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Cassino

Abbazia di Montecassino, il “Dramma della Passione”

Il testo è stato scoperto da padre Mauro Inguanez. Narra le ultime ore di Cristo dal tradimento di Giuda alla crocifissione e al pianto della Madonna

Abbazia di Montecassino, il “Dramma della Passione”

Al “Dramma della Passione” di Montecassino avevo già dedicato la puntata dello scorso 21 giugno, chiudendo la quale accennavo al fatto che il dramma si concludesse bruscamente con la scena della Crocifissione e con le poche parole del “Planctus” (o Lamento della Vergine), che non sono in latino, ma in volgare.

È bene ricordare che il “pianto” è una forma poetica di lamentazione per la morte di personaggi più o meno noti, sorta nell’abbazia di San Marziale a Limonges intorno all’anno 814; venne associato alla Madonna nel XII secolo. Se già normalmente si tratta di canti di intesa drammaticità, nel caso del pianto della Vergine sotto la croce si realizza una perfetta sintesi di canto e mimica dei gesti.

Lo scopritore del testo, padre Inguanez, ipotizzava che il “Planctus” fosse una traduzione dal testo originale latino. Le poche parole del Planctus non sono nemmeno in scrittura beneventana, ma in minuscola con qualche elemento di gotica. Il monaco aveva, però, notato, con grande acume, che quei tre versi erano corredati da note musicali. Però, sull’aspetto musicale di questa sezione finale del dramma tornerò un’altra volta.

Per ora diciamo, innanzitutto, che la mano che ha scritto i tre versi del “Planctus” sia la stessa che ha copiato la parte in latino, benché con una grafia leggermente diversa, è fuori da ogni dubbio. Le parole del “Planctus” seguono immediatamente la didascalia che introduce il Lamento della Vergine: «Unde dolens beata virgo quia loquendo latroni et matri sue flenti nunquam loquitur cum ingenti clamore ipsa beata virgo vocat filium crucifixum».

In secondo luogo, non possono essere un’aggiunta posteriore, poiché non sono scritti su una rasura, cioè su una parte di pergamena dalla quale era stato grattato via l’inchiostro precedentemente usato per scrivere qualcosa.
Infine, l’inchiostro non differisce da quello usato per il testo latino, e due lettere iniziali tipiche “N” e “Q” sono identiche a quelle che incontriamo in altre parti del testo.

Che il “Planctus” si collocasse dopo la scena della crocifissione è indirettamente confermato da una strofa del testo di Sulmona (che, come dicevo nella precedente puntata, contiene le sole battute di uno dei soldati romani, estratte da una copia del testo cassinese). In esso, il “Planctus” non è riportato, però è supposto dalle parole: Quando venit Maria ad crucem quartus milex dicat solus: / Quae est mulier que plorat / et plorando semper orat / ut reddatur filius?

Secondo qualche studioso, l’intervento della Madre nella Passione di Montecassino va logicamente connesso all’episodio del buon ladrone, che lo determina e lo rende plausibile, per mezzo del rapporto che viene stabilito tra la pietas in latronem e la charitas in matrem. Inguanez scriveva pure: «Sfortunatamente il testo cassinese non ci ha conservato questo “Planctus”; non siamo quindi in grado di stabilire se occupava nel dramma un posto notevole o no».

Almeno fino alla scoperta della “Passione” cassinese, parte della storiografia del teatro riteneva che i “pianti” fossero il genere letterario dal quale aveva avuto origine la drammaturgia pasquale della Passione. Per esempio, il “Planctus ante nescia” ebbe origine nel XII secolo. Inguanez riteneva che la “Passione di Montecassino” fosse anteriore o almeno contemporanea al “Planctus”.

Infatti, la scoperta del “Dramma della Passione” di Montecassino, essendo più antico di almeno un secolo, rende evidente che il Lamento della Vergine non ne fu il punto di partenza, ma solo un elemento di sviluppo in senso “spettacolare”.
Non a caso, il “Planctus” utilizzato nel finale della “Passione di Montecassino”, viene reso drammatico per mezzo dell’aggiunta di movimento e attraverso un’intensificazione lirica del momento drammatico. È probabile che il “Planctus”, trascritto in volgare al termine di questa versione del dramma della Passione, sia, anche se di poco, precedente, e costituisse la parte culminante dello “spettacolo” costituito dal dramma.

Naturalmente, il fatto che il “Planctus” possa essere antecedente alla scrittura della “Passione di Montecassino” non vuole assolutamente significare che la teoria per la quale i “Plancti” siano l’elemento germinale dei Drammi della Passione sia corretta: essa va respinta in ogni caso, poiché il dramma liturgico, e quello della Passione in particolare, nasce da un insieme di elementi dei quali nessuno può essere assunto come momento fondamentale.
In una prossima puntata spiegherò la capitale importanza dei neumi (cioè le antiche note musicali) che appaiono sui versi del Pianto della Madonna. Per chi volesse saperne di più, rimando nuovamente al mio studio sulla “Passione” apparso sulla “Rivista Cistercense” nel 2014, e che si può liberamente consultare anche sulla mia pagina personale del sito www.academia.edu.

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