Spazio satira
Quel che resta della settimana
11.05.2025 - 14:00
Foto Antonio Fraioli
Il ponte è lui stesso: Papa Leone XIV, al secolo Robert Francis Prevost. Il primo statunitense salito al soglio di Pietro. Il ponte tra il Nord America e l’America Latina. È nato a Chicago, ma ha speso una parte fondamentale della sua vita in Perù. Un ponte tra il popolo della Chiesa e le gerarchie vaticane: questo probabilmente è l’elemento più importante. Un ponte tra l’apertura al mondo e la saldezza dottrinale. L’enorme consenso che ha ricevuto dai cardinali (qualcosa filtra perfino da un conclave) è un investimento. Non è per caso che Leone XIV ha parlato di nuove forme di ateismo. Dicendo: «Gesù, pur apprezzato come uomo, è ridotto semplicemente a una specie di leader carismatico o di superuomo, anche tra i battezzati, che finiscono così col vivere in un ateismo di fatto». Ha fatto emergere l’anima del missionario, di chi è perfettamente consapevole che nel mondo di oggi la “missione” si effettua non soltanto nelle terre sperdute dell’Africa e dell’America Latina, ma anche (anzi, soprattutto) nelle grandi metropoli dell’Occidente.
Il cattolicesimo deve ritrovare la sua spinta, perché non può limitarsi ad essere apprezzato dai laici. È fondamentale il proselitismo, è determinante l’attività di conversione finalizzata ad aumentare il numero dei fedeli. Il cristianesimo è una religione, non una filosofia. E Prevost è il ponte sotto ogni punto di vista: tre lauree (teologia, filosofia, matematica) ma anche, come ha sottolineato Paolo Mieli, l’abitudine a “sporcarsi le mani”, nel senso che è stato un missionario, specialmente in Perù. Limitare la sua elezione ad una risposta a quella di Donald Trump alla Casa Bianca è assai riduttivo. «Chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità, deve sparire perché rimanga Cristo». Lo ha detto lui: Leone XIV.
Non è Francesco. E neppure Benedetto XVI
Allo stesso tempo non ha molto senso cercare dei paragoni a tutti i costi. Certamente l’omaggio a Papa Francesco non poteva non esserci. Ma Prevost non è Bergoglio. Ed è molto diverso anche da Ratzinger, Come è giusto che sia. Il programma del suo pontificato è racchiuso nelle locuzioni che ha utilizzato nel suo primo discorso: «costruire ponti», «camminare insieme», «cercare la pace», «pace disarmata e disarmante». Il Papa non intende proporre una dottrina nuova, vuole invece mettere in evidenza il profilo di una Chiesa che ascolta, accoglie, agisce. Di una Chiesa sinodale, missionaria, vicina a chi soffre, aperta. E non è neppure casuale che abbia rimesso in primo piano alcuni simboli. Il Papa è tornato a indossare la mozzetta rossa, che richiama la dignità pontificia, la solennità e il legame con la tradizione che rappresenta la storia stessa della Chiesa. Come la croce pettorale d’oro, simbolo dell’autorità pastorale. Oppure la stola pontificia indossata già da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI al momento della loro presentazione al mondo. I simboli hanno un loro significato. Come il nome scelto, Leone. Perché Leone XIII è stato l’autore della Rerum Novarum, prima enciclica sociale. Come dire: la Chiesa si impegna per la giustizia sociale e rifiuta le derive reazionarie. Robert Francis Prevost non ha usato toni politici, ma ha parlato ugualmente a tutte le cancellerie del mondo. Ha scritto Massimo Franco sul Corriere della Sera: «Il nome di Leone XIV assunto da Papa Prevost è un’altra indicazione significativa. Era da oltre un secolo che un Pontefice non lo sceglieva. Indica apertura al mondo e insieme saldezza sui principi. E disarma quanti in questi ultimi anni hanno pensato di potere usare una Chiesa considerata indebolita per i propri interessi. Se è vero che rispetto al 2013 esiste una realtà inedita, più incerta e pericolosa, Leone XIV si prepara a affrontarla con una Chiesa che mostra un soprassalto di fiducia nel futuro e di coraggio. E riesce a sorprendere per l’ennesima volta. Da grande istituzione millenaria».
Regione Lazio. Sanità centrale e sempre strategica
Il dibattito in consiglio regionale sulla sanità è andato esattamente come doveva andare. Il presidente Francesco Rocca ha rivendicato con orgoglio l’azione di governo. Premettendo: «Io non ho la pretesa di dire che abbiamo raggiunto la perfezione, la strada è ancora lunga, ahimè dolorosa e piena di impegni e di sfide, che ci dovrebbero vedere tutti uniti. Dire però “tutto va male, madama la marchesa” non va bene, vedere o prendere il singolo caso per gridare “al lupo, al lupo!” non va bene». Il Governatore ha avuto il pieno sostegno da parte della maggioranza di centrodestra. Mentre le opposizioni hanno attaccato frontalmente, non concedendo nulla. A conferma che nell’immediata vigilia del traguardo di metà mandato, si è già proiettati alle prossime elezioni. L’esperienza dimostra che nel Lazio la sanità ha un peso enorme nel risultato politico. Unitamente però a quelle che sono le alleanze e le strategie degli schieramenti. Sotto questo punto di vista il centrodestra si mantiene unito. Mentre nel centrosinistra il tana libera tutti del 2023 risuona ancora.
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