi giorni fa, con una decisione da gentiluomini, si è interrotta la collaborazione che ti ha legato alla panchina degli Amatori San Giovanni Incarico. Che ti porti a casa da questa esperienza?
“La conclusione del nostro rapporto sportivo, seppur sia durato per una sola stagione, lascia comunque un segno che giudico molto positivo sia a livello agonistico che umano. Ho davvero apprezzato la piena fiducia di tutti i dirigenti anche nei momenti più delicati della passata stagione in particolare nelle prime difficoltà iniziali. Una sinergia che ci ha portato a disputare, da neopromossi, un campionato di rilievo con la valorizzazione di moltissimi giovani locali, anche grazie al supporto di veterani di valore. Porto quindi a casa una sfida certamente vinta insieme ai protagonisti che restano sempre i calciatori. Come è stato evidenziato ci siamo lasciati con stile, consapevoli delle ragioni di un mancato nuovo accordo ma anche di aver lasciato
l'uno all'altro un segno che resta”.
Sei uomo di calcio da sempre e sei uno dei tecnici con più esperienza del panorama provinciale. Che
momento attraversa il calcio ciociaro?
“Diciamo che sia da calciatore e poi da allenatore ho conosciuto tante realtà diverse ed accumulato tante di quelle esperienze, positive e negative, che mi danno anche una buona sensibilità per analizzare il momento attuale. Nel mio piccolo avverto che ci sia un ritorno di entusiasmo generale e segnali di buona ripresa. Gli anni più buoi, costituiti dall'emergenza sanitaria Covid, hanno messo a dura prova tantissime realtà economiche del panorama ciociaro. Le conseguenze si sono riversate anche nel mondo del calcio dilettantistico. Poteva essere il colpo di grazia finale. Ma la passione e l'amore per questo sport è stata più
forte delle enormi difficoltà. Ed è proprio grazie a questa resilienza che oggi si è rimesso in piedi un movimento che rappresenta comunque un patrimonio sportivo. A partire dalle piccole realtà di paese che hanno oltretutto un grande ruolo sociale Certamente le difficoltà non mancano”.
Chiusa una esperienza sei pronto ad una nuova avventura. Che progetto tecnico e societario potrebbe
interessarti?
“Il ruolo del mister deve essere sempre aperto a nuove sfide e ripartenze. Certo il periodo è abbastanza avanzato e quindi resta un pò difficile che realtà ambiziose non si siano ancora attrezzate. Ma non ho fretta! Quello che è certo è che non valuterò in base alla categoria, ma in base alla qualità delle persone ed alla proposta di un progetto serio, credibile e ben strutturato. Magari un progetto sostenibile dove si abbia la possibilità di far crescere anche dei giovani e quindi dove si possano gettare le basi per avere un pò di continuità nel lavoro. Ricominciare sempre daccapo, seppur possa avere degli stimoli, non è sempre facile”.
Quale è la tua idea di calcio? Che tipo di allenatore ritieni di essere?
“Diciamo che mi piace creare un ambiente ben impostato e professionale dove si crei la giusta alchimia tra staff e calciatori in grado da stimolare quest'ultimi a dare il massimo alla comunità a cui devono sentirsi legati. La mia idea di calcio parte, prima che dalle questioni prettamente tecniche ed atletiche, da una idea di forte identità e senso di appartenenza alla causa da parte di tutti i giocatori, i quali devono sentirsi ognuno protagonista per la propria parte. Lo sport è fiducia, senza sentirsela addosso nessuno saprebbe dare il massimo dei propri valori. Poi più in generale mi piace un calcio propositivo, con velocità di pensiero,
ed organizzato con la finalità di fare la cosa più semplice nel più breve tempo possibile: mandare la palla nella rete avversaria ed impedire che la stessa oltrepassi la propria porta. Un calcio moderno insomma, ma che non imbriglia troppo le individualità che devono essere valorizzate nell'economia della squadra. Una tendenza che purtroppo, a mio modesto parere, ha contribuito a creare nel panorama calcistico italiano, a partire dai campionati giovanili, tanti buoni giocatori impostati, ma non campioni in grado di risolvere una gara in equilibrio”.