Dopo quasi due decenni di processi, ricorsi e polemiche, la Corte di Cassazione ha scritto un capitolo decisivo nella lunga saga di Calciopoli, lo scandalo che nel 2006 sconvolse il calcio italiano. Con la sentenza numero 6116 della Sezione III Civile, emessa il 7 marzo 2025 e resa nota nei giorni successivi, i giudici hanno respinto la richiesta di risarcimento danni avanzata dall’ex azionista di maggioranza del Bologna e altri contro la Juventus e ulteriori parti coinvolte, stabilendo che non vi sia prova di risultati sportivi alterati nelle stagioni sotto accusa, quelle del 2004-2005 e 2005-2006. Una pronuncia che, pur chiudendo un contenzioso civile, non placa del tutto le divisioni e i dubbi che ancora aleggiano su quella pagina controversa della storia calcistica nazionale.
Il verdetto: un sistema illecito, ma senza effetti concreti
La sentenza della Cassazione si concentra sulla causa intentata da soggetti che, a vario titolo, lamentavano danni economici e sportivi derivanti dalle condotte emerse durante l’inchiesta Calciopoli. Al centro del dibattimento c’era la presunta responsabilità della Juventus e di altri imputati nella retrocessione del Bologna in Serie B nel 2005, un evento che i ricorrenti collegavano alle frodi sportive contestate nel processo penale. Tuttavia, i giudici hanno ritenuto che, sebbene sia stato accertato un “sistema organizzato” volto a influenzare le designazioni arbitrali e il regolare svolgimento del campionato, non ci siano evidenze sufficienti per dimostrare che tali condotte abbiano effettivamente modificato i risultati delle partite o l’esito delle classifiche.
“La Corte ha riconosciuto l’esistenza di un’associazione per delinquere strutturata e capillare, ma non ha ravvisato un nesso causale diretto tra le attività illecite e l’alterazione concreta dei risultati sportivi,” si legge nelle motivazioni, che confermano quanto già emerso in precedenti gradi di giudizio. Un verdetto che, di fatto, smonta una delle accuse più pesanti mosse all’epoca: quella di un campionato “truccato” nel suo esito finale.
Calciopoli: una ferita mai del tutto rimarginata
Era l’estate del 2006 quando Calciopoli esplose come una bomba nel cuore del calcio italiano, proprio mentre la Nazionale di Marcello Lippi trionfava ai Mondiali di Germania. Le intercettazioni telefoniche portarono alla luce un intreccio di rapporti tra dirigenti, arbitri e vertici federali, con al centro l’allora direttore generale della Juventus, Luciano Moggi, ritenuto il regista di un sistema volto a favorire la squadra bianconera e altre realtà “amiche”. La giustizia sportiva reagì con durezza: due scudetti revocati alla Juventus (2004-2005 e 2005-2006), retrocessione in Serie B con penalizzazione, pesanti sanzioni a Milan, Fiorentina e Lazio, e radiazioni per figure chiave come Moggi e Antonio Giraudo.
Il processo penale, conclusosi nel 2015 con la prescrizione per molti dei reati contestati, aveva già lasciato spazio a interpretazioni contrastanti. Ora, la Cassazione aggiunge un tassello fondamentale, sottolineando che il “sistema Moggi” esisteva, ma non è provato che abbia determinato vittorie o sconfitte sul campo. Una distinzione sottile, che tuttavia non cancella l’ombra di un’epoca in cui la credibilità del calcio italiano fu messa duramente alla prova.
Le reazioni: tra soddisfazione e amarezza
Il pronunciamento ha scatenato reazioni immediate. Da Torino, i tifosi juventini festeggiano quello che considerano un atto di giustizia tardivo. “Finalmente si riconosce che i nostri scudetti sono stati vinti sul campo,” scrive un supporter sui social, mentre altri chiedono a gran voce la restituzione dei titoli revocati. La società bianconera, pur non commentando ufficialmente, potrebbe valutare nuove mosse legali per riaprire il discorso sportivo, forte di una sentenza che sembra ridimensionare l’impatto delle accuse originarie.
Sul fronte opposto, c’è chi vede nel verdetto una beffa. “Un sistema illecito c’era, ma nessuno paga davvero,” lamenta un tifoso del Bologna, ricordando le conseguenze subite dal club emiliano. La FIGC, costituitasi parte civile nei processi, mantiene il silenzio, ma il dibattito su una possibile revisione delle decisioni sportive del 2006 è destinato a rinfocolarsi.
Un’eredità ancora viva
Calciopoli non è stato solo un processo, ma un terremoto che ha cambiato il calcio italiano. Ha segnato la fine di un’era di strapotere juventino, aprendo la strada al dominio dell’Inter e, negli anni successivi, a una maggiore attenzione alla trasparenza nel mondo arbitrale. Eppure, a distanza di 19 anni, resta la sensazione di un caso mai del tutto chiarito. Le intercettazioni emerse successivamente, che coinvolgevano altri club come l’Inter (mai processata per prescrizione), e le lacune dell’inchiesta originaria alimentano ancora oggi teorie di complotto e recriminazioni.
La sentenza della Cassazione del marzo 2025 non sarà probabilmente l’ultima parola su Calciopoli, almeno nel cuore dei tifosi. Ma per la giustizia, civile e penale, il sipario sembra calato. Resta da vedere se il calcio italiano saprà trarre da questa lunga vicenda una lezione definitiva: quella di un sistema che, pur imperfetto, deve guardare avanti, senza dimenticare le proprie fragilità.