Spazio satira
Atletica leggera
13.02.2025 - 17:36
L’Italia è uno sbocciare di talenti tra le corsie e nelle pedane. Il mondo dell’atletica guarda ammirato le performance dei giovani azzurri e s’interroga sugli orizzonti che potranno raggiungere nei prossimi anni. Della baby Doualla, velocista con le stimmate, delle giovanissime Castellani, Valensin e Succo, dei fratelli Inzoli e di tanti altri giovani emersi prepotentemente già nella stagione indoor parliamo con Fabrizio Donato, che dopo aver vinto tutto nel triplo è ora tecnico tra i più apprezzati, non solo in Italia.
Le straordinarie performance di questo avvio di stagione indoor dipendono da una generazione di fenomeni o da una crescita dei tecnici?
«Credo che ci sia una crescita importante nel settore tecnico e che contestualmente questa generazione sia particolarmente dotata in fatto di talento. La gestione del talento è il passaggio più delicato perché anche in passato abbiamo avuto dei ragazzi nati con una straordinaria predisposizione verso alcune specialità ma poi non sempre la crescita è stata proporzionale alle attese e alle potenzialità. Credo pertanto che questi risultati vadano ascritti al perfetto connubio tra nuovi atleti e nuovi tecnici».
Cosa è cambiato nella sostanza nel modo di allenare?
«Oggi abbiamo strumenti e criteri innovativi che ci supportano e ci consentono di esplorare in modo più ampio le potenzialità di un atleta. Non mi sognerei certo di dire che il metodo Vittori non fosse valido, anzi validissimo per l’epoca, ma oggi la scienza e la ricerca sono andati avanti e dobbiamo adeguarci. Vero che per gli impianti qui in Italia non siamo ancora messi benissimo, ma abbiamo la fantasia italica a sopperire a questa lacuna e a carenze strutturali. Il fermento e la crescita sono dati di fatto».
Dai giovanissimi arrivano segnali importanti: Succo, Doualla, Valensin, Castellani. Sembra soprattutto il momento delle donne, già ci chiamano la Giamaica d’Europa. Ti sorprende e c’è una ragione perché le donne stiano facendo meglio dei pari età uomini?
«Non più di tanto. E’ un fatto episodico, in linea di massima. Se vogliamo trovare una ragione, va detto che sovente per le donne l’atletica è la prima scelta, o comunque una scelta non residuale. Tra gli uomini il sogno di ogni giovanissimo è quello di affermarsi nel calcio e a noi ci toccano, di primo acchito, coloro che magari non hanno grandi doti calcistiche. Questo però è per l’età adolescenziale, più avanti uomini e donne, indifferentemente, se hanno virtù specifiche riescono ad emergere».
Il calcio è ancora oggi al centro di ogni attenzione mediatica, sebbene dall’atletica siano arrivati addirittura quattro ori olimpici nella penultima edizione dei Giochi. Cosa deve accadere perché il rapporto subisca modifiche sostanziali?
«Come è avvenuto un ricambio generazionale per atleti e tecnici, forse sarebbe auspicabile un processo analogo in chi gestisce la comunicazione. Dei progressi ci sono stati, ma sono ancora risibili rispetto ai risultati e, consentitemi di dirlo, ai valori che uno sport come l’atletica contiene ed esalta. Sarò brutale in questa affermazione, ma il calcio non è portatore di valori altrettanto significativi; il messaggio che reca è sovente poco in linea con i valori più elevati dello sport, visto che esaspera certe conflittualità. E’ un business, un grande carrozzone, ma ci sono altre discipline che andrebbero adeguatamente premiate ed esaltate agli occhi del grande pubblico».
Torniamo ai giovani fenomeni, visto che Francesco Inzoli fa parte del tuo team. Su chi punteresti ad occhi chiusi per un futuro importante anche da senior?
«C’è davvero l’imbarazzo della scelta e naturalmente sono un po’ di parte, ma i fratelli Inzoli sono dei fenomeni che hanno grandi margini di crescita. Mi piace molto anche Castellani, una ragazza che sta crescendo nel rispetto della gradualità e senza troppe pressioni. Ha fatto un grande 200 ad Ancona e anche su di lei possiamo contare, ma abbiamo davvero una generazione di fenomeni e gestire il loro talento sarà una sfida bella ed intrigante».
Tra i due fenomeni del lungo, Mattia Furlani e Larissa Iapichino, chi farà il salto definitivo sul tetto del mondo? Insomma, 1, X o 2?
«Devo dirti X, perché per me esploderanno entrambi. In verità sono già delle star dell’atletica mondiale, ma credo che questo possa essere l’anno buono per entrambi per compiere un ulteriore step. Hanno talento, mentalità e sono ben allenati. Le premesse sono pertanto quelle giuste».
E arriviamo in medias res, parlando di Andy Diaz, il tuo allievo ed erede. Quali sono gli obiettivi per la stagione?
«Intanto onoreremo entrambi gli appuntamenti clou della stagione indoor, Europei di Appeldoorn e poi i mondiali. Per la stagione all’aperto non possiamo nasconderci dietro un dito: puntiamo a migliorare la misura del record italiano. Abbiamo iniziato con un 17,31 che forse dice poco, ma che è la seconda misura mondiale stagionale. Ad Ancona faremo i campionati italiani, prova generale in vista degli impegni internazionali».
Tra i tuoi allievi c’è Greta Donato, ormai triplista come il papà e che lo scorso anno è diventata la terza della famiglia a fregiarsi di un titolo italiano...
«Prevalentemente triplista. Anche per lei la crescita deve essere graduale. Sta lavorando bene ed è molto serena. Allenarsi con grandi campioni non può che essere uno stimolo, ma non deve avere pressioni, è ancora giovanissima».
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