Spazio satira
Quel che resta della settimana
16.03.2025 - 14:00
Un panorama di Frosinone
Il mondo sta cambiando a velocità supersonica. In discussione c’è l’assetto definito a Yalta al termine della seconda guerra mondiale. Dopo ottant’anni si sta chiudendo l’ombrello aperto dagli Stati Uniti sulla difesa dell’Europa. E, come canta Francesco De Gregori, «la storia non si ferma davvero davanti a un portone, la storia entra dentro le stanze, le brucia, la storia dà torto e dà ragione. La storia siamo noi». L’Europa, stretta tra la Russia di Putin e gli Usa di Trump, è chiamata a scelte epocali, che influiranno per i decenni a venire. Poi ognuno può pensarla come vuole e battersi per le sue idee. Ma il fatto vero è che in momenti come questo, torti e ragioni, responsabilità e fughe dalla realtà hanno davvero poco senso.
Qualche giorno fa, in occasione del Piano di riarmo, la politica italiana si è divisa all’Europarlamento. Nella maggioranza favorevoli FdI e Forza Italia, contraria la Lega. Nelle opposizioni c’è stato il no di Cinque Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra. Mentre il Pd si è spaccato a metà tra favorevoli e astenuti. La conclusione è una sola: l’Italia ha affrontato la votazione con la consueta miopia del punto di vista della politica interna, che ci condanna da sempre alla marginalità. C’è un altro tema. Qualche giorno fa il ministro delle imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, intervenendo al tavolo Automotive, ha detto. «Siamo un governo responsabile: il nostro obiettivo è mettere in sicurezza le imprese e tutelare i lavoratori. Per questo incentiviamo le aziende della filiera automotive a diversificare e riconvertire le proprie attività verso settori ad alto potenziale di crescita e redditività, come la difesa, l’aerospazio, la blue economy e la cybersicurezza». Parole chiare, che meriterebbero una riflessione seria e neutra. Non uno schieramento con la logica dei “guelfi” e dei “ghibellini”. Inutile e fuori contesto.
Un territorio al palo, poco attrattivo e pure disallineato
In questo quadro c’è la provincia di Frosinone, nella quale non è che si siano fermate le lancette della storia. Semplicemente non c’è più neppure l’orologio. Quale è oggi la vocazione del nostro territorio? Non più quella industriale, non quella turistica, non dei servizi, non della logistica. Viviamo crisi infinite: l’automotive e l’indotto, la desertificazione industriale, la mancanza di infrastrutture, l’incapacità di mettere a sistema e valorizzare le eccellenze che pure ci sono. Si continua a parlare di Stazione Tav senza che nessuno abbia preso una posizione critica forte e coraggiosa dopo che in commissione regionale (nel novembre scorso) è emerso chiaramente che non ci sono né progetti né finanziamenti. Si continua a parlare di scalo aeroportuale civile quando è evidente a chiunque che la linea è quella di continuare a puntare sul potenziamento di Fiumicino. Si continua a parlare della necessità di un collegamento rapido con Latina e di uno sbocco che porti la superstrada Ferentino-Frosinone-Sora fino... all’Abruzzo. Si continua a parlare e basta. Senza una visione di sviluppo incentrata su un patrimonio culturale, storico e religioso che in pochi possono vantare. Nessuno affronta il tema della valorizzazione delle eccellenze che vengono espresse per esempio nel settore del chimico-farmaceutico. Quanto all’attrattività, sarebbe sicuramente aumentata in modo esponenziale se si fosse realizzata la Stazione Tav, se fosse stato messo in campo un progetto di potenziamento delle infrastrutture. Così come non si capisce per quale motivo non si siano colte al volo opportunità che sono andate a fare la fortuna di altri territori. Per esempio quella di un polo di distribuzione di Amazon. Ma l’elenco è lunghissimo. Non c’è una visione, non c’è un gioco di squadra, non c’è quella reattività necessaria ad invertire rotta e narrazione. Poi c’è il tema della inesorabile perdita di residenti. E andrà anche peggio, perché secondo le previsioni demografiche, comprese nel programma statistico nazionale dell’Istat, nel 2031 in provincia di Frosinone ci saranno 22.000 abitanti in meno rispetto al 2021. Meno abitanti vuol dire meno consumi, meno gettito fiscale per garantire servizi essenziali, meno investimenti, meno mercato immobiliare. Inoltre è evidente a tutti che ad andarsene sono soprattutto i giovani, per studiare e per lavorare. Un fenomeno che già ha impoverito il Paese e la nostra provincia sul versante delle competenze, della ricerca, della costruzione del futuro. Nonostante questo si insiste a vivere un eterno presente chiudendo gli occhi davanti all’evidenza. Eppure qualche segnale continua ad arrivare. Per esempio quello dell’operazione della multinazionale del settore farmaceutico Novo Nordisk. Un programma strategico, con un investimento di 2 miliardi di euro fino al 2029, da attuare già nel 2025. Per Roberta Angelilli, vicepresidente della Regione, «un valore aggiunto per tutto il sistema industriale e di ricerca regionale, con effetti positivi in termini di posti di lavoro, anche per la città di Anagni e la provincia di Frosinone». Un segnale che andrebbe colto al volo. Già, ma da chi?
Partiti proiettati sulle candidature alle provinciali
Si voterà a dicembre. Ancora una volta con la Delrio. In palio 12 seggi da consigliere provinciale. Alle urne andranno sindaci e consiglieri comunali. In tutti i partiti è già iniziato il dibattito interno finalizzato a decidere chi sarà “blindato” e chi no. Parliamo di ruoli depotenziati da fallimentari scelte di politica nazionale. Le Province hanno bisogno dell’elezione diretta e delle competenze che avevano prima del 2014. Ma il fatto che si sgomiti comunque per ottenere una carica che in realtà incide pochissimo la dice lunga sulla sindrome da retroguardia.
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